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Un capolavoro di Coltrane: "Ascension"
Pubblicato: December 3, 2010


di Aldo e Paolo Gianolio

Recuperiamo dall'oblio e riproponiamo un'approfondita ed ormai storica analisi del famoso disco di Coltrane, a firma di Aldo e Paolo Gianolio, che ringraziamo per la disponibilità. L'articolo, che vide la sua prima pubblicazione su Musica Jazz n el lontano marzo 1978, analizza la struttura e i significati di una delle incisioni più importanti del jazz nero dei tumultuosi anni Sessanta.


Il 28 giugno 1965 si può considerare una data fondamentale nella storia non solo del free jazz ma di tutta la musica afro-americana. È il giorno in cui John Coltrane riunì, nella sala di registrazione della Impulse!, i componenti del suo abituale quartetto (cioè il pianista McCoy Tyner, il contrabbassista Jimmy Garrison e il batterista Elvin Jones), il contrabbassista Art Davis (che aveva già affiancato in diverse occasioni Jimmy Garrison) e altri sei jazzisti, noti e meno noti, dell'avanguardia di New York, per registrare quello che poi risultò, per dirla col critico Frank Tenot, "una delle più pazzesche orge sonore del secolo": una vera prova di forza da parte dei musicisti, della durata di 38 minuti. Il disco uscì poco tempo dopo col titolo Ascension.

I sei strumentisti scelti da Coltrane erano: i trombettisti Freddie Hubbard e Dewey Johnson, gli altosassofonisti John Tchicai e Marion Brown e i tenorsassofonisti Farrell "Pharoah" Sanders e Archie Shepp. Fra i "reclutati," Freddie Hubbard era il più famoso: aveva registrato fino allora copiosamente (anche sotto suo nome) ed era molto richiesto; fece anche parte della miglior formazione che, a nostro parere, abbia guidato Art Blakey sotto l'insegna dei Jazz Messengers; ma soprattutto è importante, ai fini di queste note, la sua collaborazione alla registrazione di Free Jazz (a cui Coltrane si rifece per l'incisione di Ascension), organizzata cinque anni prima da Ornette Coleman per l'Atlantic.
Anche Archie Shepp era abbastanza conosciuto: aveva registrato nel 1960 e 1961 con Cecil Taylor per la Candid e l'Impulse!; poi aveva formato un suo quintetto (i New York Contemporary Five) con Don Cherry e John Tchicai e, dopo il suo scioglimento, era diventato la voce-guida dei nuovi jazzman protestatari afro-americani. Pharoah Sanders, meno noto, fu invece "scoperto" nel 1962 da Don Cherry, poco prima di partire alla volta di San Francisco, dove ebbe occasione di suonare, tra gli altri, anche con Philly Joe Jones; fu poi portato a New York dallo stesso Coltrane, col quale non solo registrò Ascension, ma restò sino al 1967 (cioè sino alla morte dello stesso Coltrane).
Pure John Tchicai, Marion Brown (entrambi "scoperti" da Shepp) e Dewey Johnson erano parte attiva della nuova avanguardia newyorkese, anche se su basi differenti: per esempio, Tchicai non era neppure americano: era nato a Copenaghen, aveva compiuto i propri studi musicali nelle accademie danesi, e si era trasferito a New York solo nel 1962.

Ascension segnò la piena adesione di Coltrane agli stilemi del free jazz, ed è risaputo quanto gli fu difficile percorrere la strada che lo portò a quei risultati: nella sua continua e sofferta evoluzione verso lo sganciamento dalle convenzioni armoniche, cambiò direzione più di una volta, studiando e lavorando incessantemente sullo strumento (fu addirittura l'insoddisfazione per la maestria tecnica raggiunta a fargli cambiare ancora strada); fece cadere all'interno, lentamente, i condizionamenti armonici a cui era legato (al contrario di Ornette Coleman, che "partì" già libero da questi condizionamenti), e il suo arrivo al free jazz fu, appunto, il risultato di una lunga e tribolata gestazione.
Non ci si aspettava, però, una svolta così repentina, considerando anche che l'ultimo suo disco, cioè A Love Supreme (posizione eminentemente contemplativa), era abbastanza lontano, come concezioni, non soltanto musicali, da "Ascension" (posizione contestativa rispetto al sistema americano e alla sua cultura), tanto da non lasciare intravedere uno sviluppo in tale direzione: e più di un critico (oltre gli appassionati) rimase perplesso.

