PDA

Visualizza Versione Completa : Hard Rubber, Ebanite cos'è ? Leggende e curiosità



gene
3rd March 2011, 12:09
Prrndo spunto da una serie di "letture" sul forum di cose vere, false, luoghi comuni, etc., sulla beneamata ebanite, materiale con il quale si fanno comunemente i bocchini per sax .....

La gomma naturale ha una storia che risale a innumerevoli secoli or sono. Tale materiale viene ricavato da una pianta comunemente chiamata "albero della gomma", appartenente alla famiglia delle Euforbiacee, comprendente una ventina di specie. Sebbene siano diffuse un po’ in tutto il nuovo continente, risulta però essere migliore l'Hevea brasiliensis, presente nel Brasile settentrionale, specialmente nella regione dell'Amazzonia. È alta una ventina di metri; le foglie sono alterne, ellittiche o lanceolate, lunghe da 5 a 60cm. I fiori, in pannocchie terminali, sono apetali, piccoli, con calice a 5 lobi. Il frutto è una grande capsula che si apre in cocchi bivalvi. Ma il carattere più importante della pianta è la presenza di un lattice in vasi lactiferi della corteccia e della zona liberiana. La prima descrizione dell’Hevea Brasiliensis ci proviene da Charles-Marie de Condamine. Nel 1736 partì alla volta dell’Ecuador, attraverso la foresta pluviale, a capo di una missione scientifica allo scopo di misurare la lunghezza di un grado di longitudine all'equatore. Ma egli finì per trovare molto di più. Si imbatté nei Tsachali, popolo indigeno della foresta. Essi mostrarono come, tagliando superficialmente la corteccia dell’Hevea, ne fuoriusciva un liquido lattiginoso bianco, chiamato caoutchouc (legno che piange); Lo usavano in genere per rendere impermeabile qualunque cosa, perfino le canoe con cui risalivano il fiume, o, utilizzando stampi ottenuti da foglie, per riscaldamento ottenevano la gomma in varie forme. Rimase così impressionato da questo caoutchouc che chiederà ai Tsachali di fare una borsa di gomma per proteggere i suoi strumenti scientifici delicati. Condamine non fu il primo visitatore delle Americhe stupito dalla gomma naturale. Alle spalle aveva infatti due secoli di esplorazioni e conquiste spagnole. Ma fu il primo a guardare la gomma da un punto di vista scientifico. Al suo ritorno in Francia, portò alcuni campioni da studiare e sottoporre all’attenzione del mondo scientifico. Fino alla scoperta del caucciù, era mancato in Europa un materiale elastico veramente impermeabile all'acqua e all'aria. Prima, chimici e pompieri dovevano accontentarsi di manichette di cuoio, che perdevano ad ogni cucitura; stivali e abiti da pioggia non erano mai del tutto impermeabili. Il problema principale per gli europei era, a quel tempo, la difficoltà di conservare il caucciù; il lattice non si conservava a lungo e non poteva perciò essere spedito in Europa in forma liquida. Il caucciù poteva essere spedito solo dopo averlo fatto seccare: una volta secco, però, era troppo denso e duro per poterlo lavorare oltre. Per questo motivo, il re del Portogallo dovette spedire i suoi stivali fino in
Brasile per farveli impermeabilizzare. Tuttavia nell’euforia generale, si incominciò subito a copiare gli usi degli indigeni americani. Si producevano elastici, con i quali venivano fabbricate bretelle e giarrettiere e suole per le scarpe. Ma I primi tentativi furono molto deludenti: Tutti questi prodotti avevano due inconvenienti: primo, già a temperature normali erano appiccicosi, e lo diventavano ancora di più quando faceva caldo; secondo, quando faceva freddo diventavano sempre più rigidi e fragili.
Seguirono sporadici tentativi di utilizzare la gomma disseccata, ma con scarso successo. Questa serie di fallimenti stava per distogliere l’attenzione dal prodigioso polimero, quando accadde un fatto che rinnovò lo stupore popolare: casualmente, nel 1770, il chimico e naturalista inglese Joseph Priestley scoprì che la gomma, sfregata sulla carta, ne cancellava i segni di matita. Da qui il nome inglese del nuovo materiale, "INDIA-RUBBER" (dal verbo to rub = sfregare). Un effettivo passo avanti si ebbe subito dopo: si osservò che la gomma risultava impermeabile ai gas e che era solubile in trementina: e così nel 1783, applicando tale soluzione ad un modulo di tela ed aspettando l’evaporazione del solvente, si ottenne per la prima volta, con un procedimento chimico, un tessuto rivestito da una sottile ed omogenea pellicola di gomma: i fratelli Montgolfier ne seppero fare buon uso. Questa piccola scoperta fu un vero proprio boom per il commercio; Nel frattempo, un chimico francese, Macquer si occupò della produzione di tubi di gomma, spalmando la soluzione di gomma su forme di cera. Un altro francese, Grossart, tentò di fare lo stesso, avvolgendo su forme di vetro tonde strisce di gomma rese molli dalla trementina. Infine, nel 1803, fu fondata a Parigi la prima fabbrica di GOMMA.
Poco dopo un industriale di Glasgow, Charles Macintosh, cercando di ottenere profitto anche dagli scarti di lavorazione della sua industria (produceva ammoniaca dal catrame di carbone) scoprì che la nafta era un solvente decisamente superiore alla trementina, e insieme ad Thomas Hancock fondò uno stabilimento per la produzione di impermeabili. Il problema della resistenza alle alte e basse temperature non era però ancora risolto, ma tuttavia la produzione di oggetti gommati o in gomma prendeva sempre più passo e la richiesta di gomma grezza cominciava a superare l’effettiva disponibilità. Thomas Hancock pensò di poter riciclare la gomma e così ideò e realizzò il “masticator”, macchina stridente gigante che divorando vecchi impermeabili rotti produceva grandi blocchi di gomma che poteva così essere riutilizzata piuttosto che buttata via. Nel frattempo, due secoli dopo la scoperta del nuovo mondo, anche nell’america “civilizzata” sorgevano le prime fabbriche di gomma.
