• Selmer Varitone


    Nato sulla scia di altre sperimentazioni (come il contralto "Low A", discendente al La grave con lo stesso meccanismo del baritono) negli ultimi anni del '60, il "Varitone", più che un modello di saxofono, è un sistema di amplificazione applicato al leggendario Mark VI.

    Il progetto iniziò nel '65, quando la H.&A. Selmer incaricò la ditta statunitense Electro-Voice (EV) di progettare un sistema d'amplificazione adatto al saxofono.
    Le richieste principali dei musicisti erano quelle di lasciare intatto il sistema meccanico dello strumento, di non appesantirlo e di non compromettere l'esecuzione da parte del suonatore. Sostanzialmente il sistema elettrico doveva integrarsi naturalmente con lo strumento, che doveva in ogni caso rimanere uno strumento acustico. L'idea di applicare un sistema microfonico al saxofono era già stata concepita da Jean Selmer, allora assistente tecnico presso la ditta francese. Il primo problema che si incontrò fu quello del posizionamento dei microfoni, affinché raccogliessero il suono dello strumento senza riprodurre anche le interferenze acustiche esterne.

    I tecnici della EV esclusero l'ipotesi di
    impiantarli sulla campana poiché non funzionavano ugualmente per tutti i suoni della scala. La soluzione migliore sarebbe stata sicuramente quella di posizionarne uno per ogni foro, ma ciò era troppo dispendioso e deturpante per un saxofono. Visto che tutte le onde passano in ogni caso dal collo dello strumento, dopo un lungo periodo di sperimentazione acustica e di calcoli matematici (la posizione del sensore doveva essere precisa al millimetro perché altrimenti avrebbe dato risultati diversi ed evidentemente inutili), si decise sul posizionamento del microfono. Altri problemi fondamentali riguardavano poi l'aria umida emessa dal suonatore, che avrebbe potuto danneggiare il microfono, e le note suonate in ve lodtà che avrebbero potuto creare problemi di interferenza (senza contare che alcuni suoni sarebbero potuti risultare più intensi di altri). I problemi erano quindi tanti.


    La EV quindi progettò un microfono con l'elemento sensibile in ceramica, che nella posizione stabilita non avrebbe influenzato il modo di suonare. Inoltre fu progettata una base per i comandi. Questa aveva la forma di una piccola scatola, molto leggera anche se un po' ingombrante, dalla quale sporgevano le manopole dei volumi e degli effetti. Il tutto fu montato sulle gabbie di protezione sulla campana del saxofono, in modo da permettere al musicista di variare i vari parametri sonori durante l'esibizione. Le manopole di comando erano tre, in più c'erano degli interruttori che annullavano la selezione, simili a quelli usati negli organi. Era possibile intervenire su volume, eco, tremolo e sonorità.

    Il tutto veniva collegato tramite dei fili a un amplificatore esterno. Purtroppo il Varitone risultava scadente nella gestione del suono, soprattutto in sede di registrazione, dove rimanevano insostituibili i microfoni tradizionali. Il dispositivo non ebbe il successo sperato, anche perché l'applicazione del Varitone su un saxofono comportava modifiche permanenti al collo dello strumento che, si sa, è una parte importantissima per la produzione del suono. Inoltre bisogna pensare che chi sceglieva un Mark VI, lo faceva essenzialmente per il suono che questo strumento aveva, particolarmente adatto per il jazz, e quindi non aveva alcun interesse a modificarlo. La centralina di controllo era oltretutto antiestetica e l'amplificatore ingombrante per chi girovagava da una jam-session all'altra.

    Un progetto simile fu concepito troppo presto, sia perché i musicisti non erano pronti a concepire modifiche del genere sullo strumento sia perché la tecnologia per lo sviluppo di tali circuiti non aveva raggiunto livelli ottimali per una produzione di Varitone soddisfacenti. Il sistema fu tuttavia utilizzato per un certo periodo da Sonny Stitt, Eddie Harris e Sonny Rollins.












    Testo di Emanuele Raganato