Ma al cronista non sarebbe dovuto sfuggire che Coltrane, già da un po' di tempo, si era avvicinato agli uomini del free jazz: aveva cominciato a suonare con loro e condivideva le loro idee. Nel marzo del 1965 aveva partecipato ad un concerto "politico" intitolato New Black Music, organizzato a favore della Black Arts Repertory Theatre-School. Incoraggiò ed aiutò molti musicisti d'avanguardia ai loro inizi (fra cui Archie Shepp, il più "arrabbiato" di tutti). Ebbe anche a dichiarare: "Io suono, altri scrivono, altri fanno comizi, ognuno per conto proprio; se alla fine ci ritroviamo tutti dalla stessa parte, vorrà dire che nelle cose essenziali la pensiamo tutti allo stesso modo. E ognuno di noi lo dice come può."
Certo, la posizione di Coltrane non era quella di Shepp (il quale aveva però grandissima ammirazione per Coltrane, musicista e uomo); la sua non era la posizione internazionalista rivoluzionaria, il suo non era un atteggiamento "proletario". Ma non sarebbe esatto affermare che Coltrane fosse un non-politico, come si sente asserire ogni tanto: anche se pervaso da una fervente religiosità, questa non gli serviva come alibi per sfuggire la realtà e le responsabilità di uomo di colore; era consapevole della sua condizione di nero in America e dello stato sociale del suo popolo. Ricordiamo brevemente che il mondo dei proletari afro-americani era, verso la metà degli anni Sessanta, in fermento: cominciavano a scoppiare violente rivolte un po' dappertutto, represse ancor più violentemente dai tutori dell'ordine.
Nell'estate del 1964 si rivoltarono i neri dei ghetti di Harlem, di Filadelfia, di Rochester, di Chicago; nel febbraio del 1965 venne assassinato Malcom X a New York; nell'agosto del 1965 si rivoltarono, per una settimana, i neri del ghetto di Watts, a Los Angeles (fu una carneficina: vennero trucidati trentaquattro neri dalle forze di polizia). E queste erano solo le avvisaglie: le rivolte scoppiarono più numerose e violente negli anni successivi. Coltrane non poteva non avvertire l'aria di rivolta del popolo afro-americano emarginato, e Ascension è anche il grido del popolo nero del ghetto che sale al cielo; ma la sua religiosità (perché anche Ascension voleva essere un'opera religiosa) non è più intesa come un "inno di gratitudine rivolto al mondo," bensì come un invito alla divinità ad interessarsi alle cose del mondo.

Coltrane rimase sempre un uomo religioso. Però la religiosità degli afro-americani, sin dai primi tempi della schiavitù, era stata qualcosa di "altro" dalla religiosità intesa comunemente nella cultura occidentale cristiano-cattolica. "La religione ha avuto sempre la funzione di rafforzare i vincoli tra i membri della comunità di colore in lotta contro le difficoltà materiali della esistenza, fornendo loro delle risposte ai diversi problemi posti dall'ambiente (...) Il cosiddetto free jazz religioso può considerarsi una estensione, un'appendice di quello politicizzato, o sedicente tale (...). Cambiano i modi, ma il rifiuto di una certa realtà è identico" [Nota 1].
Fino a "A Love Supreme" l'idea di fondo che sosteneva la musica di Coltrane era più religiosa che sociale: inno a Dio, inno d'amore universale, canto di ringraziamento per i benefici ricevuti dal mondo-natura (atteggiamento comunque profondamente sentito, tanto che Coltrane, con quell'opera, ci ha lasciato una delle più felici espressioni della musica contemporanea tout court); c'era il rifiuto della realtà sociale, ma l'autore si poneva "altrove" (non "contro"), rifiutando sì la realtà (come Società), ma ritenendo di doverla ringraziare (come Natura) in una sorta di personale panteismo.
Con "Ascension" prendeva coscienza (una coscienza politica) e si metteva "contro". I segni e i rapporti tra i segni organizzati in quest'opera non lasciano dubbi in proposito. "I suoni sporchi e fuori di grammatica sono specificamente simbolici (simbolo = segno che esprime la concezione di un oggetto, di un gruppo di oggetti, di un fatto o di un gruppo di fatti; segno che induce a concepire), inducono cioè a recepire una concezione di contestazione totale, di negazione (...). Sono i suoni del sassofono sul registro sovracuto, che imitano l'urlo, il grido e, come tali, diventano segni di protesta, di contestazione, di negazione, di disperazione" [Nota 2].