In un solstizio d'estate del 1834 un commerciante all'ingrosso in bancarotta, Charles Goodyear, si presentò nel magazzino di vendita al dettaglio di New York del Roxbury India Rubber Co., il primo produttore di gomma in America. Era lì per mostrare una nuova valvola che egli aveva ideato. Il direttore scosse tristemente la testa: la società non era nel mercato delle valvole; anzi, ancora un po’, e non sarebbe rimasta in affari affatto. E gli mostrò il perché: su una rastrelliera nel retro del negozio, tonnellate di merce di gomma erano ridotte dal tempo torrido a colla maleodorante. Gli confidò che migliaia di articoli di gomma fusi venivano restituiti da clienti oltraggiati. I direttori si erano incontrati nel cuore della notte per bruciare in una fossa 20.000 dollari di scarti puzzolenti.
La "febbre della gomma" del 1830 sembrava volgere al termine. Dapprima tutti avevano voluto oggetti della nuova gomma impermeabile dal Brasile e le fabbriche erano nate per soddisfare la domanda. Ma il pubblico si era bruscamente stufato: non una delle società di gomma era sopravvissuta più di cinque anni. Gli investitori avevano perso milioni. Goodyear deluso, intascò la valvola, ma fu in questa occasione che decise di dedicare il resto della vita al perfezionamento della gomma: "non c'è alcuna altra sostanza", disse più tardi, "che ecciti così la mente". Ritornando a Filadelfia, fu arrestato per debito; non era la sua prima permanenza, né l’ultima. Nella sua cella fece quindi i suoi primi esperimenti, impastando e lavorando la gomma per ore ed ore. Se la gomma era naturalmente adesiva, rifletté, perché non aggiungere una polvere asciutta per assorbire la sua viscosità, come il talco di magnesia?… Fuori dalla prigione ottenne risultati promettenti. Così durante l’inverno successivo, con l’aiuto della moglie, realizzò cento paia di calosce di gomma “magnesia-dried”, pronte per essere commercializzate. Ma all’arrivo dell’estate il caldo torrido ridusse tutto ad una pasta informe. I vicini si lamentarono della sua gomma puzzolente, cosicché decise di trasferirsi a New York. Aggiunse due agenti, magnesia e calce viva e, bollendo la miscela, ottenne un prodotto migliore e di più lunga durata ma non ancora soddisfacente. Goodyear era solito decorare gli oggetti di gomma, ed un giorno decise di rimuovere della vernice con acido nitrico da un campione che aveva intenzione di riutilizzare; ma il pezzo si rovinò e così fu gettato via. Giorni dopo, un ricordo, una sensazione lo opprimeva: aveva sentito quel pezzo di gomma annerito, in qualche modo diverso. Così lo recuperò fra i rifiuti e notò qualcosa. L'acido nitrico aveva fatto qualcosa alla gomma, l’aveva asciugata e smussata. Era la migliore gomma mai prodotta fino ad allora. Un uomo d'affari di New York investì migliaia di dollari per iniziarne la produzione. Ma il panico finanziario del 1837 prontamente cancellò sia il sostenitore che gli affari. Indigenti, Charles e la sua famiglia si accamparono nella fabbrica di gomma abbandonata su Staten Island, vivendo di pesce che egli stesso pescava al porto. Successivamente un suo socio riuscì a rimediare un contratto del governo per 150 sacchi postali, da produrre secondo il processo “nitric-acid”. Dopo avere completato il lavoro, Goodyear era così sicuro di se stesso che li conservò in una stanza calda e partì per una vacanza di un mese Al suo ritorno i sacchi postali erano fusi. Sotto la sigla "dry-as-cloth" la stessa vecchia gomma appiccicosa. Dopo cinque anni di futili tentativi, Goodyear era sull’orlo del precipizio, viveva di elemosina mentre i suoi figli morivano di fame.
La grande scoperta avvenne nell'inverno del 1839. Goodyear adesso utilizzava zolfo nei suoi esperimenti, riuscendo ad ottenere una gomma più resistente ma non tanto diversa da quella non trattata. L’uno febbraio si presentò nel magazzino generale di Woburn per sottolineare la sua ultima formula gum-and-sulphur. Ma reso eccitato dalla dimostrazione, il campione di gomma gli volò dalle mani, atterrando su una stufa calda. Fu allora che le cose cambiarono: quando si piegò per raschiarlo, invece di una melassa tenera, trovò dei frammenti carbonizzati. E intorno all'area carbonizzata, un orlo marrone asciutto e perfettamente elastico. Aveva, del tutto inconsapevolmente, scoperto quello che oggi è a noi noto come processo di vulcanizzazione. Non bastava mescolare zolfo alla gomma ma bisognava anche fornire calore. In effetti Goodyear cercava solo delle polveri che ne assorbissero la viscosità ed era del tutto ignaro, come il resto della comunità scientifica del tempo, del processo chimico che vi sta alla base. (ancora non era neanche nota la composizione chimica della gomma). Aveva creato una gomma resistente alle intemperie.
Questa scoperta è spesso citata come uno degli "incidenti" più celebri della storia, ma per Goodyear gli affari non andarono mai bene; i suoi brevetti non depositati in tempo, furono invece la fortuna del già citato Hancock. Fu quest’ultimo a mettere a punto il processo di produzione (coniando il termine vulcanizzazione, in onore a Vulcano, dio del fuoco), mescolano zolfo e gomma lasciati
reagire in autoclave a 150°C. Scoprì anche che per prolungato riscaldamento si otteneva l’ebanite. Goodyear invece morì con 200.000 dollari di debiti, la sua famiglia finì in rovina e mai vi fu un collegamento con la società Goodyear Tire & Rubber Co ."La vita", scrisse " non dovrebbe essere stimata esclusivamente dal livello di dollari e di centesimi. Non sono disposto a lamentarmi che ho piantato e gli altri hanno raccolto i frutti. Un uomo ha motivo di rammarico solo quando egli semina e nessuno miete".

