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Discussione: ma cafiso adesso

  1. #31

    Re: ma cafiso adesso

    Citazione Originariamente Scritto da re minore
    Alla fine la questione e' molto semplice: la tecnica e' un mezzo (indispensabile) che non deve diventare un fine. A me sembra che qui la tecnica sia abbastanza fine a se stessa, ma chi puo' dire se e' veramente cosi? Io non sono nella sua testa e non posso sapere se sta soffrendo, gioendo o semplicemente mostrando quanto e' bravo. Sono portato a pensare che stia percorrendo con passione la sua strada, ma ascoltarlo (detto con tutto il rispetto per la persona e per la straordinaria abilita') non mi dice niente
    Sono daccordo con re minore perchè anche riconoscendo la bravura tecnica che ha Cafiso secondo me un "artista" è tale se riesce a trasmetterti quello che ha dentro, se ti fa emozionare con quello che "dice" , ammesso che lui abbia qualcosa da dire deve ancora trovare il "suo" modo di trasmettrlo. Forse Cafiso ha l'X factor o forse no, fatto sta che per trovare la propria strada tutti i "grandi" hanno esplorato ... diamogli tempo.
    SS YSS 475 I, ottolink 5 rico jazz 3s
    AS YAS 62, ottolink EB 0.83, java red 2
    TS SA80 II, kiver M VII, berg larsen duck billy 100,java red 2½
    CL Buffet E13L, buffet standard, Vandoren blu 2½
    FL YFL 331

  2. #32

    Re: ma cafiso adesso

    Di fronte ad una espressione artistica a volte ci si pone in modo categorico e ci si scontra ( o pro o contro) come in questo caso (e non é la prima volta) dimenticando prima di tutto che i gusti sono gusti. Un artista a volte cerca di fare, di tirare fuori quello che ha, c'é chi si esalta chi resta freddo e chi invece non condivide.

    Un attimino che vi (mi) spiego l'invidia: non ho inteso dire che chi fa una critica é di base un invidioso. L'invidia, e qui parlo per me, potrebbe essere un assurdo ma... come mi farebbe "soffrire" a essere come lui però quanto vorrei provare quel "fastidio" di avere una vita piena di contatti, partecipazioni, concerti già da piccolo. Verrebbe da dire "Se avessi io il talento suo..."! Non era rivolto a voi, non so se sono riuscito a spiegare.

    Il mio atteggiamento di fronte ad un artista, ad un musicista jazz, che prima di tutto é un uomo, con la sua cultura, con la vita quotidiana, con il suo stato emozionale, parte dall'ascolto senza preconcetti. Cerco in quell'istante di incrociare una vita con la mia e vedo cosa ne scaturisce. E se il tutto avviene "live" sento che ha tutto un altro valore rispetto all'incontro che avviene per mezzo della registrazione fruibile in ogni momento e di fronte alla quale non riesco a entrare in ascolto con tutti i sensi, ma riesco guarda un pò ad essere "ipercritico" aiutato anche dai mezzi informatici ( al secondo tot. fa questo mentre al secondo tot. fa quest'altro, ecc).

    Io a questo giovane auguro di avere ancora molto da dire e di trovare il modo di dirlo con convinzione e cultura.
    S Borgani J Pearl Silver, Bari Dakota 68
    Sc Rampone R1j curvo Rame Bari 68
    A Borgani J Silver, Dukoff D7 Lakey 4*4
    T Borgani J Pearl Silver, Drake NY J 8* Rousseau 8* JJHR 8*
    B MG Unlacquered Silverneck, Drake 120
    Akai Ewi 5000

  3. #33

    Re: ma cafiso adesso

    Quoto alla grande il Doc..
    TENORE KEILWERTH SX 90R;ABSOLUTE ST PLUS 8*;DRAKE JAZZ 8;
    ALTO YANAGISAWA A902;JODY JAZZ HR 6M
    SOP. GRASSI PRESTIGE DELL' 81;VANDOREN V16 S6
    Ance:Dipende

  4. #34

    Re: ma cafiso adesso

    Citazione Originariamente Scritto da docmax
    ... "Se avessi io il talento suo..." ...
    Il punto dell'invidia e' proprio questo! Occorre capire, secondo me, che non puoi avere il talento suo e restare te. Il talento e' parte integrante del proprio se', non e' una cosa che "si ha" ma e' una cosa che "si e' ". E non mi dire che daresti in cambio la tua vita per quella di qualsiasi altro al mondo, a tua scelta... Non ci crederei!
    Segretario Mark VI Society
    Non e' importante dire sempre tutto quello in cui credi, ma e' importante credere sempre in tutto quello che dici