Ornette Coleman ebbe modo di raccontare ad Arrigo Polillo [Nota 3] che Coltrane impiegò qualche anno a capire quello che lui (Ornette) stava suonando "da sempre". Fu solo dopo la registrazione di "Ascension" che Coleman ricevette un telegramma da Coltrane (con trenta dollari in segno di gratitudine!) che gli comunicava che aveva finalmente compreso la sua musica. E difatti "Ascension" è anche stato un omaggio alla figura di Ornette Coleman: la sua affinità strutturale con "Free Jazz" è infatti evidente [Nota 4].

"Ascension" non è altro che una sequela di liberi assolo, inframmezzati da parti di assieme. Queste parti d'assieme, simili nella concezione strutturale, sono dei collettivi informali e materici, dove tutti i solisti improvvisano liberamente e con la massima foga in uno stato di trance creativa. Tutti sono solisti (anche il batterista), senza più alcuna distinzione gerarchica. Nessun tema è preordinato (a parte una melopea di tre note, che assume più che altro valore culturale, di rimando a una cultura "altra" da quella colta-occidentale; a una cultura primitiva e non contraffatta): viene rifiutato il concetto di tema come oggetto di piacere e di fruizione estetica, e ancor più come oggetto di consumo.
Il testo musicale non è diviso in frammenti di durata specificata: non sono stabilite, cioè, le battute. Il ritmo non è più determinato solo dalla batteria, ma anche da tutti gli altri strumenti, che danno origine a ritmi secondari intrecciantisi in una complessa poliritmicità africaneggiante. Oggetto di particolare attenzione da parte dei musicisti è poi il "suono": cioè la sonorità di ogni singolo strumento (specialmente dei sassofoni) e la sonorità come risultato complessivo: le sonorità diventano quasi più importanti delle note; il fine è di raggiungere una intensità sonora parossistica, e viene spontaneo l'accostamento alle danze, ai riti e ai canti dei primi africani portati in America: al voodoo, soprattutto, quel rito religioso a base di ritmi tambureggianti, con canti e danze continue e sfrenate che portavano i partecipanti a uno stato di eccitazione molto vicino all'isterismo.

Non è però che Coltrane abbia lasciato i musicisti liberi nel più assoluto spontaneismo; sono state concordate delle "convergenze"; l'opera ha una sua struttura, una sua organizzazione interna: si tratta di una vera e propria "canalizzazione dell'imprevedibile" [Nota 5]. Si può dire che tutto "Ascension" si basa su un centro di gravità tonale da cui parte e a cui ritorna (precisamente il Si bemolle minore, come dice Archie Shepp ad A. B. Spellman, l'estensore delle note di copertina: "There is a definite tonal center, like a B flat minor"). Oltre a questo centro di gravità principale, i solisti hanno poi dovuto tenere conto di altri centri tonali intermedi (non quindi canoniche modulazioni), preordinati e disposti sempre nello stesso ordine in ogni parte d'assieme (solo qualche passaggio viene saltato, ma mai sostituito). Tutti questi centri tonali sono basati su accordi opzionali ("optional chords," come spiega lo stesso Shepp), su accordi, cioè, facoltativi, la cui definizione è lasciata alla libera scelta dei solisti (torneremo sul problema).