La completa stabilità delle proprietà della gomma fu ottenuta (come già citato) nel 1839 da Charles Goodyear che inventò la vulcanizzazione , un processo mediante il quale si creano delle reticolazioni fra le catene polimeriche per riscaldamento della gomma in presenza di zolfo. Le reticolazioni aumentano la resistenza della gomma e fungono in un certo senso da "memoria" che aiuta il polimero a riprendere la forma originale dopo uno stiramento.
L'ebanite viene ricavata per vulcanizzazione prolungata da una miscela di gomma naturale, zolfo (25-50%) e con aggiunta di sostanze minerali od organiche per variarne la consistenza finale (è infatti nota anche con il nome di hard rubber, in inglese gomma dura).
La vulcanizzazione è un processo di lavorazione della gomma, la quale viene legata chimicamente allo zolfo mediante riscaldamento. Attraverso questo processo, inventato da Charles Goodyear nella prima metà del XIX secolo, si ottiene un materiale elastico e poco rigonfiabile se tenuto a contatto con solventi organici. Oggi per "vulcanizzazione" si intende qualsiasi processo chimico, anche diverso da quello originario inventato da Goodyear, che ottenga risultati analoghi.
La vulcanizzazione provoca una modificazione della conformazione molecolare del polimero alla quale è dovuto l'aumento di elasticità e resistenza a trazione, la soppressione di proprietà negative quali l'abrasività e l'appiccicosità oltre che una maggiore resistenza agli effetti dell'ossigeno atmosferico e a molte sostanze chimiche.
L'addizione dello zolfo provoca perdita di due atomi di idrogeno che formano H2S; in questo modo ossidi come ZnO favoriscono la vulcanizzazione fissando il solfuro.
Originariamente si pensava che lo zolfo aumentasse la resistenza chimica della gomma a causa della saturazione dei doppi legami; in realtà la quantità di doppi legami perduti è relativamente piccola. È stato dimostrato che la resistenza a degradarsi con l'usura, fenomeno accelerato dagli agenti ambientali e in primo luogo dall'ossigeno atmosferico, è dovuta al legame dello zolfo proprio coi siti vulnerabili dall'ossigeno.

In sintesi L'ebanite, ingiallisce col tempo in maniera naturale a causa della reazione di ossidazione con l'ossigeno atmosferico. Tale ossidazione è catalizzata (resa più veloce) dall'esposizione a raggi UV (alla luce del sole). Il risultato dell’ossidazione è l’affiorare di molecole di gomma degradata e zolfo.

Sarà vero che i vecchi bocchini di ebanite sono migliori? E perchè ? .........

Per i più secchioni ……
http://www.bouncing-balls.com/index2.htm

STE SAX
3rd March 2011, 13:59
:shock: a Ge, me sa che oggi tu nun c'hai un c.... da fa' o me sbajo !!! Ma che te sei magnato a colazzione?
Quanno c'ho quei 4 o 5 mesi pe' legge tutto te faccio 'n fischio, pe mmo' me fido de tutto quello c'hai scritto te, m'arendo :half: .

:lol:

gene
3rd March 2011, 14:43
Ciao Stè !!!! non è che "nun ciò 'nc...zzo da fà ... è che dopo il 50 bocchino ti viene da approfondire ..... considera che è soltanto l'inizio, per cui ...... :ghigno:

RESTA LA DOMANDA:
Sarà vero che i vecchi bocchini di ebanite sono migliori? E perchè ? ......... (io ovviamente ho una mia risposta, ma voglio sentire qualcun'altro ......)

Per i più secchioni ……
http://www.bouncing-balls.com/index2.htm

tzadik
3rd March 2011, 14:55
Meno male che non possiedo nessun bocchino in ebanite (in resina si però!)! http://tzadik.xoom.it/emoticon/TFRAbpd52.gif

$sax$$$
3rd March 2011, 22:30
se posso esprimere solo un pensiero....ipotizzando di avere tre bocchini IDENTICI,uno di metallo,uno in ebanite, ed uno in ebanite"moderna",se mai ci fossero delle differenze di suono ,secondo me , sarebbero in pochissimi a sentirne le differenze.....ma spero vivamente di sbagliarmi.....secondo me,tutto dipende dal disegno :BHO:

tzadik
3rd March 2011, 22:36
Tra ebanite e metallo la differenza la senti, perchè la densità è diversa e anche la struttura chimica del composto è diversa.

È più difficile sentire la differenza tra composti con almeno densità simile...

Tra l'altro se non ci fossero differenze tra i vari materiale... nessuno produrrebbe più bocchini in leghe metalliche, per una pura e semplice questione di costi.