  5. #35

    Re: ma cafiso adesso

    In questo brano si c'è roba di lovano, ma c'è anche phil woods(nel sound e qualche frase) camuffato un pò con un eric dolphy approach.. cafiso e' un grande talento nel'imitare i vari dialetti, stili ecc e un grande strumentista dal punto di vista tecnico ( velocità, effetti, controllo ecc) ..detto questo il musicista e la musica sono altro..non scambierei due note di k.garrett con l'intera discografia di cafiso se proprio devo dirla..garrett (parliamo di un musicista ancora vivente e non centenario!!!) nel 1980 suonava gia come" k.garrett" e basta, con il suo modo di approcciare al fraseggio, armonia e al sax..e facendo la metà delle imitazioni e anche note che fa cafiso e avendo il dono di una enorme intensità emotiva quando suona, che ti arriva addosso e ti investe..(parlo anche di quando suona una ballad e fa solo due note magari sparate in battere a pieno stile funk). Se si leva Garrett si leva un modo di suonare l'alto, " un sound", un approccio.. mentre se domani levate cafiso, non cambia niente ne per il sax contralto ne per la musica, il suono del sax contralto di cafiso in senso di pura timbrica e voce è un suono molto "banale" di sax alto,tipico sound come troppi ormai all phil woods e finita li.. Qui non si parla di essere bravi a suonare il sax ( ovvio che cafiso lo sia ) , si parla di musica, di creare un proprio modo, avere "peso", far venire in qualche modo in pelo dritto, avere una propria voce. Mi auguro che la trovi in futuro..PJM
    Sop: Mark VI 267xxx- Yamaha 62R
    Alto: Mark VI 133xxx - Mark VI 220xxx
    Ten: Mark VI 163xxx- Mark VI 189xxx
    Bar: Selmer Mark VI 168xxx
    As: Meyer NY 5M ( '60)-Selmer long F ('65)
    Ts: F.Gregory MkII - Guardala vintage Studio e MB2- B.Evans 1AO

  6. #36

    Re: ma cafiso adesso

    ma perchè invece di " levare" non proviamo a fare il contrario.
    sax tenore selmer sba 1948 mk6 m 114906 bocchino francois louis

    ancia di plasticazza (bari) m

  7. #37

    Re: ma cafiso adesso

    PJM ..... lo capisci che stai sostenendo una tesi sbagliata in partenza ..... :BHO: un'altro può dirti che Kenny G. (Garrett .... :ghigno: ) non vale 'na mazza ..... se ti dicessi che Dick Oatts a Garrett lo mangia vivo che diresti ..... sono gusti, sensibilita, punti di vista etc. ..... e come parlare di politica, calcio etc. si parla del nulla .... solo che qui, fortunatamente non si sono schieramenti contrapposti e c'è posto per tutti .....

  8. #38

    Re: ma cafiso adesso

    Dick Oatts è un professionista gigantesco,oltre che gran solista certamente( i suoi dischi della steeplechase sn bellissimi) uomo da sezione perfetto ed il Lead alto nelle big band americane piu toste. Guarda il video della mel lewis orchestra mentre fanno dophin dance..si capiscono molto bene i ruoli differenti e di ciò che serve alla musica..nel video in questione c'è garrett che fa il secondo alto, oatts il primo..proprio perchè garrett non ha un sound o la "frequenza" che deve avere un primo..però garrett fa un solo gigantesco in quel brano (facendo pure poche note)...il punto è che Garrett è il solista per eccelenza, puro, quello che come intensità, emotività e peso ti ammazza..Oatts è un uomo più a tutto tondo sul sax e come ruolo in generale, in teoria "sa fare e più cose e ruoli di garrett", è un eccellente solista ma non raggiunge la vetta emotiva di garrett e la personalità in senso di sound o modi di affrontare i brani..Oatts, nell'eccelenza che ha, ha gia un sound più "omologato" anche se è molto più definito di cafiso. Quel che intendo è che spesso ciò che cambia la storia della musica o di un modo o di un suono non è necessariamente il più bravo in generale. Se levi oscar peterson dalla storia del piano jazz, che è mostruoso, di fatto perdi molto di meno che levare uno come monk o amhad jamal che se li guardi dal solo punto di vista pianistico tecnico si perdono confronto a Peterson ma per la storia , il modo, l approcio verso il pianoforte e la musica sono molto più importanti. Ci sono evidenze che non sono più gusti. Infatti la storia decide sempre chi rimane, chi ha cambiato le cose e chi no. Cafiso è bravissimo e ha grande talento (un certo tipo di talento) ma gusti o no non ha un decimo dello spessore e dell importanza di uno come garrett sul fraseggio, concetto di suono del sax alto e impatto emotivo. E Oatts gia è cmq è su altro pianeta(in meglio) rispetto a Cafiso.
    Sop: Mark VI 267xxx- Yamaha 62R
    Alto: Mark VI 133xxx - Mark VI 220xxx
    Ten: Mark VI 163xxx- Mark VI 189xxx
    Bar: Selmer Mark VI 168xxx
    As: Meyer NY 5M ( '60)-Selmer long F ('65)
    Ts: F.Gregory MkII - Guardala vintage Studio e MB2- B.Evans 1AO

