Dolphy è stato, per molti anni, la mia ossessione/ispirazione: per un lungo periodo, sono stato definito "dolphiano" nell'approccio improvvisativo che mi caratterizzava... non credo che si possa amarlo di piu' comprendendo da un punto di vista analitico-intellettuale la sua "ricerca" ovvero credo che se anche possediamo una "chiave" di lettura per interpretare questo o quell'artista, ma dentro di noi non "scatta qualcosa"... una sorta di "immedesimazione animica"...a poco o a nulla serve comprendere cosa sta facendo!
Dolphy era avanti a tutti e conosceva le "regole" meglio di chiunque altro; il piu' "avangarde" dei sassofonisti della fine degli anni '50, era un profondo conoscitore del blues: "Serene" e "245" sono i blues piu' "struggenti" che siano stati composti nel jazz moderno...a mio avviso, insuperati e insuperabili...
Dolphy non "suona", ma parla con i suoi strumenti...la sua ricerca timbrica-sonoriale, soprattutto al sax contralto e al clarinetto basso è una "trasfigurazione emotiva" di tutte le possibili inflessioni della voce umana: il grido, la risata, il pianto...c'è una grande ironia e humor nel suo stile, a volte non facilmente "decifrabile" perchè la quantitÃ* di "allusioni" o "citazioni cifrate", richiedono una conoscenza musicale che esula dallo "specifico jazzistico"...nonostante, lui si ritenesse un musicista jazz, a tutti gli effetti (anche Zappa, che ha scritto un brano dedicato a Dolphy, si riteneva un intrattenitore, un musicista rock: ma non c'era un musicista rock che era come lui o che poteva nemmeno lontanamente paragonarsi a lui!)
La sua "ascendenza parkeriana" al contralto è fin troppo evidente: non esiste nessun sassofonista del jazz moderno (contraltista in particolare, ma non solo...) che non abbia dovuto fare i conti con l'ereditÃ* lasciata da Parker; ma è evidente che ciò non significa "scimiottare" o copiare Parker...ma trarre dal "linguaggio parkeriano" quelle "implicazioni" insite in un simile stile che ha rivoluzionato l'improvvisazione nel jazz: in tal senso, anche Ornette Coleman, deriva da Parker...solo che da una prospettiva del tutto diversa rispetto a Dolphy!
Esemplificando...Parker sostituisce gli accordi del "turnaround" (la cadenza canonica II V I che ribadisce il "ritorno" all'impianto tonale di un brano) e gioca a "variare/sostituire" in continuazione gli accordi di "I got rythm" di Gershwin (sorta di brano "archetipo" sulla cui struttura armonica "riveduta e corretta" sono stati creati "jazzisticamente" centinaia di altri "brani") oltre che sulla struttura canonica del blues; Dolphy fa un' operazione piu' sofisticata e "concettuale": la sua preparazione "accademica" gli consente di "sovrapporre" agli accordi base di qualunque brano, un'altra serie di accordi...nella fattispecie, dal punto di vista verticale, la sua è un'improvvisazione politonale...questo, in misura maggiore, quando suona il sax contralto...
Sul clarinetto basso, la sua "maestria" si esplica nel deformare la melodia piu' anodina o sensuale...per farne una "surreale caricatura"...inoltre, certe sue "sperimentazioni" nelle fascie piu' gravi dello strumento ricordano la musica pigmea: gli "effetti armonici" del djdgeridoo...
Sul flauto, sembra piu' rivolto alle ricerche delle avanguardie europee del primo e secondo Novecento: pur avendo "rivitalizzato" il "lessico flautistico" di nuova energia, in realtÃ*, va segnalato che non userÃ* mai l'"ultrasoffio" (come faceva un altro grande polistrumentista, Rahshan Roland Kirk) ma si concentrerÃ* soprattutto sulle possibilitÃ* della fascia acuta (soprattutto nelle sue "chiusure a mulinello") e durante la sua ultima fase sugli "effetti multifonici"...l'agiografia che vuole Dolphy che imita gli uccelli, mi appare come una "cartolina naif", irreale e poco credibile: in Europa, c'era un compositore, Olivier Messiaen, che studiava "musicalmente" il canto degli uccelli, trascrivendo sulla carta i loro versi...e li inglobava nel suo "linguaggio compositivo" (ascoltate "Oiseaux esothiques" per ensemble orchestrale e "Le merle noir" per flauto e pianoforte...su Youtube esistono buone versioni...)...Dolphy ha conosciuto Messiaen (in senso compositivo) per tramite di G. Schuller, così come ebbe modo di conoscere Edgar Varèse (personaggio unico delle avanguardie del Primo Novecento: a lui si deve il primo brano per sole percussioni "Ionisation" quanto il primo brano di musica elettronica della tradizione musicale europea, realizzato con le onde Martenot "Poème electronique") il quale gli diede alcuni consigli circa l'esecuzione di "Density 21,5" per solo flauto, che Dolphy eseguì pare in un paio di contesti "third stream"...
Dolphy, come Zappa, era "ossessionato" dalle "fascie sonoriali estreme" quanto dalle "assimetrie ritmiche": entrambi, ricercavano "nuovi effetti armonici/melodici"...che rivelassero la "densitÃ*" del tessuto sonoro...armonie di timbri...tipici della "ricerca varèsiana"...
C'è una "teatralitÃ* fonica surreale" nell'universo espressivo di Dolphy...esemplare e irripetibile, per bellezza e amaro sarcasmo, il suo duetto finale con Mingus nel brano "What love"...il suo ultimo disco (ahimè) "Out the lunch" è in realtÃ* il suo primo: era l'inizio di un "percorso personale" che aveva cercato e finalmente trovato, a costo di immani sacrifici e di derisioni/denigrazioni non facilmente "sopportabili"...
Dolphy è il "nume tutelare" del jazz europeo (l'ho giÃ* abbondantemente spiegato nell'apposito topic)...la sua "anima", a mio avviso, ha lasciato una lezione ineguagliabile, ancora attuale: improvvisare non significa seguire "clichè" o strade giÃ* conosciute...perchè in quel caso l'improvvisazione sparisce e diventa "variazione accademica" su un "canovaccio" conosciuto o giro d'accordi (la "nomenclatura" della "didattica jazz", oggi, insegna a "variare"...non a improvvisare!)...l'improvvisazione è come la vita... pensi a qualcosa, fai progetti... e nel frattempo attorno a te succede altro...e sei costretto a dare una risposta immediata, provvisoria ma necessaria...il resto è solo retorica!