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Discussione: Miles Davis sui musicisti classici

  1. #31

    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    Citazione Originariamente Scritto da tzadik
    Dipende se quelle 1000 note al secondo hanno una logica che l'ascoltatore riesce a cogliere...
    Non tutti i jazzisti sono in grado di fare 1000 note al secondo e non tutti gli ascoltatori sono in grado di cogliere la logica dietro così tante note al secondo... :zizizi))

    verissimo; ma all'ascoltatore possono non piacere le 1000 note secondo senza che per forza debba essere considerato un mentecatto.
    IN VENDITA --> Lebyale LR 7

  2. #32

    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    Attenzione, però, a non mischiare troppo le carte in tavola, altrimenti sembra che la musica classica fino a cento anni fa era come il jazz, mentre non è affatto così.
    L'improvvisazione era una pratica diffusa e importante, ma subordinata alla scrittura.
    Vero è che le cadenze conclusive dei concerti erano per lo più improvvisate dallo strumento solista, ma appunto solo le cadenze, perché il resto era rigorosamente scritto (benché qualche virtuoso di tanto in tanto aggiungeva qualche personale abbellimento); vero è che a volte i musicisti ingaggiavano gare di improvvisazione, ma si trattava di una pratica confinata nell'ambito del divertimento e, in definitiva, il musicista era valutato molto più per come componeva che per come improvvisava; vero è che in alcuni musicisti, come J. S. Bach o Paganini, la propensione a improvvisare era più spiccata, ma proprio per questo tali musicisti oggi si sarebbero dedicati al jazz, che resta l'unica musica occidentale in cui l'improvvisazione ha avuto un'importanza assolutamente centrale e pieno sviluppo.
    Il jazz è una musica con una tradizione in parte scritta e in parte orale, perché vi convivono l'Europa e l'Africa: con tutte le conseguenze che ne scaturiscono e tutte le implicite differenze rispetto alla classica.
    Nè meglio né peggio: solo differenze. Oltre che contingenze e affinità.
    Naturlamente, il fatto che nella classica l'arte dell'improvvisazione si sia inaridita fino a scomparire è, a mio avviso, comunque un segno di mancanza di vitalità, ma sarebbe ingiusto giudicare i musicisti classici tutti come meri esecutori, perché ci sono anche grandi interpreti, che valgono molto più di tanti jazzisti che improvvisano mettendo insieme centinaia di patterns.
    Tenore Buescher Aristocrat Series II / Markneukirchen Klingenthal B&S (di riserva)
    Bocchino Aaron Drake "Jerry Bergonzi" n. 8
    Anche Rigotti n. 2,5 strong
    Legatura Rovner Dark

    Contralto "bandistico" Ramponi&Cazzani primi '60

  3. #33

    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    MI dispiace dover rettificare ma praticamente dal medioevo alla prima (e speso anche alla seconda) metà dell'ottocento l'improvvisazione in musica è pratica diffusa ampiamente, tocca musicisti di varia natura (e non soltanto pochi "eletti") e non è relegata soltanto a aspetti ludici e di divertimento.
    Come già detto, nella messa (la cosa meno ludica di questo mondo), ampi spazi sono DA SEMPRE affidati all'organo che improvvisava sia preludi, interludi, toccate e postludi sia armonizzazioni dei canti gregoriani.
    Nel rinascimento esiste una trattatistica esaustiva (cito ad esempio il Fontegara del Ganassi) dove vengono codificate le regole della "diminuzione" ovverosia una complessa arte di abbellire linee melodiche che portava spesso e nelle forme più complesse a scomposizioni ritmiche lontanissime dalla linea melodica d'origine.
    Non parliamo del primo barocco, nel quale esistevano diversi giri di basso (Ciaccona, Follia, Passacaglia etc...) sui quali virtuosi di ogni genere si esibivano in improvvisazioni estemporanee: tutti i musicisti professionisti del periodo dovevano essere in grado di improvvisare sui suddetti bassi. Tali forme verranno poi codificate e sfoceranno in brani di grande complessità di scrittura, ma la base e l'origine di tali forme è e resta sempre l'improvvisazione.
    Sempre nel barocco, il sostegno armonico d'accompagnamento (il cosiddetto basso continuo) è codificato con delle sigle e va improvvisato sul momento (un pò come i background di un pianista in un quartetto jazz, ovviamente con maggiore rigidità e rispetto di regole codificate).
    Nell'ottocento, periodo in cui si assiste alla "nascita" del compositore come entità suprema e indiscutibile, che porterà alla fine della pratica improvvisatrice nella musica "colta", era ancora comune (anche tra gli strumentisti a fiato...) improvvisare variazioni su celebri temi d'opera o melodie popolari. L'improvvisazione estemporanea inoltre era pratica diffusa e comune soprattutto tra i pianisti di "salon". Questi sono soltanto alcuni esempi ma ce ne sono altrettanti se si vuole approfondire, ma non mi sembra il caso.