Come abbiamo già accennato, ognuna di queste parti d'assieme ha poi la funzione strutturante di dividere, di staccare i singoli assolo. La configurazione è tipicamente responsoriale (solista e coro che si rispondono vicendevolmente), precipua caratteristica, anche questa, della musica africana. L'inizio di ogni assolo segna anche l'inizio di una sorta di liberazione individuale; a fatica, infatti, ognuno dei solisti riesce a distaccarsi da quel magma sonoro che lo ha preceduto (e di cui faceva parte integrante).
Contribuisce a dare questo senso di liberazione la batteria di Elvin Jones: durante quelle parentesi caotiche (minimamente strutturate) sembra quasi lottare per avere la meglio sugli strumenti a fiato, crescendo man mano di intensità e potenza, sino a riuscire a vincere e a comporre un ritmo (anche se estremamente complesso) non più coartato, così "liberando" sé medesimo e lo strumento solista. I musicisti sono lasciati nella massima libertà nella improvvisazione dei loro assolo: unica costrizione è, anche qui, il dover tener conto di un punto di riferimento tonale predeterminato, che è sempre il medesimo, ovverosia ancora il Si bemolle minore (la tonalità più "naturale" per gli strumenti a fiato): questo legame armonico è però minimamente costrittivo: serve solo come indicazione generica, come modus operandi facoltativo.

Ci troviamo di fronte a una vera e propria "opera aperta," ed è curioso come le seguenti parole di Coltrane, riferentisi alla sua collaborazione con Thelonious Monk di otto anni prima, in pieno periodo hard-bop, possano andare bene anche se riferite ad "Ascension": "Abbiamo un certo numero di punti di riferimento dati, che indicano a ciascuno come procedere immediatamente dopo. Evidentemente non è importante mettere sempre questi punti di riferimento allo stesso posto, ma semplicemente il mutarne la posizione, o talvolta l'abbandonarli". E in effetti nelle parti d'assieme di "Ascension" i centri tonali sono a volte abbandonati; e non hanno sempre la stessa posizione. Il loro posto è stabilito sul campo dallo stesso Coltrane, probabilmente in seguito a qualche suo cenno (prestabilito): mancando, infatti, la misurazione in battute, è impensabile che i passaggi da un centro all'altro (sempre molto netti) possano essere stati eseguiti in seguito alla lettura di una qualche partitura.

Questa "opera aperta" può essere divisa, per comodità di esposizione, in dieci parti (ma, in verità, dovrebbe essere considerata e giudicata tutta in blocco), ed esattamente: una introduzione, otto parti centrali (corrispondenti ad altrettante parti d'insieme più relativo assolo eseguito sempre da un solista diverso) e un epilogo (preceduto da una nona parte d'assieme che questa volta invece di liberare un solista conduce appunto alla conclusione). Queste parti si susseguono una dietro l'altra senza destare particolari sorprese nell'ascoltatore (una volta che questo è riuscito a superare l'impatto iniziale). "Non ci sono elementi di disturbo. Ciò che avviene discende sempre da ciò che è stato fatto e porta in sé tutti gli elementi che verranno in seguito esplorati" [Nota 6].

L'introduzione (simile a quello che poi costituirà l'epilogo) è composta dal susseguirsi di due parti distinte, che si ripetono, entrambe, due volte. La prima di queste parti è formata da una figura semplicissima di tre note (Sib, Reb, Mib) disposte come da esempio 1.
Questa melodia è proposta dal solo Coltrane, per essere ripresa subito dopo da tutti gli altri strumentisti in libero contrappunto: quelle tre note, in questo modo, si intersecano, si scontrano e si sovrappongono dando origine a un centro gravitazionale in Si bemolle minore. Fra gli intervalli di queste tre note, esiste, partendo dal Sib, una terza minore (cioè il Reb) che può stabilire il modo (minore); ma non si può parlare di accordo definito (e, nella fattispecie, di tonalità), perché l'intervallo fra la prima e l'ultima nota (fra Sib e Mib) è un intervallo di quarta (che, in questo caso, indica un ritardo della terza minore), invece di essere un intervallo di quinta, cioè quello che avrebbe definito una triade perfetta minore [Nota 7].
La seconda parte dell'introduzione, invece, è costituita da quattro note discendenti (Mib, Do, Solb, Fa), anche esse suonate da tutti i musicisti in una libera forma contrappuntata e che, sovrapponendosi, danno origine a un centro gravitazionale in La bemolle 13a.
Queste due parti si ripetono un'altra volta ciascheduna, nel medesimo ordine.

