Qualche mese fa è uscito un libro di Ben Ratliff sulla vita di John Coltrane.
http://www.libreriauniversitaria.it/col ... 0374126063
Sul settimanale "The economist" ho trovato una bella recensione di questa opera: l'ho tradotta in italiano, spero che il risultato sia accettabile.
INSEGUENDO IL TRANE
"Coltrane: the story of a sound" di Ben Ratliff
Il punto chiave della biografia scritta da Ben Ratliff è l'idea che John Coltrane, sax tenore e soprano, sia stato non solo un eccelso musicista, ma anche l'ultima importante figura nell'evoluzione del jazz. Infatti, il jazz sembra essersi smarrito dopo la sua morte avvenuta nel 1967 all'etÃ* di 40 anni.
Ratliff è un critico jazz del “New York Timesâ€. Nella biografia, egli trascura largamente la vita privata di Coltrane. Come ogni jazzista, Coltrane si è ubriacato e ha assunto droghe abbastanza precocemente, in seguito passò la vita in sobborghi cittadini per molto tempo. Piuttosto, si tratta di una biografia del sound di Coltrane: un suono pressante, intenso e non vibrato che il sassofonista ha costantemente innovato (non come molti musicisti jazz, che professionalmente sono rimasti nel solco confortevole dell’immutato e al massimo si sono reinventati una o due volte nella vita).
Il sound di Coltrane, a differenza di quello di Charlie Parker, non appare pienamente formato alle orecchie del pubblico. Coltrane sembra fare le sue prime mosse tardi e con esitazione. Aveva circa 30 anni quando raggiunse una sicurezza e fu in grado di sfruttare la sua tecnica fenomenale e la sua padronanza degli standard jazz attraverso uno stile spinto e pressante, tramite soli pieni di riffle e cascate di scale e arpeggi. Gli anni ’50 sono stati eccezionali per il jazz. Nonostante le jazz band non fossero più commercialmente vitali, il rock ‘n’ roll non le aveva ancora affondate. L’effervescenza si trovava nei piccoli club dove i quartetti e i quintetti suonavano dal vivo e Coltrane ebbe la fortuna di essere stato scelto come spalla da due superbi leader e insegnanti come Miles Davis e Thelonious Monk.
Ma per Coltrane, tutto ciò è stato l’inizio del viaggio, non la fine. Inizialmente, tentò di ingolfare sempre più l’armonia jazz occidentale, con una struttura degli accordi sempre più densa. Entro breve, anche la sua tecnica esauriva tali possibilitÃ*. Iniziò ad abbandonare l’armonia, virando verso modi che sembravano parlare di cose antiche: storia africana e dei nativi americani, potere spirituale orientale, amore universale. Poi anche i modi iniziarono a scomparire. Molti suoi ascoltatori lo abbandonarono quando incoraggiò musicisti più caparbi e giovani ad entrare nel gruppo; così, i componenti regolari della sua band se ne andarono. Alla domanda di un giornalista giapponese, che nel 1966 gli domandò cosa desiderasse diventare nei 10 anni a seguire, Coltrane ribatté semplicemente che voleva essere un santo.
E questo è ciò che è diventato in molti ambienti, dopo la sua morte. Secondo gli aderenti al culto, alla fine la musica di Coltrane è ascesa ad un piano di intensitÃ* che sfiora la divinitÃ* e che non può essere messa in discussione. A San Francisco esiste una Chiesa dedicata a San John Coltrane: all’inizio, i fondatori dichiararono che il musicista era una reincarnazione di Dio, ma più tardi lo retrocessero alla santitÃ*.
La biografia scritta da Ratliff è particolarmente efficace per la sua esplorazione del periodo successivo alla morte di Coltrane. La presenza musicale di Coltrane è così potente che anche oggi i musicisti jazz, in particolare i suonatori di strumenti a fiato, sono influenzati da essa (non meno si definiscono in netta contrapposizione con essa). Ma Ratliff compie una analisi dell’affermazione che il jazz, come forma di evoluzione di un genere popolare, sia morto con Coltrane e quest’ultimo sia proprio colui che lo ha ucciso attraverso la demolizione della struttura armonica, la distruzione del senso di swing, portando il piacere e il divertimento fuori dal jazz verso una estasi dell’appagamento. Robert Lowell, un poeta americano, nei suoi ultimi componimenti scrisse “monotonia del sublimeâ€: questo potrebbe essere applicato a Coltrane.
Ratliff ritiene Coltrane non colpevole dell’accusa di aver ucciso il jazz. Ma è dura sottrarsi a quel sentimento, sia tra quei jazzisti che lo hanno seguito verso i confini più selvaggio o tra coloro che hanno fatto ogni sforzo per riportare il linguaggio alle prime forme armoniche, che il jazz abbia decretato la sua fine da quando egli se ne è andato.