Ritengo particolarmente utile alla discussione il seguente spunto di Juggler: "A mio avviso, la figura di Dolphy è stata il 'nume tutelare' di tutti gli sviluppi d' 'avanguardia' che il jazz ha avuto in Europa e non solo...il multi-strumentismo, la ricerca timbrico-formale, l'esplorazione strumentale verso le 'fascie ardite', il vorace interesse verso le forme 'colte' quanto per le tradizioni musicali 'orali'...dopo di lui, un'infinita schiera di musicisti adotteranno il clarinetto basso (Breuker, Brotzmann, Portal, Trovesi, Surman, Pilz ecc.)...
Olanda e Germania, in primis, (soprattutto perchè questi Stati offrivano sovvenzioni economiche ai loro 'free musicians') (seguite poi, dalle altre nazioni europee) iniziano ad 'elaborare' l'idea di un 'jazz nazionale': il 'free' aveva liberato il jazz da una vasta gamma di 'doveri rituali' e quindi poteva ora essere 'interpretato' dai musicisti europei come emancipazione dalla radice nera, affrancandoli dal dover imitare i grandi della storia del jazz...la pratica musicale dadaista del duo Mengelberg/Bennink (sezione ritmica europea di Dolphy)...il teatro musicale irriverente di Breuker...l'estremismo 'fonico' di Brotzmann...diventano i 'simboli' di un 'nuovo agire musicale' che contaminer* l'intero Vecchio Continente...
".
In effetti, se un jazz propriamente europeo, non nazionale, è esistito ed esiste, è quello di Breuker, Bennink..., aggiungerei grazie pure ad una casa discografica importante qual è la FMP (Free Music Production).
Free come liberazione del jazz da una vasta gamma di doveri rituali e conseguente emancipazione dalla radice nera: vero! Quanto all'emancipazione dalla radice nera, aggiungerei solo: in maniera più intenzionale e programmatica rispetto ad alcune esperienze europee del passato.
Se così è, occorre circoscrivere il jazz europeo sia nel tempo che in un particolare codice, poiché non è che tutto il jazz che si fa in Europa sia europeo, anzi ... .
Il problema che a questo punto si pone, difficile, ma interessante, e che mi piacerebbe fosse affrontato, è individuare i criteri oggettivi di distinzione tra la musica che certi musicisti europei hanno iniziato a fare negli anni '70 e le coeve avanguardie statunitensi, nere e non (si pensi alle avanguardie nere di Chicago e di St. Louis, ma anche all'avanguardia bianca di New York), per tentare di stabilire se vi siano realmente differenze tra le avanguardie statunitensi e tra queste e la musica dei vari Breuker, Bennink e compagni e, se ve ne siano, se siano sostanziali.
A dire il vero, avevo pensato al movimento avanguardistico europeo - anche perché, ormai un bel po' di anni fa, lessi con interesse una notevole monografia che Musica Jazz pubblicò sull'argomento -, ma, per evitare di fare affermazioni fondate sulla sabbia, dovrei trovare il tempo di tornare a questa e ad altre letture e soprattutto di riascoltare un sacco di musica: tempo che, al momento, non ho.