L'impostazione della tastiera dei sax è ormai la stessa in tutti gli strumenti. Le differenze sono minime, e l'allievo può superarle nel giro di una lezione. La sonorità non la dà il sax da solo, ma una combinazione di sax, bocchino, ancia, e soprattutto tecnica. Delangle lavora per Selmer, eppure ha a lungo usato un bocchino Vandoren al posto dello "standard" S-80. La maggior parte dei sassofonisti, dopo il diploma, si prende un Mark VI, che è molto diverso dai Selmer moderni. E ci sono grandi strumentisti (vedi il nostro David Brutti) che non si fanno problemi a suonare su strumenti italiani (e il suo suono, nei dischi suonati con R&C, non mi sembra "strano", "eretico", "dilettantesco").
In questa chiusura (che è un poco professionale invito alla mancanza di flessibilità) vedo solo molta ottusità. Non è strano che ormai l'Italia produca così poca musica e che buona parte dei musicisti li si ritrovi esuli all'estero. È vero: la didattica italiana prepara l'occupazione del posto fisso a scuola, e raramente si ricorda di preparare professionisti dotati di apertura mentale e senso pratico.
Del resto, quando studiavo composizione si studiava su testi incredilmente vecchi, datati, inservibili. Ma erano pubblicati dai grandi editori musicali, e figurarsi se si poteva adottare per orchestrazione un Piston al posto di un vetusto Casella, o per armonia un De La Motte o un Piston al posto dell'orrido Farina (più un libro di ricette che di analisi). Anzi, a scuola girava voce che fossero libracci, che gli americani e i francesi non capivano niente di musica, e che a leggere quei libri ci si rovinava.
Paolo