  9. #39

    Re: ma cafiso adesso

    Pur concordando, tanto di quello che tu sostieni, ci addentriamo, con questi discorsi, su posizioni facilmente attaccabili, perchè frutto di un dato non oggettivo ..... ovvero, il nostro gusto e la nostra sensibilità ...... Corcordo meno quando sostieni ..... Ci sono evidenze che non sono più gusti. Infatti la storia decide sempre chi rimane, chi ha cambiato le cose e chi no ...... potrei dire, che la storia è fatta pure di casualità, opportunità colte o negate, da addetti ai lavori che ha creduto in questo o quello artista o meno, facendolo incidere, promuovendo tour .... etc., e comunque la storia, da che esiste il mondo la fanno i vincitori ...... sappiamo io e te come sono andate veramente le cose?
    Non lo so, io non ho così tante certezze, perlomeno così sembra trasparire dalle tue parole .....

  10. #40

    Re: ma cafiso adesso

    Citazione Originariamente Scritto da zkalima
    Citazione Originariamente Scritto da tzadik
    Cafiso ha il controllo totale di quello che fa'.
    Se in quel brano... in quel giorno, in quell'ora... ha deciso di suonare in quel modo, è una scelta voluta.

    ... tutto il resto è noia (o superficialità del giudizio).
    In effetti se critico qualcuno è principalmente perchè mi annoia, quello che dici, dal punto di vista espressivo, artistico, non ha molto senso, in quanto sono proprio le scelte, indipendentemente dal livello tecnico, che hanno significato o non ne hanno, il fatto che un musicista sceglie di fare una cosa è un fatto, la cosa scelta è ciò che piace o non piace, per usare un termine semplice.
    Poter fare tutto non è sinonimo di fare qualcosa di bello, lo stile in generale è sempre frutto di rinunce e di scelte motivate che comunicano, nel jazz è la vita che parla attraverso il suono, se uno fa parlare gli studi, il rischio, al di là dell'impressione che può suscitare l'abilità, è di essere noiosi e di dover rifare scelte altrui per dire qualcosa.
    Io non sono mai superficiale nei miei giudizi :alè!!)
    Condivido integralmente il tuo pensiero al riguardo. Ho vissuto personalmente piu' storie di ''Enfant prodige '' . Il problema e di come viene gestita la cosa e da chi. Quello che succede dopo , nel bene e nel male e frutto di tutto il trascorso. Da qui a diventare i nuovi Parker , Coltrane ecc.ecc. ce ne vuole. Certamente continueranno a fare i musicisti ma per imporsi come inventori di un nuovo stile come sono stati Parker , Coltrane ce ne vuole. A parte l'invenzione di un nuovo stile, le emozioni se non le vivi non le puoi dare. Nel sax di Parker cè tutta la sua vita e l'emozione traspare in ogni nota . Parker ti fa sentire tutto quello che provava lui. Per questo arriva . . Questo vale per tutti i grandi da Coltrane a Hendrix . Di questi ''Enfant prodige ''conosco le storie e conosco come si è arrivati a certi risultati. Anche qui si è applicata una tecnica . Per le emozioni però non cè tecnica, non cè una masterclass . Vi siete mai chiesti perchè . Semplice , non si puo' insegnare . L'arte non è solo tecnica ma sopratutto emozione e creatività .