$sax$$$
3rd March 2011, 22:44
e quanto secondo te...in un oggetto così piccolo come un bocchino ,la sua struttura chimica e la sua densità influisce sulla conformazione dell' onda sonora?....da 1 a 10...? mha...
ripeto ,teoricamente mi riferivo a bocchini IDENTICI

tzadik
3rd March 2011, 22:50
Secondo me, 6 su 10... e c'ho le prove!

$sax$$$
3rd March 2011, 22:53
e dacci le prove allora.... :D ....


San Tommaso

$sax$$$
3rd March 2011, 23:05
aspettando le prove di Tzadik...continuo ad esporre la mia teoria....il materiale del bocchino potrebbe influenzare il suono in modo sensibile per L'orecchio umano se sarebbe veramente libero di vibrare....ma essendo ciò attutito dal sughero da una parte e dalle labbra dall'altra....2 è quello che attribuisco...secondo la scala precedente.....

tzadik
3rd March 2011, 23:07
Ho un bocchino abbastanza particolare, in una resina translucida.
Ha una camera bella larga ma ha uno scalino marcato... sembra più o meno un Berg camera "1".
Ci si aspetterebbe un suono molto brillante... invece viene fuori un suono alla Coleman Hawkins.
Perchè? Perchè il materiale non fa risuonare tante frequenze alte... e infatti suonandolo si ha la sensazione che il suono sia proprio equalizzato.
È un caso limite... però in questo caso è "colpa" del materiale.

$sax$$$
3rd March 2011, 23:21
Tzadik....non sono delle vere e proprie" prove" ;) ...resto della mia opinione....
se tu avessi altre due copie identiche di diverso materiale uscirebbe lo stesso suono e le stesse frequenze...e sarebbe difficilissimo riconoscerne le differenze..quasi impossibile se ascoltassi il suono di spalle.....vorrei essere graditamente contraddetto..e lo spero...con delle prove inconfutabili... :smile:

$sax$$$
3rd March 2011, 23:24
PS: che bocchino è???? perchè il suono (se cosi poveramente lo vogliamo chiamare) di Hawkins è MERAVIGLIOSO!!!

tzadik
3rd March 2011, 23:35
È un PPT Onyxite... è un bocchino costruito da Ed Pillinger per un sassofonista/produttore inglese che si chiama Pete Thomas (PPT = Pillinger Pete Thomas).

tzadik
3rd March 2011, 23:56
Non credo... anche perchè il bocchino viene proposto in resine diverse, con caratteristiche sonore diverse...

Lo stesso bocchino, se fatto in ebanite, suonerebbe come un Dukoff o comunque come qualcosa che ti fa cadere l'intonaco dalle pareti.

$sax$$$
4th March 2011, 15:55
lungi da me di esser polemico....ma vorrei , lo spero, che qualcuno portasse con se delle prove che non possono in linea di massima essere contradette.....Alessio..non so perchè il bocchino da te citato suoni in quel modo...suona in un modo che non ti aspetti??? ci potrebbero essere mille motivi....forse appunto la grande camera di cui parlavi o lo spessore ...ma rimango ancora dell' opinione che non dipenda prevalentemente dal materiale...
essendo poi ,da quel che ho capito, un bocchino artigianale, e difficile trovarne uno IDENTICO di diverso materiale.....per poter far un confronto reale...senza usare verbi al condizionale....quindi.
( comunque , meno male che i bocchini suonano tutti diversamente ,con le loro sfumature,se poi dipende dal materiale o da qualcosa di magico che sta nella nostra testa,poco importa.)

tzadik
4th March 2011, 16:18
È un bocchino prodotto artiginalmente, in parte a macchina in parte a mano: è un particolare modello standard... tra l'altro per averlo (nuovo) vanno via parecchi mesi.
Le specifiche sono quelle... non è un bocchino costruito su misura.

Le descrizioni del bocchino dicono chiaramente che il suono che esce è completamente diverso da quello che ci si aspetterebbe uscisse da un bocchino con una geometria interna. Tra l'altro c'è anche scritto che il motivo principale è il materiale particolare. Quindi niente di strano.

CARO
4th March 2011, 16:26
Molto interessante gene! Grazie del tuo contributo. Mi hai chiarito alcuni dubbi.

Per quanto riguarda l'OT qua sopra, credo che possa essere contraddetto anche il contrario, ossia che bocchini identici di materiale diverso hanno lo stesso suono. Neanche tu, $sax$ hai prove sufficienti per ottenere consensi. Vi propongo di aprire un altro topic o continuare su altri già aperti qualora ci siano per trattare questo argomento, che potrebbe essere comunque interessante e, con un titolo adeguato, visibile anche ad altri. ;)

$sax$$$
9th March 2011, 22:02
;) sono curioso di sentire l'opinione di Gene......

Prairie oyster
9th March 2011, 22:41
Un PPT ce l'ho anch'io (per baritono), sinceramente non ricordo che si dica ne' sul sito di Pete Thomas ne' sul sito di Pillinger che sia il materiale a fare il suono, ma proprio il disegno della camera in combinazione con un baffle "alla Berg Larsen" oltre che al facing che e' un aspetto molto importante spesso non preso in considerazione. E' vero comunque che Pillinger sostiene che il materiale fa la differenza, ma per un Pillinger c'e' un Phil Barone che sostiene l'esatto contrario. Non ricordo se Francois Louis disse qualcosa a riguardo nella passata masterclass, anche lui usa una resina particolare e nel suo sito parla di risonanza e vibrazione, ma e' sempre difficile in questi casi separare la verita' dal marketing. E' vero pero' che c'e' piu' letteratura a sostegno della tesi che il materiale non influenzi il suono che il contrario, un esempio e' questo libro qui (http://www.amazon.co.uk/Fundamentals-Musical-Acoustics-Arthur-Benade/dp/048626484X/ref=wl_it_dp_o?ie=UTF8&coliid=I1M7HMW0LCBABD&colid=AQFMGFVCGC08).
Perche' si vanno avanti a fare bocchini in metallo? Beh credo semplicemente perche' ci sono persone che preferiscono sentirsi il metallo in bocca, l'imboccatura fa il suono almeno quanto il bocchino e il feeling col materiale che andiamo a imboccare e' fondamentale.