All'introduzione segue la prima parte d'assieme propriamente detta, che è caratterizzata dal cambiamento dei centri tonali da La bemolle 13a (coincidente con la seconda parte dell'introduzione) a Si bemolle minore (con ancora qualche accenno alle tre note iniziali), indi a La minore, a Do minore e, infine, a Fa. Come non si può parlare di canonica tonalità, non si può neanche parlare di canoniche modulazioni: i cambiamenti di centri tonali servono ai musicisti solamente come punti di riferimento; l'uso costante di scale blues determina, infatti, un'ampia liberà per gli strumentisti, e quindi non esatta definitezza. L'ultimo passaggio in Fa, che rappresenterebbe il quinto grado dell'ipotetica tonalità in Si bemolle minore, prepara il ritorno al Si bemolle minore stesso, con l'intervento del primo solista. (E' meglio ripetere, a questo punto, che ogni solita improvvisa tenendo conto - sempre in senso lato - del centro tonale in Si bemolle minore).
Il primo a liberarsi da quel magma ritualistico e informale è proprio John Coltrane, il cui assolo rimane il meglio costruito di tutta la serie: l'intesa coi suoi compagni abituali è perfetta. La sonorità è tesa, dolorosa, strangolata spesso nei sovracuti (per poi, semmai, ricadere nei registri bassi, grufolando). La linea melodica è spezzata in brevi frasi reiterate che creano grande tensione. Il suo assolo finisce in un urlo strozzato e subito soffocato dagli altri strumentisti che subentrano con la seconda sezione d'assieme. (Per i cambiamenti dei riferimenti tonali di questa sezione e di ogni altra che seguirà, rimandiamo il lettore allo specchietto dell'esempio 2).
A questa sezione segue il secondo assolo, che è di Dewey Johnson, trombettista dalla sonorità aperta, che si rifà un poco a Don Cherry: mescola brevi frasi a lunghe linee suonate velocemente (che danno l'impressione di avere un buon margine di casualità). È uno dei più deboli interventi di tutta l'esecuzione: il discorso manca di una logica interna e la tensione un poco scende.

Il terzo ensemble è seguito dal rabbioso e vociferante Pharoah Sanders, che prende l'assolo più violento: è un grido continuo, inaudito, belluino e roco, lancinante ed abrasivo; usa una tecnica particolare per fare uscire (da una sola posizione della diteggiatura) più suoni contemporaneamente, col risultato di aumentare ancora più il parossismo sonoro. Più che altro Sanders mette in mostra veemenza fisica e massima soddisfazione nell'emettere quelle urla incredibili, quei suoni selvaggi. Era importante, però, che quelle frasi estenuate (ed estenuanti) fossero coerenti con l'opera presa nel suo complesso (e con quello che Coltrane si era prefissato di fare): e questo è quanto avviene.
Altro collettivo informale e poi il quarto assolo, quello di Freddie Hubbard. Qui il trombettista, contrariamente a quanto era avvenuto durante la sua precedente esperienza con Ornette Coleman nella registrazione di "Free Jazz" dove non sembrava avere trovato la sua giusta dimensione, pare essere a proprio agio, ed è eccellente. Suona con la sua consueta squillante sonorità e la voce ferma di un assolo costruito con intelligenza e consequenzialità (sembra perdere il filo solo nell'ultima parte; ma è un momento, e nelle note finali riesce a riscattare quell'attimo di incertezza).

Dopo una quinta parte d'assieme, la prima facciata del microsolco finisce sfumando sulle prime note dell'assolo di John Tchicai (ripreso poi subito all'inizio della seconda facciata) [Nota 8]. Il breve intervento di Tchicai si basa su una scala riferentesi sempre al Si bemolle minore, quasi un riff ripetuto in diverse tonalità (il piano tace, come a voler ridurre a zero i vincoli armonici del solista) e "interpretato" in diverse maniere e poi stravolto e dimenticato: l'urlo belluino sembra estraneo alla personalità di Tchicai, che è più intellettualistica e meno viscerale.
La sesta parentesi di improvvisazione collettiva precede l'assolo di Archie Shepp (preannunziato da singoli, spaziati, reiterati colpi di McCoy Tyner ed Elvin Jones): assolo coadiuvato da un accompagnamento di pianoforte oltremodo ossessivo, incalzante e, al tempo stesso, essenziale; assolo prima dolente, poi rabbioso, veemente e caustico. Shepp, dal fraseggio tortuoso, dalla sonorità spessa e piena che fa un po' il verso a Ben Webster, con le sue caratteristiche note glissate (dovute alla particolare impostazione delle labbra e alla posizione del bocchino), riesce a costruire una delle gemme della registrazione.

