Trovo che oggi ci sia una scarsa attenzione allo studio delle forme musicali (e non mi riferisco solo a ciò che il jazz ha prodotto) e quindi all'articolazione variata del discorso musicale.
Se il tutto viene sempre ridotto al solo rapporto sigla-scala, c'è sempre un livello di appiattimento a cui tutto il discorso improvvisativo viene ridotto perchè manca il senso della prospettiva nella costruzione di un solo.
I "vecchi maestri" ascoltavano vari tipi di musica (colta europea, popolare, etnica ecc.) ed era ciò a sollecitarli nell'esplorazione di nuove direzioni:
se mangio solo pasta e fagioli, per darle un sapore diverso ogni volta dovrò escogitare modi di cottura e varianti di aromi; ma sempre pasta e fagioli rimane!
Se cambio ingredienti, ho una piu' vasta scelta di sapori...sebbene dovrò fare sempre delle scelte, perchè non tutte le spezie e gli aromi stanno bene con tutto...
L'appiattimento di certe "pratiche", sia esse didattiche o procedurali, dipende dal voler vedere la musica "a compartimenti stagni" e solo in riferimento agli stili o ai "gerghi personalizzati" (alla Coltrane, alla Gordon ecc.): che il suonare sulle basi sia una buona palestra è innegabile, ma non genera creatività se viene ritenuto mezzo e fine.
Si ha padronanza di un brano, in senso esecutivo-improvvisativo, solo quando lo si sa "de-comporre" nella sua essenza e ridarlo in un'altra forma rispetto a quella originaria o a quella piattamente didattica proposta dalle basi.