gene
10th March 2011, 09:25
Mi piacerebbe sentire il parere di David Brutti, col quale, in privato, abbiamo parlato di queste cose ...... per me, poi con calma ne parlerò, anche il materiale ha la sua importanza ...
sinteticamente, non sulla "resa" timbrica del bocchino in tempi brevi, ma sulla resa timbrica nel corso degli anni, dopo un'utilizzo del bocchino prolungato ... forse questi materiali nuovi, resine ebanite miscelata con plastiche etc. , non hanno qualità acustiche paragonabili all'ebanite buona, insomma la faccio corta e la dico tutta ..... siamo sicuri che nel corso del tempo il bocchino non perda determinate caratteristiche timbriche, si impoverisca di armonici e di conseguenza il timbro risulti più piatto, anonimo, meno bello?
Altra domanda, perchè non si utilizza più l'ebanite vera? Ci sarà un motivo? Ed inoltre, perchè molti moltissimi professionisti utilizzano i bocchini di un tempo, semplice vezzo oppure, perchè ad esempio, (quasi) nessun bocchino moderno a performance pari ad un vecchio Florida, Meyer e Selmer ....... ?????

re minore
10th March 2011, 10:18
La "scienza" mi sembra che stabilisca in maniera abbastanza inequivocabile che il suono e' determinato dalla forma e non dal materiale con cui gli strumenti vengono costruiti.

Io personalmente, che pure ho la massima considerazione per scienza, scienziati e metodo scientifico, sono dell'idea che in queste conclusioni non venga considerato il "colore" del suono, ovvero le proporzioni tra i diversi armonici della frequenza fondamentale - la quale invece si' che dipende dalla forma dello strumento.

In conclusione direi che le caratteristiche di intonazione piu' o meno corretta dipendono dalla forma geometrica dello strumento mentre il colore del suono viene influenzato anche dal materiale.

Del resto che il colore dipenda dal materiale me lo dice inequivocabilmente la mia esperienza personale.

tzadik
10th March 2011, 10:56
Se il materiale non influenzasse il suono, tutti costruirebbero bocchini in plastica... per una ragione di costi. La giustificazione sarebbe: "perchè spendere di più per ottenere gli stessi risultati?" E invece...

Se la fisica garantisce geometria uguale <==> suono uguale... la meccanica garantisce materiale diverso <==> suono diverso.
Se così non fosse per alcune cose si andrebbe ancora avanti basandosi solo sulle proprietà fotoelastiche di alcuni materiali e l'analisi FEM sarebbe priva di senso... cosa che non è reale. Che poi la fotoelasticità non di risultati in contrasto con l'analisi FEM è un discorso a parte, ma l'analisi FEM da molte informazioni in più.

Il materiale ha la sua influenza perchè materiali diversi fanno propagare le vibrazioni in maniera differenza. La velocità di propagazione è proporzionale alla densità prima alla struttura microcristallina poi.

Esempio: nel caso particolare della resina bianca del PPT, il materiale sostanzialmente genera un roll-off di alcune alte frequenze.
È vero che il PPT è ispirato a un Berg Larsen... ma provata prendere un Berg Larsen in acciaio e vede come suona (anche se alcune quote sono più che simili).
La prova si potrebbe tranquillamente fare con un Berg in acciaio, uno in bronzo e uno in ebanite.

@gene: l'influenza psicologica del presunto valore economico di un bocchino con 40/50/60 anni di età è molto alta... sia per un newbie sia per un professionista: lo sappiamo tutti. Tanti lo dicono, tanti lo contestano.
Che poi sia per gusti, che poi sia perchè qualche bocchino non sia stato ancora emulato a dovere... è una cosa che ha una certa rilevanza, ma scientificamente è poco giustificabile. La scienza non è tutto, c'è anche il "cuore"!

Moltissimi professionisti preferiscono bocchini moderni a bocchini "antichi"... è una questione di gusti. Tra l'altro chi usa bocchini molto vecchi usa quasi nella totalità dei casi bocchini che sono stati modificati più volte (già Coltrane si faceva sistemare gli Otto Link da Frank Wells).

Se provi un Drake in resina forse rivedresti le tue idee sulla resina.
Ogni resina ha delle caratteristiche bene precise... e la resina dei Drake non è quella degli Aizen (che tende a diminuire la resistenza), non è quella dei bocchini brasiliani (che omogenenizza, però anche plasticizza un po' il suono) e non è nemmeno quella dei FL (che tende a far suonare tutto "legnoso" e comprimere).