Ad un altro ensemble (l'unico che rimane sempre fermo al centro tonale in Si bemolle minore e dove il caos raggiunge il limite della sopportazione fisica), segue Marion Brown (ancora una volta McCoy Tyner tace: prima, con Tchicai, quasi per non disturbare dal punto di vista tonale; ora per non interferire ritmicamente). Pure le frasi di Brown sono brevi, reiterate, si sfogano nei sovracuti e nei bassi, incalzando (e questo è rilevante) con uno spiccato senso della ritmicità. Questa parte risulta praticamente essere un duo Marion Brown / Elvis Jones (caratteristica è anche la sua sonorità leggermente nasale).

Si passa poi di nuovo nella bagarre: una lieve calata della intensità sonora verso la fine e una poderosa rullata di Jones preparano gli interventi del piano di McCoy Tyner e dei due contrabbassi di Garrison e Davis. L'assolo di Tyner (come sempre interessante e ottimamente costruito, ricco di idee) non riesce, però, a fare corpo con il resto dell'opera, ancora troppo legato a una concezione tradizionale dell'improvvisare e ancora non svincolato appieno dai condizionamenti armonici. È l'unico intervento della serie che non si può riportare a una certa unità stilistica che caratterizza l'intera esecuzione: col pianoforte, questa unità si poteva probabilmente ottenere solamente con un uso più spregiudicato (percussivo) della tastiera. È da rilevare che le concezioni musicali di Coltrane e di Tyner (insieme, sino a quel momento, per cinque anni) erano diventate ormai così incompatibili che i due preferirono dividersi poco dopo la registrazione di "Ascension", per imboccare strade diverse.

A Tyner seguono Jimmy Garrison e Art Davis, che improvvisano contemporaneamente, alternandosi al pizzicato e all'archetto. Al principio è Davis all'archetto (e Garrison al pizzicato): i due si cambiano i compiti dopo che Garrison, impugnato a sua volta l'archetto, comincia a tamburellare con esso sulle corde del contrabbasso creando un curioso effetto flamenco. Se si deve fare un paragone fra i due, gli interventi di Davis sono più consistenti di quelli del compagno, che rimane più cupo, più pesante e troppo melodico. Davis invece sa essere più graffiante e più incisivo (la sua tecnica è strabiliante, soprattutto quando pizzica a va sugli acuti). I due riescono, ad ogni modo, a riportare l'esecuzione sulle atmosfere programmate da Coltrane e che si erano un po' perse con l'intervento di Tyner (ma non riescono ad eguagliare l'intensità della performance di Scott La Faro e Charlie Haden in "Free Jazz").

È Elvis Jones che introduce la parte d'assieme finale; essa sfocia, poi, nell'epilogo, che ha la stessa struttura dell'introduzione: l'unica differenza è che i passaggi tra le due parti sono qui meno netti, e quando esse vengono ripresentate per la seconda volta (come era avvenuto per l'introduzione) si mescolano, originando una massa confusa di suoni furiosamente gridanti che continua sino alla fine, quando gli strumenti a fiato sfumano rapidamente per lasciare sola la sezione ritmica. Nell'ordine, poi tacciono il piano e la batteria: le note dolenti finali (un Sib e un Fa), suonate contemporaneamente con gli archetti, rimangono ai due contrabbassisti, che chiudono l'intera opera.La registrazione terminò senza dubbio con gran sollievo per le orecchie dei tecnici dell'Impulse e di chi era presente negli studi [Nota integrativa - 9].

"Ascension" è un'opera eccezionale e rimane un caposaldo della musica afro- americana. Allo stesso tempo, si può considerare il punto di arrivo di tutte le esperienze artistiche dell'avanguardia musicale sino a quel momento e il punto di partenza per quelle esperienze (sempre nell'ambito del free) che sarebbero venute dopo, e che comunque non riuscirono mai a raggiungere quei risultati. Dopo questo tremendo atto d'accusa indirizzato alla civiltà e alla cultura di potere bianche, Coltrane sarebbe andato ancora avanti, avrebbe imboccato ancora altre strade, in un'ansia di ricerca, in una frenesia creatrice (e in uno studio) che avevano dell'incredibile. Morì solo due anni dopo, lasciando un vuoto che ancora oggi (dopo più di dieci anni dalla sua scomparsa) sembra non essere stato colmato.

