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sax111
3rd February 2011, 22:40
Volevo sapere quale è l'Aebersold più facile per iniziare ad improvvisare,considerato che sono all'abc dell'improvvisazione.Grazie a quanti risponderanno.

zkalima
3rd February 2011, 22:43
"Maiden voyage" Vol. 54, io ho iniziato su quello, e ci suono ancora molto.

sax111
3rd February 2011, 23:17
Inizierò subito a cercarlo, siamo certi che è facilissimo? :mha!(

lucaB
3rd February 2011, 23:23
i due volumi sui blues maggiori e minori secondo me sono imprescindibili. Confermo che il 54 è "facile". Diciamo che dopo che ti sei sfinito sui blues potresti ricompensarti col 54.

pizzic77
4th February 2011, 02:51
"Maiden voyage" Vol. 54, io ho iniziato su quello, e ci suono ancora molto.

Anch'io sono partito dal 54, fidati che per iniziare va benissimo!!!

zkalima
4th February 2011, 03:23
Sul 54 ci sono dei blues, i blues maggiori e minori sono più impegnativi, sia ritmicamente che per il fatto che sono in tutte le tonalità, mentre Maiden Voyage ti presenta dal blues alla ballad al modale in pezzi non difficili.

Ricordati che un pezzo semplice da suonare è facile quando cominci ma diventa difficile quando hai padronanza.

Un altro importante per cominciare a pasticciare sulle scale è il vol. 42 quello sulle scale maggiori e minori

gene
4th February 2011, 08:46
Non sono daccordo ...consiglio di STUDIARE il Volume 1 - 3 - 16 - 24.
Dopo che ti sei fatto il mazzo su quelli, inizierai a capire cosa significa improvvisare .....
Qualcuno ritiene il 54, facile ......Impressions, Footprints, Maiden Voyage ...... parliamo di jazz modale ...... :BHO:

giorgiomilani
4th February 2011, 09:36
Mi associo a gene. Pattern for jazz lo aggiungerei non agli Aebersold ma alla biblioteca. C'è già una discussione aperta, vicina a questo tema:
viewtopic.php?f=10&t=17619 (http://www.saxforum.it/forum/viewtopic.php?f=10&t=17619)

Danyart
4th February 2011, 10:08
io ho iniziato ascoltando musica e suonandoci sopra, poi con qualche aebersold tipo il 54 e quello di shorter (tra i più difficili!)...non consiglio a nessuno il mio "metodo" che tale non è, comunque anche in questo caso ognuno trova il proprio percorso, certo quello di gene è molto metodico e più sostanzialmente indicato e giusto, magari potrebbe risultare un pò pesante psicologicamente, poco divertente, io farei un misto, seguire quel percorso ma ogni tanto suonicchiare a orecchio e anche dall'aerbersold 54 e altri dello stesso livello...

giorgiomilani
4th February 2011, 10:13
....dicendo che sono d'accordo con gene ho omesso di sottolineare il fatto che il giudizio di facile o facilissimo deve essere considerato in maniera molto personale.
Credo, invece, che l'improvvisazione modale sia una cosa estremamente difficile da padroneggiare quindi, da affrontare in un secondo tempo.
Per suonare una scala su un pezzo accompagnato è meglio usare il 24 che, appunto, si occupa di scale.

gene
4th February 2011, 10:42
Il "divertimento", anche hobbystico, è proficuo, se si hanno, almeno, sufficienti competenze di base.
Tali abilità, che definirei prerequisiti, nella stragrande maggioranza dei casi, significa, impegnarsi, padroneggiare decentemente lo strumento ed avere almeno una sufficiente conoscenza teorica/armonica del materiale su cui vogliamo suonare.
Ad esempio, se si vuole imparare una lingua (ed il jazz lo è), bisogna iniziare ....dall'inizio ..... :ghigno:
con tutto ciò che che questo processo di apprendimento comporta, regole, sintassi e via dicendo.
Perchè nel nostro campo specifico deve essere diverso?
Come fai a parlare inglese se non lo hai studiato ?..... ti arrangi, come puoi ....anche nel nostro campo è uguale ti arrangi come puoi .... MA NON TI DIVERTI (almeno per me è così).
Il divertimento è nel saper fare ...... adesso metti su Footprints vedi cosa ne tiri fuori, registrati e dopo vatti ad ascoltare l'originale ....credo che c'è poco da divertirsi !!!!

pizzic77
4th February 2011, 11:29
Gene, sostanzialmente sono d'accordo con quello che dici, è anche vero però che ognuno si diverte come vuole; conosco sassofonisti e musicisti ai quali è sufficiente mettere una base e suonare, senza avere grandi competenze armonico/strumentali e conoscendo poco (o quasi per nulla) il linguaggio jazzistico.
Non condivido questo tipo di approccio, però capisco che per alcuni possa essere la sola strada percorribile...