Alcuni paragoni secondo me non tengono perchè i termini di paragone non sono omogenei.

gene
10th March 2011, 11:10
bene ..altra carne al fuoco ..altri contributi?
Per Tza .. guarda che la mia non la tesi di quello che è fissato a tutti costi con il vintage, vorrei capire come stanno le cose ....
p.s. Sono un grande fan dei Drake tant'è che tra i svariati bocchini che ho, suono il tenore soltanto con un Drake in ceramica .....
L'Ever Ton per alto l'ho provato ed è buono, ben costruito e risponde alla grande ..... gli preferisco altri bocchini , ma siamo sul versante, gusti personali, resta un'ottimo bocchino.
Nessuno risponde però, sul perchè del diffondersi delle resine a scapito dell'ebanite ... ci sarà un motivo ? ..... e l'altra risposta che attendo è sulla durabilità, e stabilità nel tempo (parlo di anni) del timbro dei bocchini in resina .... il fatto certo è che un Meyer NY od un Selmer Soloist, dopo 50 anni suonano ancora alla grande, gli altri quelli di resina, tra 5 anni avranno conservato le attuali peculiarità timbriche ?...... qualcuno dubita di ciò .... per cui chi SA parli ..... (astenersi perditempo ... :ghigno: )

tzadik
10th March 2011, 11:51
Se il suono di un bocchino cambia... o è perché chi suona è "cambiato"... o è perchè il sax è "cambiato" o perchè il bocchino è "cambiato".

Nel bocchino o cambia la geometria (binari, tavola e ciglio) o cambia qualcosa nel materiale. Meccanicamente è difficile che cambi qualcosa nel materiale...

Secondo me, si scelgono le resine perchè sono più facili da lavorare e perchè hanno caratteristiche meccaniche decisamente migliori: prendi la copia di un Guardala di Junior Barkley, in ebanite non riusciresti ma a creare geometrie cose spinte, si romperebbe il materiale... con la resina invece non ci sono problemi.
Io non conosco la composizione chimica esatta delle varie resine (probabilmente non la conoscono nemmeno i produttori di bocchini, vanno a tentativi: fanno prove sperimentali e prendono la resina che suona meglio) però non faccio fatica a pensare che sia meno pericoloso produrre una resina dell'ebanite... e che sia più controllabile la produzione della resina rispetto alla produzione dell'ebanite.

Il motivo principale però, secondo me, rimane essenzialmente tecnologico: la resina è più lavorabile (che non vuol dire più tenera o meno resistenza/resiliente).
La lavorabilità non è solo correlata alle caratteristiche meccaniche del materiale... ma dipende da un mix di cose e in primis dal tipo di lavorazioni che deve subire il materiale.

$sax$$$
10th March 2011, 18:19
Rimango ancora perplesso.....e sostengo ancora la tesi che il materiale influisce sul suono se è veramente libero di vibrare!....e il bocchino non vibra così tanto,secondo me,a tal punto che l'orecchio umano ne possa cogliere le differenze! Certo se usiamo spettrometri vari...e facciamo test in laboratorio ....qualcosa cambierà in relazione ai diversi materiali; ma indistinguibili per il limitatissimo orecchio umano.......
perchè si usino allora ancora diversi materiali?.....i motivi sono molteplici....tradizione....psicologia....ecc
perchè si è cominciato con l'ebanite? materiale indeformabile facilmente lavorabile....e ricordo che prima i bocchini venivano fatti e rifiniti a mano , quale materiale migliore dunque?
Con l'avanzare della tecnologia si è sperimentato anche il metallo..... con ottimi risultati direi e la materia prima forse più facilmente reperibile visto l'uso in larga scala anche in diversi usi.....adesso è più caro???? infatti lo paga l'acquirente non il produttore... :mha!(
Tzadik .....la propagazione delle onde dipende dalla densità del materiale ,certo, ma credo si intenda la propagazione delle onde nel corpo stesso fatto dal quel materiale.....ma nel sax ,credo che dobbiamo prendere in considerazione la vibrazione della colonna d'aria e questa vibrazione cambia alla sorgente del suono e dipende dalla geometria del bocchino e come vibra e reagisce l'ancia ....

$sax$$$
10th March 2011, 18:36
Re Minore sostiene che il materiale dello strumento influenzi il suono....OK ,concordo...si ,ma dello strumento ,il sax dunque ,che vibra di sicuro e amplifica il suono prodotto dal bocchino+ ancia....influenzandone il finale.....tant'è vero che in genere,si tenda a slaccare il sax per farlo vibrare in diverso modo variandone il suono......o no? :???:

tzadik
10th March 2011, 19:48
All'inizio penso che i primi bocchini fossero in legno, non in ebanite. Poi l'ebanite ha sostituto il legno (a grandi linee) e si è giunti all'ottone/bronzo.
In linea di massima mi sembra che nel passato ci si sia sempre orientati su materiali con caratteristiche meccaniche progressivamente più precise e omogenee.
Esempio: di un pezzo di legno non si può mai sapere con certezza se la densità è costante in ogni punto, o se magari c'è qualche "nodo"...

Ovviamente, ora ci sono tantissimi altri materiali adatti per costruire un bocchino. Spesso le ragioni un po' per creare prodotti diversi, un po' per creare suoni diversi, un po' per marketing.
Quando suoniamo il bocchino vibra, eccome se vibra... provate a stringere con la mano destra il bocchino mentre suonate una nota con la mano sinistra (sol, la, si, do...) e sentite le variazioni che si ottengono.

Tommy
10th March 2011, 20:07
Volendo rispondere in maniera (pseudo) scientifica alla domanda di Gene sulla presunta superiorità dell'ebanite, si potrebbe dire che la densità elettronica del legame zolfo-monomero non è distribuita in maniera perfettamente equa, quindi l'ebanite può accumilare una modestissima carica elettrostatica in superficie.