  11. #41

    Re: ma cafiso adesso

    mmmm. dal mio punto di vista ha poco senso parlare in questi termini.
    riconosco il tentativo di parlare di aspetti relativi alla musica ma se da questo si passa al proprio gusto personale o ad aspetti che non possono essere discussi per definizione ma accettati come verità.....
    una frase tipo " le emozioni se non le vivi non le puoi dare" è indicativa .
    anche per assurdo volendo considerare il principio valido non è possibile discutere per l'impossibilità di conoscere le emozioni di una persona diversa da se.
    sax tenore selmer sba 1948 mk6 m 114906 bocchino francois louis

    ancia di plasticazza (bari) m

  12. #42

    Re: ma cafiso adesso

    Già, il problema nasce quando qualcuno cita la famosa frase: "Avere qualcosa da dire", in un certo senso tutti hanno qualcosa da dire, questo qualcosa a volte l'hanno vissuto, altre volte l'hanno studiato, quindi provando a prescindere dalla considerazione del tutto personale che io di solito mi accorgo della differenza, proviamo a capire che cos'è questo qualcosa, cosa racconta uno che sta dicendo qualcosa in musica?
    Beh, dopo lunghe riflessioni sono giunto alla conclusione che è impossibile, che è unicamente un senso interno che alcuni hanno più sensibile o più sviluppato di altri, un po' come piacere alle donne, e che un tempo era riconosciuto e determinava il giudizio generale che un certo mondo dava di un artista e che col tempo si è perso, venendo a finire le caratteristiche di quel mondo, e che è stato sostituito per necessità da considerazioni tecniche che dovrebbero essere più oggettive, a cui purtroppo però molti artisti cercano di adeguarsi.

    In poche parole se a dirti bravo è una personalità come Jack Kerouak, l'ambiente assorbe quello che è il modo di sentire di quell'artista e gli artisti stessi che apprezzano quello che scriveva lui ne trovano a loro volta ispirazione, mentre se a darti l'Award dell'anno è una commissione che valuta le tue capacità tecniche sullo strumento tu cerchi di adeguarti a quello.

    Un po' quello che è successo nel pattinaggio artistico, tutti quelli che eccellevano per l'espressione e l'arte di pattinare sono scomparsi dalle scene perchè non sapevano eseguire un quadruplo tollup.
    Il risultato è che oggi si vedono ragazzi palestrati che fanno vasche avanti e indietro sul ghiaccio e saltano come se avessero vinto le leggi di gravità.
    I tempi sono cambiati facciamoci pace oppure no.
    ____________________________________________
    Ten Conn Transitional M 262XXX
    Berg Larsen 120

    Ten Weltklang
    selmer metal classic H rw by me

    Alto Conn 6m 326***

    Sop Yanagisawa S 801
    Selmer metal classic G

  13. #43

    Re: ma cafiso adesso

    sono dell'idea che affrontare discorsi di questo tipo sia pericoloso.
    il rischio è che si finisca con affermare le proprie preferenze personali.
    in un forum di sassofonisti mi aspetto che si riesca a parlare più di musica che di altro.
    in pratica riesco ad accettare la "provocazione " di Koko di buon grado perchè comunque alla base c'è uno spunto interessante .
    la definita lovanizzazione di Cafiso.
    non ci si deve mai dimenticare che stiamo parlando di musicisti che hanno fatto della loro vita la musica.
    da affermazioni tipo "le emozioni se non le vivi non le puoi dare" non ci si può difendere.
    per non parlare delle conseguenze aberranti legate a questo concetto:
    soffriamo molto così abbiamo molto da dire , o godiamo molto o facciamoci una pera di eroina.
    sax tenore selmer sba 1948 mk6 m 114906 bocchino francois louis

    ancia di plasticazza (bari) m

  14. #44

    2

    Una cosa è certa , per il momento non cè nulla di nuovo. Bravissimi ma non riconoscibili . Basta ascoltare un brano degli ''enfant prodige'' : li confonderesti con altri 5000.
    Metti un disco di Getz , Parker , Coltrane , dopo 3 note sai chi suona. Come si spiega ? Io una risposta me la sono data, ma è sempre solo una mia opinione..... e nel tuo finale cè purtroppo anche un po di verita' .

    A.