In merito al volume 54: molti brani girano su una/due tonalità (come dice lo stesso Aebersold alcuni possono essere suonati con la scala blues) quindi in questo senso il volume 54 è facile; è naturale che queste sono scorciatoie, che suonare "davvero" è un'altra cosa, presuppone un altro tipo di lavoro, però se uno allo studio vuole abbinare un pò di divertimento secondo me questo volume è adatto.

gene
4th February 2011, 12:05
Il nostro amico dice:
Volevo sapere quale è l'Aebersold più facile per iniziare ad improvvisare,considerato che sono all'abc dell'improvvisazione.
Secondo me uno che sostiene di essere ABC, è meglio che si impegni affinchè impari almeno tutto l'alfabeto, altrimenti non è in grado, sicuramente di fare grandi discorsi, ma temo, neanche di parlare correttamente.....
Ciò non toglie, anche per verificare gli eventuali progressi, che ci possa, talvolta, distrarre con qualche base.
Ma allora è meglio un volume sul blues ...così impara qualcosa (già il saperlo strimpellare su qualche tonalità è una crescita) .... che senso ha mettere su Footprints che sono due accordi .... ma proprio perchè è su due accordi, è difficile !!!!
Ovviamente, ognuno si diverte come vuole, questo è logico, ma a parer mio, andare su è giu su due scale (ma attenzione c'è tutto un'universo dentro questi due accordi da scoprire.....) non è un grande divertimento, è soltanto una perdita di tempo !!!!!
Dico questo, per esperienza diretta, perchè ci sono passato. Dopo (sempre dopo) si pensa a quanto tempo si è perso a cazzeggiare .........Amen

re minore
4th February 2011, 13:01
Darei pienamente ragione a gene.... mappero'...

Per natura sono uno metodico. Cominciare "dall'inizio" e fare i passaggi intermedi non mi disturba, anzi, in un certo senso mi ci diverto.

Quindi ho cominciato dal cocker e dall'aebersold n. 3, poi sono passato a qualche pezzo facile (doxy, misty)... ora ho appena iniziato "all the things you are" ed anche qui il mio approccio e' metodico: prima il tema, poi gli arpeggi base sugli accordi, poi gli arpeggi "un po' piu' sofisticati", poi le scale avanti e indietro (il tutto a memoria - senza guardare lo spartito) e solo dopo avrei iniziato le prime improvvisazioni. Ma Sandro Satta, che mi segue, mi ha detto "Pensa di meno e suona di piu'"... evidentemente c'e' un giusto mezzo anche qui. Del resto ci sono stati anche dei grandi musicisti che suonavano meglio di quanto non conoscessero la teoria.

Al momento le mie improvvisazioni su "all the things you are" fanno letteralemente schifo, ma Satta dice che "suonare a orecchio" e' importante e devo fare anche quello. Anzi, l'ultima volta mi ha detto di fare PRIMA quello e poi il resto.

Mah... io con il mio metodo "sequenziale" ora su doxy e misty non vado poi cosi male.

gene
4th February 2011, 14:06
ma Satta dice che "suonare a orecchio" e' importante .... grande verità.
Questa abilità con cade dal cielo ...la si acquisisce facendo tecnica, imparando i salti, conoscendo gli intervalli etc.
I musicisti professionisti suonano ad orecchio, perchè hanno una preparazione tecnica che consente loro, in maniera (in)coscente di improvvisare ...... quando certi meccanismi sono stati acquisiti (ci vogliono anni), il cervello e le mani (semplifico) lavoro contemporaneamente .... quei famosi II V I (cardini dello standard jazz) escono da soli, con tutte le variazioni del caso ...... io li definisco per comodità AUTOMATISMI ....... e un po quando da bambini ci massacravano con le tabelline ...pian piano diventava automatico pensare e risolvere automaticamente un dato calcolo ....... qui è uguale,
D-7/G7/Cmaj deve "uscire" automaticamente ...se ci pensi .....il tempo è tiranno !!! sei sempre indietro ...... :ghigno:

giorgiomilani
4th February 2011, 14:14
ma Satta dice che "suonare a orecchio" e' importante .... grande verità.
Questa abilità con cade dal cielo ...la si acquisisce facendo tecnica, imparando i salti, conoscendo gli intervalli etc.
I musicisti professionisti suonano ad orecchio, perchè hanno una preparazione tecnica che consente loro, in maniera (in)coscente di improvvisare ...... quando certi meccanismi sono stati acquisiti (ci vogliono anni), il cervello e le mani (semplifico) lavoro contemporaneamente .... quei famosi II V I (cardini dello standard jazz) escono da soli, con tutte le variazioni del caso ...... io li definisco per comodità AUTOMATISMI ....... e un po quando da bambini ci massacravano con le tabelline ...pian piano diventava automatico pensare e risolvere automaticamente un dato calcolo ....... qui è uguale,
D-7/G7/Cmaj deve "uscire" automaticamente ...se ci pensi .....il tempo è tiranno !!! sei sempre indietro ...... :ghigno:
"Suoni inauditi" scritto da Sparti è un testo da leggere al riguardo secondo me.

gene
4th February 2011, 14:54
Suoni inauditi" scritto da Sparti è un testo da leggere al riguardo secondo me .....
PROVVEDERO' e grazie per averlo segnalato ........

gene
4th February 2011, 15:00
INTERESSANTISSIMO !!!!!!! Mi sembra che il Prof. Sparti, traduca in maniera "colta" quanto io sostengo ..... se i musicisti sono capaci di improvvisare, è perché conoscono le regole e i materiali della loro disciplina, al punto da permettersi di trasgredirli in modo creativo ......

Davide Sparti è professore associato presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Siena. Con il Mulino ha pubblicato "Identità e coscienza" (2000) e "Epistemologia delle scienze sociali" (2002); con Feltrinelli "Soggetti al tempo" (1996), "Wittgenstein politico" (2000) e "L'importanza di essere umani. Etica del riconoscimento" (2003).

Si può dire qualcosa di interessante sull'improvvisazione partendo da discipline apparentemente estranee alla musica e al jazz, come la sociologia o la filosofia del linguaggio? Nel raccogliere questa sfida Davide Sparti mostra che l'improvvisazione non coincide con il regno della libertà spontanea, come ritengono quanti vedono nel jazz una forma d'arte primitiva ed intuitiva che elude i processi cognitivi. Al contrario, se i musicisti sono capaci di improvvisare, è perché conoscono le regole e i materiali della loro disciplina, al punto da permettersi di trasgredirli in modo creativo. Per rendere conto dell'improvvisazione bisogna dunque spiegare sia i vincoli a cui essa è sottoposta, sia la competenza necessaria per creare qualcosa di nuovo. Il jazzista non sa in anticipo quali idee genererà nel corso dell'esecuzione, né può - in una performance improvvisata - "tornare indietro". Può però rivolgersi a quello che è stato già suonato (da lui o da altri), ed estenderlo, creando così delle forme retrospettivamente. Benché l'improvvisazione trovi la sua consacrazione definitiva nel jazz, essa costituisce una pratica culturale prima ancora che musicale. In fondo la situazione del jazzista assomiglia a tante altre della vita quotidiana: si improvvisa conversando, in un gioco sportivo, cucinando, di fronte agli ordinari piccoli imprevisti come ai grandi eventi esistenziali per i quali non disponiamo di un copione già noto (pubertà, menopausa, nascite, morti, separazioni), e persino in quelle situazioni dove affidarsi alla sola routine può essere pericoloso, dall'organizzazione del lavoro alla sala operatoria. Siamo così condotti dal jazz a quella che si potrebbe chiamare la logica della creatività.

giorgiomilani
4th February 2011, 15:03
Sai perchè ti "innesco" gene? Perchè sei molto bravo a dire le cose!!!

zkalima
4th February 2011, 15:19
"Si può dire qualcosa di interessante sull'improvvisazione partendo da discipline apparentemente estranee alla musica e al jazz"

Secondo me è indispensabile, l'improvvisazione non può vivere di sola armonia, diventa un autocannibalismo e soprattutto è pallosa, la musica è espressione e arte e vita, dunque perchè un'improvvisazione abbia un senso devono entrarci storia personale, letture, cinema, spettacolo e la propria personale visione della vita, indipendentemente dalla competenza tecnica che si possiede.
Ma torniamo al topic; io non ho detto che il Vol 54 è facile, ho detto :-leggi-:

"Ricordati che un pezzo semplice da suonare è facile quando cominci ma diventa difficile quando hai padronanza."

se guardiamo la storia del jazz, dai primi blues a coltrane, si parte con il modale e si finisce con il modale, passando da un processo di costruzione armonica piuttosto complesso e progressivo.
Allora, perchè non si può partire facendo esperienza su strutture modali, sciogliendoun po il linguaggio, cercando magari di inventare un suono prima di mettersi a interiorizzare patterns che servono certo come esercizio, ma che finiscono per diventare gabbie che tutti dicono che vanno superate, ma nessuno mette mai in discussione.