Quando si imbocca un bocchino in ebanite, si potrebbero pertanto verificare dei fenomeni curiosi:

- si ha un riscaldamento dei tessuti a contatto con il bocchino, causato dalla pressione e dall'attrito (cosa che succede con tutti i bocchini);

- inoltre si accumula una modesta carica elettrostatica sia sulla pelle che sul bocchino; l'inavvertibile miniscarica che segue causa una leggera ionizzazione dell'aria e gli ioni ad alta energia scaricandosi sulla pelle causano un ulteriore aumento impercettibile della temperatura negli strati sottocutanei;

- in più , la presenza di una carica elettrica cutanea causa la formazione di un minimo campo elettromagnetico, il quale interagisce (fem indotta) con i fluidi corporei, che sono degli elettroliti. Come conseguenza di ciò si ha un aumento di temperatura dei tessuti della bocca.

L'effetto combinato di tutto questo fa sì che si verifichi un aumento di flusso sanguigno e linfatico nel sistema buccale, che ti fa suonare meglio perché le labbra sono più turgide, quindi l'ancia vibra diversamente.

Questo effetto non si verifica con i bocchini di altri materiali: infatti quando si suona con un bocchino in ebanite il leggero effetto di calore alle labbra scompare dopo rispetto a quando si suona con un bocchino in plastica.



Scusate le stupidaggini infilate una dopo l'altra :oops:



Edit: aggiungo una ulteriore considerazione

Perché la bakelite è stata usata molto meno dell'ebanite per fare i bocchini? La bakelite è una resina fenolo-formaldeide inventata ad inizio del '900, in pratica la prima resina di sintesi a largo impiego. Perché allora non ha sostituito l'ebanite che ha continuato a essere il materiale più usato?

Al mio confronto Giacobbo è un dilettante :cool:

gene
10th March 2011, 21:44
Beccatevi questa ......

The vulcanization of polyolefinic rubbers can be defined as the process by which the reaction between the polyolefin and sulphur results in greatly increased elastic properties of the polyolefin and the maintenance of these properties over a comparatively wide temperature range.

The term ‘vulcanization’ was proposed by Mr Brockedon to Thomas Hancock who took out the first patent for the process in 1843, although it is now universally accepted that the action of sulphur, lead oxide and heat on natural rubber to ‘cure’ it of its propensity to turn brittle when cold and sticky when hot was discovered by Charles Goodyear in 1839. Indeed, in the US the terms ‘cure’ and ‘curing’ tended to be used instead of ‘vulcanize’ and ‘vulcanizing’ and this has resulted in a number of problems and anachronisms which will be addressed later.

It was rapidly established that, whilst the basic ingredients of a vulcanizing system were sulphur, a base oxide such as lead oxide or zinc oxide and heat, the last ranging today from about 120oC to 200oC, other chemicals could be added to the mix to speed up the process at any given temperature and even today new chemicals (called generically ‘accelerators’) are being brought into commercial use. Apart from the obvious reason of getting a slice of an existing market the reasons tend to be threefold:

To modify the vulcanization process in such a way as to make it more cost-effective.
To modify the vulcanization chemistry and thereby obtain a product with improved performance characteristics.
For environmental or ‘health & safety’ reasons.
Because a rubber product can contain materials such as fillers and oils which are not part of the vulcanization process, it is the ratio of sulphur and accelerators to the rubber which is important in defining the type of vulcanising system so quantities are expressed not as %’s but as ‘parts by weight per hundred parts of rubber’ (pphr) or (phr).

However, before considering actual quantities it is worth considering what happens during the vulcanization process. For close to a century after the discoveries of Goodyear and Hancock the argument raged as to what was the interaction between the rubber and sulphur. As early as 1898 Ostromislenski (Ostromuisslenski) had proposed a combined chemical/physical theory of vulcanization whilst in 1902 Weber proposed a purely chemical one and in 1910 Ostwald opted for some sort of physical mixture or ‘alloy’ formation. Although the evidence for a chemical inter-reaction became overwhelming to most scientists there was still a bitter argument between the two sides at an international conference on vulcanization as late as 1939.

The chemical structure of the natural rubber vulcanizate was finally resolved during the 1960’s and 70’s at the Malaysian Rubber Producers’ Research Association by studies of the reaction between sulphur and various accelerators with low molecular weight olefins which could be taken as models of the rubber olefinic unit. This work led to the conclusion that the polymer chains of an unvulcanized rubber were joined together (crosslinked) by sulphur bridges to give a three dimensional network and it was this which provided the increased elasticity of the vulcanized product.

The detailed picture was extremely complex, showing that the sulphur could initially attach itself to one of several carbons within the monomer unit and could then either remain there or undergo a chemical shift to another carbon atom. The length of the sulphur bridge was also variable, being 1, 2, 3 or even more sulphur atoms whilst the final complication was that the sulphur bridge might not have been formed between two adjacent polymer molecules but it could have looped back to the same polymer chain from whence it started.

An understanding of these factors enabled some quantitative observations obtained almost a century ago to be understood.

In the early days of vulcanization, before the introduction of modern accelerators but when the advantages of adding a little organic base were appreciated, trial and error had shown that around 2.5 pphr sulphur gave a good useful vulcanized rubber product and this came to be known as a conventional vulcanizate. This level of sulphur is used today, with around 0.5 pphr accelerator and what the model olefin studies, together with calculations of the crosslink density of the vulcanizate, showed is that it is not an efficient system. The polysulphidic crosslinks and other non-crosslinking sulphur chemistry means that it needs about 12 sulphur atoms to produce one crosslink. If the levels of the ingredients are reversed to 0.5 pphr sulphur and 2.5 pphr then we have an efficient vulcanizate (EV) with only about 3 sulphurs required for each crosslink. Not surprisingly it is possible to design semi-EV systems between these two extremes. Zinc oxide is today the preferred inorganic base, usually added at around 5 pphr, although for applications where transparency is desired (baby feeding teats, medical tubing etc.) it can be as low as 1 pphr.

