Ciao,
Non so se sbaglio, ma se sbaglio forse sbaglio giusto. Finora ho sempre cercato di lasciar fluire un getto d'aria "pura" sull'ancia, immaginando di indirizzare il getto nello spazio sottile tra l'ancia e l'apertura del bocchino. Ho sempre evitato di mettere di mezzo le corde vocali.
Nello sperimentare sulle note acute, però, un articolo trovato chissà dove* mi ha ispirato ad usare la glottide come camera di risonanza, ovviando alla mancanza di risonanza del tubo del sax (su quelle note ormai irrilevante, a parte una lontana interferenza della campana).
Intendiamoci: la glottide non deve essere usata per emettere suoni, come quando si canta. È semplicemente lasciata libera di entrare in risonanza con la nota, come se si liberassero le corde di una chitarra e le si lasciasse entrare in simpatia con la nota suonata su un'altra corda. Se la frequenza è compatibile, il risultato è un aumento dello "spessore" della nota.
Ecco, è quello che mi sembra di sentire: il mio suono diventa più grosso e più pieno. Le note gravi, in genere più difficili, diventano facili e non rischiano di gorgogliare. Se il flusso d'aria resta controllato e sottile, il suono non si "slabbra", resta sempre focalizzato, anche se sempre pronto a liberare una gran massa di armonici.
Insomma, faccio bene a sbagliare? La fisica sembrerebbe darmi ragione, ma non so cosa ne pensi l'arte.
Paolo
*(Non è chissà dove; eccolo qui: http://www.phys.unsw.edu.au/jw/reprints/SaxJASA.pdf ).