    Poi si può discutere delle enormi differenze tra Jazz e "classica" che in ogni caso ci sono ma a mio parere riguardano maggiormente la concezione ritmica (cosa nella quale il Jazz è stato davvero rivoluzionario). L'improvvisazione in ogni caso ha sempre avuto un ruolo importante e non era semplicemente relegato a momenti di svago.

    Si, spesso l'improvvisazione portava a una formalizzazione scritta ma ricordo che la scrittura nella musica del passato aveva SEMPRE una funzione "mnemonica" (richiamare alla mente ciò che si era suonato) e non sempre esatta.
    Dal sopranino al baritono R&C
    http://www.davidbrutti.com

  4. #34

    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    Solo per chiarire.
    Quando cito J. S. Bach e Paganini, non li considero "eletti", ma solo musicisti con una propensione maggiore all'improvvisazione (Paganini non si ripeteva perché un improvvisazione non si può ripetere). So bene che l'improvvisazione era diffusa e non riguardava solo pochi musicisti.
    So anche che non era relegata solo ad aspetti ludici e di divertimento, ma nel jazz l'improvvisazione ha sempre avuto un ruolo così centrale che di aspetti ludici o di divertimento non si può neppure parlare.
    Non ho mai negato l'importanza dell'improvvisazione nella classica fino ad un certo momento della sua storia (il basso continuo organistico l'ho pure studiato), però non credo si possa mettere in dubbio il fatto che proprio nella classica è sempre stata più importante la scrittura. Anche se in origine, nel canto gregoriano, e in altri contesti pure in seguito, la scrittura aveva scopo mnemonico, inevitabilmente essa finiva col cristallizzare la musica in una partitura. In fondo, è per questo che nella società della scrittura, in Occidente nata al tempo di Platone e oggi minacciata dalla sovrapposizione della società delle immagini, si scrivono i libri.
    D'altronde, che certe forme improvvisate erano destinate ad essere codificate in brani scritti, mi sbaglierò, ma mi sembra una prova della subordinazione dell'improvvisazione alla scrittura (peraltro, questo procedimento è proprio anche di tanto jazz classico, con la differenza che il solo non veniva scritto, bensì imparato a memoria esecuzione dopo esecuzione).
    Le differenze di procedimento di produzione della musica tra jazz e classica hanno le loro radici nella tradizione orale, di provenienza africana, che nel jazz è stata essenziale, anche solo come trasmissione delle regole, nella classica no (o non altrettanto e con una provenienza eventualmente diversa).
    Naturalmente, non va neppure commesso l'errore di trascurare l'importanza della scrittura nel jazz, altrimenti di Ellington che dovremmo dire?
    Il topic è andato evidentemente fuori tema.
    Peraltro, il discorso è molto più complesso, perché personalmente penso che l'improvvisazione sia di fatto un elemento centrale nel jazz, ma non essenziale come la concezione ritmica, quella in effetti rivoluzionaria in sé. Una composizione pressocché integralmente scritta come "Diminuendo and Crescendo in Blue" di Ellington è jazz perché ne rispetta il linguaggio ritmico e timbrico.
    L'unico criterio valido di giudizio per valutare la musica è, comunque, il risultato finale, non importa se si tratta di un improvvisazione o di altro, importa se ha significato in sé.
    Non so se David ama improvvisare, ma quel che conosco della sua musica è superlativo! E' un onore per me confrontarmi con lui. Infatti, lui rettifica e io mi limito a chiarire il mio pensiero.
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  5. #35

    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    Personalmente amo moltissimo improvvisare anche se mi confronto più con l'area dell'improvvisazione d'avanguardia.
    Inoltre, nella contemporaneità, se si vuole avere un connubio con l'elettronica (anche colta) occorre come dire possedere le "orecchie aperte" in quanto bisogna reagire in tempo reale agli impulsi che derivano da macchine che tra l'altro spesso trattano il suono in tempo reale con risultati ogni volta diversi. Ecco quindi che il discorso dell'improvvisazione torna
    Il Jazz nudo e crudo lo studio e (soprattutto) ascolto con attenzione e rispetto ma mai mi sognerei di esibirmi suonando in questo stile (sempre per un fattore di rispetto verso chi lo pratica con dedizione e serietà).