In ogni caso Aebersold è un sistema di sopravvivenza, nulla di più, se si vuole imparare il jazz si suona sui dischi e sui manuali classici imparando tutta la teoria musicale che ci è necessaria, il jazz è una tradizione orale e non scritta, questo ne ha rappresentato l'immensa vitalità, vitalità mortificata quanto più il suo linguaggio è stato costretto in schemi scolastici.

In ogni caso approvo il richiamo alla disciplina, niente come la libertà ha bisogno di disciplina.

gene
4th February 2011, 16:03
zkalima ....qui nessun ha la verità scritta. Parlo almeno per me, e parlo di errori commessi (da me), nella speranza che altri non li commettano !!!!!! tornando on topic e a quanto tu sostieni, probabilmente parliamo di due livelli diversi ...... ho pensato per anni di suonare decentemente, quando mi si è posto il problema, lasciare perdere o fare uno scatto di qualità, mi sono reso conto (dopo), che per troppo tempo ....ho perso tempo !!!
Suonare (ti cito) indipendentemente dalla competenza tecnica che si possiede, per me non è suonare (o almeno non mi divertivo piu) è avere un hobby, .....divertirsi, da soli o con un gruppo di amici, che è lecito ed è giusto, se l'obiettivo è questo, nessun problema.
Per me suonare (e trovare in questo, divertimento) è mettermi in discussione, imparare, suonare con chi è migliore di me, padroneggiare (nei mei limiti) lo strumento, avere un bel timbro ed un'ottima intonazione (mica facile) e soprattutto dominare (parla grossa, ma ci provo e mi ci avvicino) quelle maledette sigle .......per fare questo, serve disciplina, rigore ed impegno (anche quando non ne ho voglia) ... Ho cazzeggiato tanto, ho già dato ..... questo almeno per me !!!

zkalima
5th February 2011, 01:08
è così anche per me, solo che quel salto non ho saputo farlo o non ancora, posso anche giustificare la cosa con le contingenze personali, ma sostanzialmente concordo sul fatto che vada fatto, ma coerentemente con cio che si vuole suonare.
Però, cominciare a esplorare dei brani, partendo da strutture modali, non è sbagliato, cazzeggiare è un'altra cosa, è una tentazione che c'è, soprattutto quando non hai in vista degli obbiettivi concreti e non ti senti all'altezza di suonare con gente preparata, bisogna vincersi e farsi il mazzo, ma soprattutto cominciare, non credo alla teoria messa in pratica, credo nell'esperienza che si migliora.

juggler
5th February 2011, 08:34
Trovo che oggi ci sia una scarsa attenzione allo studio delle forme musicali (e non mi riferisco solo a ciò che il jazz ha prodotto) e quindi all'articolazione variata del discorso musicale.
Se il tutto viene sempre ridotto al solo rapporto sigla-scala, c'è sempre un livello di appiattimento a cui tutto il discorso improvvisativo viene ridotto perchè manca il senso della prospettiva nella costruzione di un solo.
I "vecchi maestri" ascoltavano vari tipi di musica (colta europea, popolare, etnica ecc.) ed era ciò a sollecitarli nell'esplorazione di nuove direzioni:
se mangio solo pasta e fagioli, per darle un sapore diverso ogni volta dovrò escogitare modi di cottura e varianti di aromi; ma sempre pasta e fagioli rimane!
Se cambio ingredienti, ho una piu' vasta scelta di sapori...sebbene dovrò fare sempre delle scelte, perchè non tutte le spezie e gli aromi stanno bene con tutto...