NOTE

(1) Stefano Arcangeli: "Il discorso mistico: evasione o sovversione?," in Musica Jazz, giugno 1975
(2) Alberto Rodriguez: "Capire la free music" - terza parte," in Musica Jazz, maggio 1967.
(3) Arrigo Polillo: "Jazz", ed. Mondadori, 1975.
(4) "Ascension" ricalca "Free Jazz" nell'idea generale di dividere i singoli assolo da collettivi orchestrali, con ampie liberà armoniche. Tuttavia "Ascension" presenta ugualmente alcune novità di strutturazione. Per cominciare, sono diversi la formazione e l'uso degli strumentisti. Coltrane ha adoperato un organico allargato: undici strumentisti contro gli otto di Coleman (per l'esattezza in "Free Jazz": due ance, due ottoni, due contrabbassi, due batterie; in "Ascension": cinque ance, due ottoni, un piano, due contrabbassi e una batteria, la quale ultima non prende alcun assolo). Coltrane non ha nemmeno accolto l'idea dei due gruppi contrapposti: tutti i musicisti di "Ascension" fanno un corpo unico: da qui è derivata anche l'impossibilità (verificatasi nella pratica) per ogni musicista di intervenire nelle singole improvvisazioni dei compagni, sempre contrariamente a quanto era stato stabilito in "Free Jazz". In "Ascension" manca inoltre l'uso di un qualsiasi tema preordinato (ad eccezione delle poche note dell'introduzione e dell'epilogo), mentre in "Free Jazz" era devoluta alla esecuzione di veri e propri temi (alcuni addirittura di stampo boppistico) la divisione dei singoli interventi solistici. Per finire, Coltrane ha voluto che tutti i solisti, lui compreso, avessero a disposizione pressappoco lo stesso tempo per improvvisare (si va dal minuto e quarantacinque secondi circa di Tchicai ai tre minuti e mezzo circa di Tyner); in "Free Jazz", invece, Coleman ha fatto la parte del leone (il suo a solo dura circa dieci minuti).
(5) Philippe Carles-Jean Louis-Comolli: "Free Jazz - Black Power" , ed. Einaudi, 1973.
(6) Giampiero Cane: "Canto Nero", ed. Guaraldi, 1973.
(7) È interessante rilevare come queste tre note facciano parte di una scala pentatonica (è evidente il rimando culturale alla matrice africana e/o orientale); ma si può dire che Coltrane abbia voluto risalire ancora più indietro nel tempo, costruendo quella melodia iniziale con sole tre note e usando gli intervalli più semplici; questi intervalli si possono trovare odiernamente nei canti popolari di tutti i paesi europei: presso i fanciulli (l'intervallo di terza minore - quello fra Sib e Reb nel nostro caso - è il più spontaneo e il più naturale a riprodursi), nelle musiche destinate ad accompagnare tradizioni di origine antichissima o in regioni molto isolate. Coltrane sembra quindi essersi rifatto volutamente a un sistema antichissimo, primordiale.
(8) Nelle note di copertina è indicato erroneamente l'assolo di Shepp al posto di quello di Tchicai.
(9 - nota integrativa) "Ascension" fu incisa in due versioni complete, registrate entrambe il 28 giugno 1965; i relativi nastri furono etichettati dai tecnici di studio rispettivamente come take 1 e take 2. Nel febbraio 1966 fu pubblicata su disco la seconda registrazione (take 2), oggi comunemente nota come "Edition I". Alcuni mesi dopo, John Coltrane cambiò idea e fece ritirare dal commercio la "Edition I," sostituendola con l'altra registrazione (take 1), su un disco che mantenne lo stesso titolo, la stessa copertina e lo stesso numero di catalogo. Questa versione definitiva (presa qui in esame) è oggi nota come "Edition II": si differenzia per un diverso ordine di entrata degli assolo e per l'assenza dell'assolo di batteria di Elvin Jones.




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