    Concordo che da un certo punto in avanti (dal '700 in poi) l'improvvisazione sia stata per così dire "cristallizzata" favorendo la concezione del compositore-creatore che vedremo esibita in tutta la sua maturità con Beethoven a discapito del compositore-improvvisatore (Frescobaldi, Kapsberger, Marais, e così via...).
    Hai espresso molto bene il concetto!
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  6. #36

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    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    non penso sia sia usciti dal tema del topic. La provocazione di Miles serviva anche per arrivare a questo. Molto interessanti gli ultimi interventi :half:
    Se potessi viaggiare nel tempo tornerei indietro per diventare il padre di Kenny G.
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  7. #37

    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    Che dal '700 in poi l'improvvisazione sia andata cristallizzandosi, favorendo la concezione del compositore-creatore che toccherà il suo apice nel periodo classico, era inevitabile in una società che ruota intorno alla scrittura dal IV secolo a.C. (e, pur richiamandomi a quanto già espresso, ciò dico senza nulla togliere all'importanza dell'improvvisazione fino al Rinascimento e al primo Barocco).
    Il jazz è anche il prodotto dell'incontro dell'oralità propria delle società dell'Nord Africa subsahariano, da cui fu deportata la stragrande maggioranza degli schiavi negli Stati Uniti del Sud, con la società americana della scrittura (di origine europea).
    Ed è proprio la componente orale del jazz ad impedirne la cristallizzazione nella scrittura.
    Anche se, naturalmente, non ha potuto impedirne, anzi ha favorito, la cristallizzazione in formule.
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  8. #38

    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    Grazie, LucaB.
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  9. #39

    Re: Miles Davis sui musicisti classici

    volendo sintetizzare; il jazz nasce dall'incontro del blues con l'american songbook, (cioè dall'incontro di musicisti africani con musicisti ebrei o italiani), cioè dei modi tramandati per ascolto con la musica scritta.
    C'è da dire che l'approccio iniziale è ancora essenzialmente di tradizione orale, ma procedendo, con la maturazione delle conoscenze armoniche e con le bande di dimensioni sempre maggiori, verso l'uso di partiture e schemi prefissati.

    Una grandissima interprete, che invero rifiutava l'etichetta di "jazz singer", ma che ha certamente mantenuto il legame con la terra d'origine e la sua concezione magica della musica; Nina Simone, iniziò la sua carriera in locali dove suonava le canzoni classiche o del momento tutte completamente a memoria, apportando le variazioni che sentiva opportune di volta in volta, pur avendo avuto una preparazione classica rigorosa.
    Consiglio caldamente a tutti la sua biografia; "Nina Simone, Una vita" di David Brun-Lambert, UE, la testimonianza drammatica di una delle più grandi musiciste afroamericane del secolo scorso, cioè di sempre :half: .

    Due cose in fondo hanno portato il jazz verso una sempre maggiore formalizzazione, se non in partiture, in schemi e patterns; l'industria discografica che costringeva a moduli tipici come tema - improvvisazione - tema, e le grandi orchestre dell'era swing che per la complessità degli arrangiamenti, (ma anche per eseguire ogni volta il brano come si sentiva nei dischi) richiedevano partiture dettagliate anche negli accenti e nelle modulazioni.
    Oggi sembra che il legame ancestrale con il suono che nasce dall'occasione, si sia sciolto per lasciare il posto a tecniche raffinatissime, (ormai gli insegnanti delle grandi scuole insegnano a imparare a memoria temi e improvvisazioni, a liberarsi sempre più dallo scritto, ma per mezzo di una sistematicità e di una grammatica estremamente rigide che nulla hanno a che fare con la vitalità delle origini, almeno a sentire dai risultati.
    Acusticamente si potrebbe dire che si è passati dall'analogico al digitale, cioè dalla trasmissione alla simulazione.
    Naturalmente si deve dire che ci furono musicisti diplomati fra i primi jazzmen e che ancora c'è chi non si lascia ingabbiare dalla classificazione che sta subendo il jazz oggi.
    ____________________________________________
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