Just because the terms conventional and efficient are used these should not be equated with ‘old’ and ‘new’ (better). The different systems give different properties to the vulcanizates at the same level of crosslinks and the system chosen will depend on the anticipated use of the product.

Many vulcanizing systems for rubbers using chemicals other than sulphur have been investigated over the last 150 years but very few exist commercially today and here we tend to move from the word ‘vulcanization’ to ‘cure’. The use of sulphur chloride (1846 - Parkes Process) is called the sulphur chloride cure process and we also have peroxide cured rubbers. Cold vulcanization processes, such as the ubiquitous cycle repair patch, are called ‘cold cure’ processes. To add a further layer of complication, the chemicals which may be added to a rubber mix to effect vulcanization, including the accelerators, are collectively called curatives and the remains of these chemicals after vulcanization, cure residues.

It should also be remembered that early stories of the preparation of ‘dry’ rubber from latex in South America involved the smoking over open fires of layers of rubber built up on paddles whilst smoking sheets of coagulated and semi-dried natural rubber is still practised today in eastern plantations and cooperatives. This process was familiar to the British as it mirrored that used to smoke or ‘cure’ fish. Inevitably therefore the smoking process for rubber also became known as curing and for some time the two quite different meanings were used with much confusion. Eventually it became accepted that ‘curing’ only referred to the reaction with sulphur and the other process was called ‘smoking’.

Vulcanization of Latex

In the early 1920’s it was discovered that natural rubber latex could be vulcanized over a period of several hours by the addition of the usual ingredients – sulphur, zinc oxide and an accelerator – to the warm latex. Visually the vulcanized latex appeared indistinguishable from the untreated material but when it was coagulated and/or dried it behaved as if vulcanized. The procedure of treating the latex in this way is called pre-vulcanization and the further short heating period after coagulation, post-vulcanization. The chemistry of this process was finally understood in the 1990’s, again following work at the Malaysian Rubber Producers’ Research Association in the UK. It was shown using transmission electron microscopy that there was initial crosslinking between the different elastomer chains within each particle of latex and that, on drying to a film, loose ends of the polymer, projecting from the particle, acted like ‘Velcro’ to hold the particles together. Slowly at room temperature, or more rapidly at elevated ones, the vulcanization chemistry continued with S-S bonds in the polysulphidic crosslinks breaking and reforming. Some of the reformed bonds were inevitably between the entangled polymer ends of different particles and the whole product then became chemically ‘fused’ together.

Two particular advantages of vulcanized latex over vulcanized ‘dry’ rubber are:

that the latex tends to be very much stronger and elastic as the elastomer chains have not been degraded by the mechanical work needed to incorporate curatives into the dry material.
since even post-vulcanization takes place at a relatively low temperature (generally below 120oC) it is possible to incorporate colouring chemicals which would not survive the high temperatures used for cost-effective conventional vulcanization (typically 160oC to 200oC).
Moving from sulphur and polyolefinic rubbers to other systems is to move completely from vulcanize to cure. Perhaps the three most common materials in a domestic environment being the cold curing silicone or acrylate sealants, the peroxide cured car filler and the two part epoxy resins.

$sax$$$
11th March 2011, 19:13
Concordo con le verità esposte da Tommy!! :ghigno:

Tommy
11th March 2011, 19:21
:ghigno:


Aggiungo un ulteriore contributo alla causa

http://www.r-type.org/static/ebonite.htm


Però non intravvedo ancora il motivo vero per il quale e l'ebanite è meglio della volgar plastica .... e perché quella vecchia è meglio di quella di oggi. :BHO:

$sax$$$
11th March 2011, 21:09
;) aggiungo questo http://fisicaondemusica.unimore.it/ .....oltre che essere interessante,mi ha tolto alcuni dubbi e sfatato certe convinzioni (by CNR e company)
PS: andate su "domande e risposte"

Tommy
16th March 2011, 16:57
Bel link, me lo metto tra i preferiti che ci sono molte cose interessanti da leggere :)

mampi
17th March 2011, 12:51
qui http://www.dornpub.com/SaxjPDF/Material.pdf
in Saxophone Journal del 1995 Ralph Morgan diceva la sua sulll'importanza del materiale dei becchi

gene
17th March 2011, 14:18
Si Mampi, la lettura di questa scritto di Ralph Morgan è stato una uno degli elementi conoscitivi che ho utulizzato per approfondire un poco la materia.
Ma ti pare che che se il materiale non fosse importante, rispetto anche ai parametri dimensionali (forma esterna, interna, cubatura, baffo, camera etc.), non ci avrebbero propinato bocchini di semplice plastica ? Fosse altro per i notevoli risparmi sui costi di produzione, che in economie di scala, come la produzione di bocchini, si traduce in una barca di soldi per i produttori ......
L'arcano che mi piacerebbe fosse svelato è: la stabilità nel tempo di questi materiali plastici (delrin, materiali compositi, resine, miscele di ebanite e plastica).
Ovvero, siamo sicuri che un bocchino comprato oggi ( e fatto di questi materiali) tra 10 anni suonerà bene come adesso, oppure nel corso del tempo si verificherà una perdità delle qualità acustiche del bocchino (armonici etc.) ?
Questo mi piacerebbe sapere ........

Danyart
17th March 2011, 14:36
prendine uno, aspetta 15 anni e poi lo saprai!

gene
17th March 2011, 20:53
Aiò Daniè, sull'alto l'ebanite è lo standard e quasi sempre il bocchino di ebanite è l'unico bocchino che si usa in ambito jazz ... mica è il tenore ( te lo dico da tenorista che suona l'alto ....) ::saggio::