L'appiattimento di certe "pratiche", sia esse didattiche o procedurali, dipende dal voler vedere la musica "a compartimenti stagni" e solo in riferimento agli stili o ai "gerghi personalizzati" (alla Coltrane, alla Gordon ecc.): che il suonare sulle basi sia una buona palestra è innegabile, ma non genera creatività se viene ritenuto mezzo e fine.
Si ha padronanza di un brano, in senso esecutivo-improvvisativo, solo quando lo si sa "de-comporre" nella sua essenza e ridarlo in un'altra forma rispetto a quella originaria o a quella piattamente didattica proposta dalle basi.

re minore
5th February 2011, 09:22
Sul fatto che suonare ad orecchio sia (la cosa piu') importante e che "i musicisti professionisti suonano ad orecchio, perchè hanno una preparazione tecnica che consente loro, in maniera (in)coscente di improvvisare" sono d'accordo al 101%.

Succede cosi' in tutte le cose che si impara a fare bene, compreso ad esempio guidare l'automobile: all'inizio lo si fa con un processo "cosciente e sequenziale", pensando coscientemente ad un elemento per volta (metto la freccia, freno, premo il pedale della frizione, metto la marcia, etc.) e poi dopo centinaia di ore di guida il processo si automatizza (avviene proprio un cambiamento fisico del cervello). Suonando uno strumento succede la stessa cosa.

Il punto e' che Satta mi ha detto di suonare ad orecchio adesso, invece di adottare l'approccio sistematico arpeggi, scale etc.

gene
5th February 2011, 19:22
Satta ti a detto di suonare ad orecchio adesso, ma mica ti ha detto che non devi studiare ..... non sarà che magari, ti vede troppo discliplinato, controllato, insomma troppo "precisone" ..... magari intende darti una scossa , magari significa che devi lasciarti andare ......

drake95
5th February 2011, 22:59
Per me i piu' facili sono l'11 (Herbie Hancock) e il 54 (Maiden Voyage)

docmax
6th February 2011, 12:16
Leggo con attenzione i post generati da una richiesta semplicissima di aiuto per iniziare ad improvvisare, noto con piacere la profondità delle risposte e le molte riflessioni da esse in me scaturite. E chi l'ha detto che il forum è una palla?
La mia esperienza di vecchio malato di musica suggerisce di collocare questa richiesta nella fase di vita in cui si vive:
- sei un giovane e vuoi imparare bene (vedo mio figlio...) prendi un maestro parti bene, conosci la musica e la teoria, impara il linguaggio come si deve. La strada è lunga ma avrai meno problemi la tua crescita personale farà il resto;
- sei un adulto, hai poco tempo per far crescere le tue ambizioni? Allora usa la tua esperienza, il tuo sentire, umilmente metti in gioco quel che hai, mettila nel piano del sentimento e nella virtù di saper cogliere l'attimo presente (visto che ne potresti avere meno di un giovane). La strada non ti darà onori o riconoscimenti ma tu intanto potrai aver ricevuto tanto nel tuo animo mentre gli altri, se ne avranno la sensibilità potranno pregiarsi di aver suonato meno bene ma con più interiorità.
Detto questo ricordo lo spettacolo della scorsa settimana nel quale in modo profondo ed emozionante Fresu ha suonato anche Non ti scordar di me... Dove iniziare ad improvvisare allora?

giovanesassofonista
6th February 2011, 14:10
Per me i piu' facili sono l'11 (Herbie Hancock) e il 54 (Maiden Voyage)
E' vero l'11 è tra i più facili a mio parere

zkalima
6th February 2011, 16:05
Doc, è così, chi si avvicina alla musica ha situazioni così diverse che indicare un solo approccio è impossibile.
Anche quello che dice Gene è vero, che consiglia un approccio diverso dal suo perchè ritiene di aver fatto degli errori, ma credo che quegli errori possano diventare carattere imprescindibile quando si comincia a suonare con più consapevolezza, non bisogna diventare estremisti dell'ordine solo perchè si è o si è stati disordinati.
Il fatto da richiamare è, secondo me, uno importante e duplice nella sua natura, cioè che chi si avvicina al jazz deve avere coscienza che fuggire dalle strutture, (che significa anche suonare a casaccio su impressions o su footprints, facendosi un'esperienza, anche dei propri limiti) è qualcosa che deve essere insito nello spirito del jazzista, ne rappresenta la spinta all'evoluzione del proprio linguaggio, ma che se ci si fa dominare da questa fuga si finisce in un vicolo cieco, perchè si finisce a non riuscire a fare quello che si vorrebbe, cosa che invece richiede una disciplina.
E qui, drammaticamente, parlo per esperienza, nel senso che quello che so essere apprezzabile del mio modo di suonare è l'espressività e il suono, ma quello di cui mi vergogno e che quando si suonano gli standard più impegnativi devo lasciare il passo ad altri e non ho strumenti di dialogo, proprio come in una lingua.