  15. #45

    Re: ma cafiso adesso

    Zka ... mi piaci (aho, nun penzà a male ... :ghigno: ), perchè cerchi di essere profondo, di tentare di dare una spiegazione ad una situazione, "il suonare" che forse non è spiegabile, almeno da parte di chi ne è protagonista .... ovvero, spesso chi ascolta, pensa di percepire, capire, sentire, immaginare etc. cose che invece chi suona neanche immagina ..... Bill Evans suonava davanti a 10, forse meno, spettatori , neanche interessati alla musica ... al Village Vanguard ..... non perchè doveva essere un protagonista di una storia gloriosa (così si narra), suonava perchè doveva campare, perchè quello era il suo mestiere, suonare .... il resto è retorica di chi scrive libri, di di decide chi sono i vincitori e gli sconfitti (i discografici), .......
    Visto che è Natale, vi voglio raccontare questa bellissima storia .......
    JfI è l'intervistatore, GL è il pianista piugliese Gianni Lenoci .... vi prego, di seguire attentamente gli sviluppi della storia .......

    JfI: Gianni, come e quando hai conosciuto Massimo Urbani?

    GL: Ho conosciuto Massimo Urbani alla fine degli anni ‘80.
    All’epoca vivevo a Roma. Mi ero diplomato in pianoforte al Conservatorio “S. Cecilia” ed avevo anche iniziato ad insegnare musica in un Liceo Sperimentale (che, guarda caso era lo stesso che una quindicina di anni prima aveva visto Massimo fra i banchi, se pur per un periodo brevissimo prima che abbandonasse la scuola per andare in tour con Giorgio Gaslini). Avevo iniziato a muovere i primi passi nell’ambiente jazzistico.

    Una sera in televisione sul terzo canale trasmettono un concerto del quintetto di Giovanni Tommaso che oltre al leader aveva tra le fila Urbani, Fresu, Gatto e Rea.
    Il concerto scorre liscio (era un quintetto di virtuosi), ma sull’ultimo brano (una specie di groove modale) Massimo prende un assolo impressionante. Mai sentito niente del genere. Io sono completamente investito da quella energia realmente spirituale e concreta al tempo stesso.

    Il giorno dopo parlo di questa mia emozione con uno dei collaboratori scolastici (si chiamava Massimo anch’egli) che sapevo appassionato di jazz e lui mi dice: “Massimo è mio cugino. Quando usciamo da scuola lo chiamiamo. Anzi gli propongo di suonare con te”.
    Così fu. Massimo al telefono fu gentilissimo: Mi disse: “Sto andando a Parigi per un omaggio a Charlie Parker con Daniel Humair. Chiamami fra quindici giorni e ci accordiamo”.
    Dopo quindici giorni lo chiamo. Si ricorda perfettamente di me (non mi aveva mai visto in faccia, né mai sentito suonare). Gli chiedo se potevo proporre in giro un gruppo con lui come ospite. Mi dice di sì. Torno a casa. Faccio dieci telefonate a dieci club. Ottengo dieci risposte positive. Praticamente un tour.

    Non mi è mai più successo nella mia vita.

    JfI: io non riesco a scindere la figura di Max dalla rappresentazione di un’epoca, quegli anni Settanta che hanno messo in moto discussioni, stimoli, riflessioni e collettività. Periodo duro ed incantato allo stesso tempo in cui, forse, un mondo migliore sembrava possibile. La vicenda di Massimo Urbani, la sua forza e fragilità, la sua esplosione vitale e la sua tragica morte annunciata sono forse simbolo di quel sogno infranto?

    GL: In parte sì. Perlomeno sul piano simbolico.
    Riguardo la sua morte (veramente giunta inaspettata: ci eravamo sentiti per telefono cinque giorni prima di quel tragico evento per accordarci su due concerti che avremmo avuto in Molise i primissimi di luglio e mi aveva apostrofato ridendo: «Lenoci, vecchio ribaldo!», da notare la ricercatezza di quel “ribaldo” ) ho sviluppato varie congetture.
    Ho sempre pensato che la cosa fosse evitabile.
    .
    rimo: il rapporto con l’eroina non era così continuativo come i tossicodipendenti abituali hanno. Il problema vero secondo me era l’alcol. Quindi al limite sarebbe morto di cirrosi epatica. Cosa che onestamente ho temuto varie volte.
    Secondo: era assolutamente incapace di “farsi”. L’unica volta che io sono stato testimone di uso di eroina da parte sua, l’ha fumata.
    Ergo: qualche mistero c’è su quella morte c’è. Visto che si era sparato in vena non so quanto di eroina purissima. Ma sono solo delle mie teorie.
    La società stava già comunque cambiando a vari livelli. E non sarebbe certo arrivato un tempo per poeti. O perlomeno, i poeti sarebbero stati sempre più ai margini.
    .
    JfI: All’epoca dell’incisione di “Round About Max” non avevi ancora compiuto trent’anni ed avevi alle tue spalle un solo disco inciso con Bruno Tommaso ed Antonio Di Lorenzo. Oggi la tua discografia è molto più corposa e le tue collaborazioni non conoscono confini di sorta. Massimo Urbani aveva appena sei anni più di te ma aveva già un posto tra i grandi del jazz. Cosa provasti davanti a quel musicista?

