Ciao a tutti,
Insomma, studiare i metodi base di Londeix e Lacour farà pure bene, si affronteranno questioni meccaniche con l'aiuto di pezzettini carini e ingegnosamente concepiti, ma - se le prime pagine del Lacour vi fanno pensare all'opera lirica franco-italiana di fine Ottocento, a guardare le ultime pagine dello stesso metodo si capisce che la destinazione del giovane sassofonista sarà probabilmente in una banda militare.
E se non fosse quello il repertorio, lo stile, l'impostazione che ci interessa per la nostra brillante carriera futura di anarchici jazzisti free, suonatori di atroci dissonanze, avventurosi riscopritori del patrimonio delle launeddas e del saltarello?
Clandestinamente, io mi diverto ad integrare i pezzi istituzionali con incursioni nel repertorio oboistico e clarinettistico della grande tradizione europea. I Concerti Brandeburghesi di Bach mi sembrano anche ottimi esercizi meccanici. Ieri ho scoperto quanto bene vengano - e quanto bene facciano alla formazione del suono - i pezzi di Brahms con clarinetto protagonista (il Quintetto, che va però trasposto un semitono sotto, visto che Brahms lo ha pensato per il morbidissimo clarinetto in La, e le due Sonate, che invece si leggono così come sono scritte).
Il pregio di questo studio è duplice: si legge grande letteratura, abituandosi ad un linguaggio assai più raffinato di quello dei compositori minori da studiare per dovere; e (importante per me compositore) se ne approfitta per analizzare opere importanti dall'interno.
Lo so: come quando studiavo pianoforte, mi piace perdere tempo e non arrivare nemmeno al diploma. Ma se il diploma non è previsto, non vale la pena di approfittarne per studiare musica?
Paolo