Ieri ho rimesso bocca al soprano, e ho passato la prima mezzoretta a cercare il suono, che ostinatamente insisteva a nascondersi. Per mezzora ho combattutto contro un suono duro, brutto, che ho domato a fatica solo alla fine. Ma ho preso la situazione come una sfida, e ne ho approfittato per esaminare un po' la mia tecnica.
L'imboccatura non è affatto matura. Devo lavorare per renderla più salda, meno imprevedibile. Quella del soprano deve essere infinitamente più stretta che quella del flauto. Rilassata, ma stretta. Per il flauto bastano due muscoletti si lati dell'ovale, con il soprano serve tutta la massa di muscoli ai lati e attorno alla bocca. A parte quello che va nel sax, non deve perdersi un filo d'aria.
La gola tende a chiudersi, ad articolare. Non si deve fare. Non deve esserci nessun ostacolo dal fondo dei polmoni alla campana del sax. Il percorso deve essere diretto. La gola deve essere rilassata. Pensare alla nota non significa cantarla. È particolarmente difficile non tentare di articolare le note più basse e quelle più alte, ma è lì il segreto di un suono - per l'appunto - non strozzato. Inspirare a pieni polmoni, espirare verso la fine del sax. L'ancia deve essere travolta da un fiume in piena, inarrestabile.
La respirazione deve essere piena. Questo l'ho scoperto soprattutto con il flauto: la respirazione non è funzionale all'attivazione del suono: è semplicemente respirazione. Lo strumento si trova in mezzo e trasforma il respiro umano in suono. Nulla deve fermare il suono, come nulla deve fermare un fiume.
Pensando di sostituire un'ancia difficile (Rigotti Classic 2,5 Light) con una più facile, nel buio ho in realtà messo un'ancia un po' più difficile (Rigotti Classic 2,5 Medium). Meglio, perché non ho potuto scegliere scorciatoie, e ho dovuto concentrarmi sul timbro. Qual è la voce del mio sax con questo setup (Meyer + ance classiche)? È un timbro cangiante salendo di registro. Le note più gravi sono clarinettistiche; hanno senso solo se rotonde, levigate, suonate con tanto fiato e tenute sempre sotto controllo. Se non ci si mette di mezzo la glottide, è insieme un suono nobile e imponente.
Più in alto, tra il Mi' e il Fa', il timbro passa ad oboistico. Non un oboe smilzo ed esile, ma un oboe pieno, vibrante, dolce e senza ruvidezze. Una voce umana un po' nasale, come la nasalità velata dei francesi che parlano bene. Più in su, più o meno dal Re'', la nasalità scompare quasi completamente, e una cantabile dolcezza predomina. Siamo ai margini del territorio dell'oboe, ma è un suono diverso, nuovo, proprio di questo strumento. È il suono commovente e lunare del soprano contemporaneo.
Più in alto, dal La'', le cose tornano a farsi difficili. Il timbro deve rimanere lo stesso del registro immediatamente inferiore. Può farlo, se la gola è libera, la pressione costante, l'imboccatura assolutamente salda (è l'unica a tenere fermo lo strumento, ora che le dita sono quasi tutte sollevate). Siamo nel territorio dell'oboe, di nuovo: un registro difficile, che non deve diventare penetrante, ma puntare ad una purezza ariosa, quasi da flauto ma senza sfibrarsi come un flauto. (Sfibrarsi: le lezioni di flauto di Pahud mi stanno insegnando che il flauto non deve sfibrarsi: sono lì apposta le diteggiature alternative che lasciano il suono compatto e pieno, alla facciaccia dei manuali scolastici).
Lasciamo incontrare i due mondi, senza che si fracassino.
Paolo