OT. Sono settimane che ascolto qualsiasi cosa di Massimo Urbani, artista che conosco da tantissimi anni e di cui ho ascoltato molto, ma adesso è proprio un interesse vivo. Mi piacerebbe capire come mai a un certo punto ci si fissa con qualche artista, musicista, gruppo.





Registrazione decente di un concerto a Vicenza di Massimo Urbani, questo di seguito è il primo brano. Ho trovato anche una recensione in proposito, dato che il disco è stato pubblicato nel 2017; ne riporto un pezzo, quello che si riferisce a questo brano:

"Al netto della precaria registrazione, realizzata con un vecchio apparecchio a nastro, questo live di Massimo Urbani meriterebbe davvero una “deluxe” edition natalizia, di quelle in cofanetto con vinili, documentari, libri fotografici e dotti approfondimenti allegati. Al centro c`è uno dei “massimi” (mai gioco di parole fu più giustificato...) sassofonisti italiani di sempre, romano e romanista, di umili origini, con un cuore troppo fragile e sensibile per sopravvivere al suo genio. Urbani ci ha lasciato nel 1993 al termine di una vita breve e tormentata, stroncata dalla sua dipendenza dall`eroina, eppure sono bastati pochi anni di carriera per scrivere pagine memorabili. Tra le tante, anche questo concerto tenuto al teatro San Marco di Vicenza il 6 maggio 1984 e meritoriamente pubblicato dalla Philology, in quartetto con Marcello Tonolo (pianoforte), Marc Abrams (basso) e Valerio Abeni (batteria).

Pare quasi di avvertire un`atmosfera di silenziosa attesa nel teatro, fra il pubblico e i suoi colleghi sul palco, per quel che Urbani sta per tirare fuori fuori di volta in volta dal cilindro. Così il pianista Franco D`Andrea ne descriveva lo stile: “Aveva una ricchezza e un`espressività molto forti, aveva profondità di suono. Suonava il free jazz, quello vero, all`epoca in cui non era ancora una moda; lui era autentico, era l`ultimo Coltrane. Aveva l`urlo giusto di Ayler, o di Gato. Quella nota acuta, liberatoria, ma non potente o invadente. L`espressività era quella di Coltrane, teneva la tensione per venti minuti. Aveva uno spessore enorme”. L`ascolto di questo doppio conferma le sue parole: se il linguaggio di partenza è parkeriano, mediato anche attraverso l`ascolto di Sonny Stitt, l`approdo è molto più complesso della semplice copia di un inarrivabile modello, qualcosa che ricorda di più l`intensità sempre sul punto di esplodere dell`ultimo Coltrane. Soprattutto è una musica carica di un insopprimibile senso drammatico. Persino nell`ultimo pezzo, la ballata Search Of Peace di McCoy Tyner, pensata come coda finale più morbida della performance, la tensione non si acquieta mai del tutto, e le frasi melodiche si mischiano a qualche inaspettato e geniale “schizzo” di follia.

Sprazzi melodici, emozioni intrise di poesia maledetta, corse forsennate e sfoggi di gran tecnica, “urla” e acuti: c`è già tutto nell`iniziale Massimo Tune, una torrenziale autobiografia in musica di quasi 20 minuti. Il fraseggio è ad alto voltaggio, tirato al limite e ricco di contrasti, ma capace sempre di catturare l`attenzione, una qualità che è solo dei grandi. Tutto è decisamente istintivo, ma al contempo tutto ha un senso preciso
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https://www.mescalina.it/musica/rece...-6-maggio-1984



Il brano:

https://www.youtube.com/watch?v=mGy4fT-kJvU