    GL: Suonare con Massimo Urbani è stata Università e Dottorato di ricerca messi insieme e ancor di più. E’ chiaro che da parte mia c’era un’impressionante dose di incoscienza mista a coraggio.
    Ma non c’era né arroganza né supponenza in tutto ciò.
    Io ero conscio della distanza abissale fra me e lui. Oltre che in termini di vera e propria esperienza, soprattutto riguardo il contenuto emozionale dei “solo”.

    D’altro canto, la mia passione per il jazz era (ed è) divorante e mi dissi che se dovevo entrare in quel mondo era meglio che lo facessi entrando dalla porta principale. A costo di prendere qualche “incornata” (cosa che devo dire, non successe mai con Massimo).
    Per tre anni non ho fatto altro che cercare occasioni per suonarci insieme e verificare se quello che stavo sviluppando in maniera autonoma ed indipendente riguardo il mio vocabolario potesse funzionare con lui. Ogni concerto era la lezione per il concerto successivo.
    .
    Io ricordo benissimo il primo accordo che ho messo sotto il suo sax.

    .
    Il primo dei famosi dieci concerti era programmato nel Jazz Club “Lennie Tristano” di Aversa. Durante il viaggio in auto Roma–Aversa, ascoltavamo musica dalla mia collezione di musicassette.
    Massimo voleva ascoltare soprattutto cantanti.
    Ascoltavamo quindi Astrud Gilberto (il disco era “The Silver collection”). Ad un certo punto mentre Astrud Gilberto cantava “The shadow of your smile”, Max mi dice: “Man, questo 'o famo stasera. Lo famo alla Sonny Stitt!”. Appena arrivati al club avviso il bassista e ci mettiamo a tirare giù gli accordi. Massimo vuole provare solo il tema (anche lui non aveva mai suonato quel pezzo sin d’ora) e vengo investito dalla stessa onda di energia che avevo avvertito ascoltandolo in televisione.
    Anzi, molto di più. Senza cadere nella fumisteria hippy: veramente un’onda di vibrazioni.
    .
    Mai sentito un suono così.

    JfI: c’è un pezzo che ami particolarmente di questo disco?

    GL: Ovviamente li amo tutti.
    Se proprio devo sceglierne uno non posso che dire “The shadow of your smile”, per tutto ciò che significa quel brano.
    .
    JfI: Cosa è rimasto in te, vent’anni dopo, di quell’incontro?

    GL: A parte il ricordo struggente di alcuni momenti umani ed artistici passati insieme: idea del jazz come processo espressivo/creativo in continuo divenire e non applicazione passiva di formule e “stili”, visione spirituale del fare musica e visione politica (sociale) del ruolo dell’artista, valore dell’intuito sulla ragione, contrasto tra avanguardia e tradizione, aspirazione (meglio: tentativo continuo) di ricreare quella vibrazione avvertita sul mio accordo di Fa diesis min. quella sera al jazz club Lennie Tristano di Aversa.

    JfI: Ci racconti come è nata quella seduta di registrazione?

    GL: Partiamo da Roma, il 28 Novembre 1992. L’appuntamento era fissato per le 11 a casa di Massimo, in via Dati 5 .
    L’avrei prelevato e saremmo partiti per Matera dove ci attendevano per la seduta di registrazione.
    Arrivato a casa sua trovai Massimo ancora sotto le coperte che si preparava uno “svuotino” (per quanto posso testimoniare io non credo fosse capace di “rollare”), utilizzando come base d’appoggio un LP di Dizzie Gillespie. (Era il disco allegato ad un numero di Musica Jazz di qualche tempo prima). Questo rituale andò avanti per circa un’ora dopodiché balzò dal letto, si vestì ed assieme alla sua ragazza Valentina (finora assente dal quadro) che in quel momento usciva dal bagno, raggiungemmo la mia Peugeot 205.
    Niente valigia. Niente sax!

