Secondo me la questione si riduce alla considerazione che c'è bella e brutta musica, in altre parole quello che ci piace e quello che non ci piace.
In passato ci sono stati progetti complessi, come il citato a Love Supreme, The Freedom Suite, oppure i lavori di Charles Mingus, o ancora di Shorter, ma o sono stati criticatissimi (vedi Mingus) o erano permessi all'artista quando questi aveva giÃ* raggiunto un livello di fama, e di commerciabilitÃ*, molto elevato. Ma tali dischi erano la minoranza rispetto a dischi semplici di 5-6 pezzi raccolti solo per fare quello specifico disco e onorare un contratto con la casa discografica.
Oggi produrre e distribuire un album è molto facile, ci sono moltissime etichette indipendenti e sempre più spesso l'artista è anche produttore di se stesso (oltre che di altri artisti sempre del suo giro). I costi si sono ridotti notevolmente e per la distribuzione ci si affida ad una major o ad un canale specifico (es Amazon, Artistshare, Itunes).
Parlando di jazz, l'unico genere che ascolto ormai, i musicisti hanno libertÃ* di fare realmente ciò che vogliono, cosa non vera in passato, pertanto i loro dischi rispecchiano realmente i loro progetti. Sempre più spesso infatti un CD è in realtÃ* un progetto completo con un significato che rispecchia la volontÃ* dell'artista.
La lunghezza è correlata a ciò che l'artista vuole dire, se poi a noi non piace può essere lungo o corto ma non ci piace e basta.
Esempio, Compass di Redman, molto lungo, a mio giudizio favoloso, è un progetto complesso, Redman è il produttore, ogni pezzo ha un significato preciso ed anche i musicisti (il double trio) variano a seconda del pezzo stesso e delle loro caratteristiche sonore, salvo un pezzo dove addirittura viene specificato il musicista ed il canale dal quale esce il suono.
Come lui potrei citare Scofield, Dave Douglas, Rosenwinkel, Fly, McCaslin, e quasi tutti quelli che conosco.