verissimo anche questo!Tanto certi esecutori accademici quanto certi jazzisti sono, oggi, speculari: recitano "a soggetto" una parte che è sempre la stessa...improvvisare tenendo come riferimento solo un giro di accordi, ormai non porta da nessuna parte, nè ci sono i margini per essere creativi: si dimostra solo di "essere competenti" rispetto ad un certo stile...e nulla piu'! Cicli poliritmici, sezioni pluritematiche, nuove sperimentazioni timbriche, accostamenti di stili differenti e quant'altro possono portare la "direzione improvvisativa" verso nuovi lidi...
Propongo un paragone...un artista che dipinge opere personali,magari solamente ispirate ai grandi,e un abilissimo falsario (anzi,qualcuno che produce falsi d'autore).Questo ultimo alla fine esegue un capolavoro che è stato pensato e prodotto da un altro grande artista,esattamente con un musicista ricalca quel che il compositore voleva trasmettere.
Anche un jazzista,quando esegue uno standard,ma non è un ricalcare quanto un raccontare,come un nonno lo fa ai nipoti,riempiendo di proprie esperienze e invenzioni il racconto.
Purtroppo,personalmente,non riesco ancora a vedere dove sta il margine di libertÃ* che si cela dietro un musicista classico. Voglio dire,vogliamo paragonare una composizione istantanea di un jazzista,ad una esecuzione di un brano letto? Fino a che punto questa famosa "interpretazione" dietro la quale si celano le libertÃ* (musicali) di un musicista classico si spinge? Parlo di una bilancia artistica...non riesco proprio a equiparare le due vie per esprimere la musica..posso farlo solo a patto che l'esecutore sia anche il compositore