    Alla mia richiesta di chiarimenti circa la mancanza del sassofono, mi risponde qualcosa tipo: “Man, l’ho dovuto impegnare_Tranquillo, ce sarà a Matera uno che tiene un contralto da prestàmme….”
    Trovata la prima cabina telefonica funzionante chiamo qualcuno a Matera, allertandolo circa la mancanza del sassofono.
    Ad ogni modo ci mettiamo in viaggio (con un’ora e mezza abbondante di ritardo sulla tabella di marcia). Arriviamo a Matera verso le 19 e raggiungiamo immediatamente il cinema che era stato adibito a sala di registrazione.
    Tutto “live”. Tutti sul palco, come un concerto.
    .
    Incontro gli altri musicisti (Pasquale Gadaleta al contrabbasso ed Antonio Di Lorenzo alla batteria, i componenti del mio trio dell’epoca) ed il quartetto d’archi (che non avevo mai incontrato prima di quel momento). Io avevo scelto il repertorio, avevo mandato le parti in anticipo a tutti.
    Avremmo provato e registrato direttamente varie takes. Il tutto in diretta.
    Quasi tutti i brani appartenevano al repertorio di Urbani che suonavamo abitualmente, con l’eccezione di The Summer Knows di Michel Legrand e A Time for Love di Johnny Mandel che avevo mutuato dal repertorio di Bill Evans e che sotto l’aspetto squisitamente emotivo li sognavo interpretati da Massimo Urbani.

    Stavo realizzando una visione.

    Chiaramente, Massimo non ha le sue parti, dimenticate chissà dove.
    L’aspetto interessante è che mi chiede di riscriverle escludendo le sigle degli accordi: “A Già, scriveme solo IL CANTO”.

    Fortunatamente un appassionato sassofonista dilettante di Matera, (Franco Di Marzio, purtroppo poi prematuramente scomparso) innamorato dello stile di Paul Desmond, accondiscende a prestare il suo contralto Yamaha. Mentre il quartetto d’archi prova le sue parti, Massimo nel backstage ascolta le armonie degli archi mentre fuma l’ennesima “canna” (aveva eletto uno dei tecnici come “rollatore” ufficiale) e scherza con il proprietario del sax; quest’ultimo chiaramente eccitato e preoccupato allo stesso tempo. Si decide di registrare prima i brani con gli archi e poi tutti gli altri. Si aprono i microfoni. Massimo chiede di registrare una take direttamente senza prove.
    Estrae dalla tasca della giacca il suo bocchino, prova una scala producendo un suono incredibile come se stesse suonando un Selmer o un Conn costosissimi e si parte.
    .
    Risultato: prima prova (di lettura!): prima take fatta!!
    Per farla breve: tutto il disco è stato registrato così. TUTTO FIRST TAKE!
    Un’ora dopo il primo suono di sassofono era finito tutto.
    Testuali parole sue a conclusione: “Me dovete pijà così... ar primo colpo!”

    Non so quanto coraggio, incoscienza o spregiudicatezza ci fosse da parte nostra (da parte del Trio, intendo). Certo è che a me sembrava realmente di stare nel jazz entrando dalla porta principale.

    Col senno di poi tantissime cose si sarebbero potute realizzare meglio, ma eravamo veramente low budget e lo spirito che ci animava era lontanissimo dal perfezionismo e dallo star system di oggi.
    Si cercava solo di catturare un emozione e conservarla per sempre.
    .
    Quello spirito è rimasto intatto.


    ***************

    Massimo Urbani (alto sax),
    Gianni Lenoci (piano),
    Pasquale Gadaleat (bass),
    Antonio Di Lorenzo (drums)

    Marzia Mazzoccoli (I violino)
    Anna Tenore (II violino),
    Vincenzo Longo (viola),
    Davide Viterbo (violoncello)

    Tracklisting:

    Part One
    1) The Summer Knows - 7:37
    2) The Shadow of Your Smile - 5:43
    3) I Cover the Waterfront - 4:36
    4) Star Eyes - 5:55

    Qu il resto della storia ......

    http://jazzfromitaly.blogspot.it/search ... %20Massimo

    The Summer Knows . ...... :cry:

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