Credo che tutto sia dimensionato in base al mercato... a quello che la gente vuole sentire.

Da noi (in Italia) è vero che si fa jazz di qualità da quasi 50 anni... però a livello sociale non c'è quel riconoscimento che c'è per esempio in altre "culture" (diciamo così).
C'è una scena vasta anche in Italia... si fa tanto jazz mainstream in Italia.
Ma c'è tanto mainstream anche negli Stati Uniti.

Poi è vero la scena americana è più vasta e se si fa qualcosa di nuovo o di "avanguardia"... le notizie arrivano in fretta anche qui. Però è facile conoscere i vari "portavoce" dei vari stili, più difficile magari che questi artisti arrivino in Europa in festival grossi (Vienne, Montreux, Marciac, North Sea... Umbria Jazz... e via così).


Rava ha quasi 80 anni... quello che doveva dire l'ha detto ora viene celebrato e fa il Rava della situazione... è giusto così.
Anche tra i jazzisti americani succede... esempio: senti come suona Hancock adesso (a 75 anni) e senti come suona Chick Corea (che ha 74 anni)... ma oltre a come suonano, anche la produzione discografica attuale.

Credo che lo scopo dei grossi jazzisti europei (escluso qualcuno veramente grosso... mi viene in mente solo Dado, ora come ora) non sia proprio quello di emulare quello che fanno gli americani.

Anche la comunità di jazzisti europei che sono stabili a New York (esclusi i sideman ovviamente) tendono a fare cose cose diverse (qualitativamente) da quello che fanno gli americani... è un discorso anche di cultura personale, secondo me. Poi chiaramente in un ambiente molto attivo (in termini di circolazione di idee e di persone) è naturale che salti fuori qualcosa di nuovo e "rivoluzionario", a intervalli diciamo quasi regolari.