docmax
6th February 2011, 16:19
Condivido questi tue impressioni zkalima: anche se non conosco un tubo di armonia provo a disciplinarmi nel fare standard difficili e, quando sento l'armonia del brano dentro di me tutto va liscio, magari non è fatto con precisione e non ti so dire cosa sto facendo ma lo faccio. Nella mia condizione non posso ambire a più alti livelli e mi basta questo.
Ma che bello poter suonare questa roba: ragazzi suonate!

giorgiomilani
6th February 2011, 20:37
.......E chi l'ha detto che il forum è una palla?.............
Leggendo queste discussioni sicuramente è difficile sostenere che sia tale. Io sono convinto che c'è sempre spazio per qualche intervento in più. Del resto è proprio la musica che insegna che non esistono punti fermi e che tutto è in divenire. Perciò, perchè definire il divenire una palla?

juggler
7th February 2011, 01:22
Visto che è stato citato Davide Sparti, consiglio la lettura di altri 2 suoi testi: "Musica in bianco e nero" dove viene finalmente accantonata l'origine africana del jazz (lo sostengo da sempre), una bufala di molta "critica bianca": già, i "bianchi europei" pensano di saper spiegare tutto agli altri, anche quando inseguono distillate illusioni di separazioni fallaci e non conoscono praticamente nulla della cultura altrui...

Quando sento parlare 2 ragazze africane, nella metro di Roma, che frequentano l'università e che parlano un italiano migliore di certe "coatte"...non penso che sono "africane", solo per il colore della pelle, ma che sono italiane perchè i loro pensieri, turbamenti, ansie, speranze...sono uguali a quelle delle italiane loro coetanee...di africano, non hanno piu' nulla, se non il colore della pelle...
Il jazz che nasce agli inizi del secolo scorso, è stato prodotto da una generazione di afro-americani (e da un miscuglio di altre razze), che discendeva dagli schiavi deportati, ma che non possedeva piu' nessuna cognizione della propria lingua/cultura d'origine: volevano essere americani e nella musica hanno cercato di trovare un'identità che era loro negata, dal punto di vista sociale e civile.

Il 2° testo di Sparti: "L'identità incompiuta" - Paradossi dell'improvvisazione musicale - è un'interrogativo storico-sociologico che Sparti cerca di condividere col lettore
ovvero perchè l'improvvisazione sia diventata nelle evoluzioni del jazz una modalità per negare un'identità collettiva e che si è rinchiusa nella ricerca solipsistica (riferimento al free e alle avanguardie).

zkalima
7th February 2011, 21:17
Beh, di minchiate ne ho sentite e lette tante, qui e altrove, di molte mi assumo anche la paternità, ma questa le batte veramente tutte. :bravo:
Il jazz, da quando è diventato musica di successo, cioè dai tempi di King Oliver, ma soprattutto di Louis Armstrong, è stato tirato in molte direzioni, specialmente quando hanno cominciato a suonarlo i bianchi, spesso è andato in direzioni che lo snaturavano, come nell'era delle grandi orchestre swing bianche, e ogni volta che ha dovuto ritrovare se stesso, la sua forza e la sua natura di eleganza e magia, ha dovuto volgersi alle sue origini africane.
Liquidare poi l'avanguardia e il free come ricerche solipsistiche è il colmo, (allora Coltrane, tolti i dischi con Davis e pochi altri, si è fatto una gran sega mentale insieme a Archie Shepp, Pharoah Sanders, Don Cherry, Ornette Coleman, Cecil Taylor, Albert Ayler, e tutti quegli altri poveri illusi che credevano nei dettami di una critica bianca, mettiamoci dentro anche Mingus, Eric Dolphy e Roland Kirk) vuol dire avere una visione del jazz come musica di consumo o come palestra tecnica per fenomeni di agilità e non aver capito nulla, zero assoluto, dell'anima più genuina di quella musica, persino Davis o Shorter, i più bianchi fra i neri, ti darebbero torto.
Scusa lo sfogo Jug, ma l'hai detta grossa, dovresti andare in ginocchio fino alla tomba di Duke Ellington e chiedere scusa, anche a nome di Davide Sparti. :cry:

juggler
7th February 2011, 22:50
Zkalima...quanto a spararle grosse, credo che non ti batte nessuno!
Prima di sparare "filippiche" senza senso, dovresti leggere il libro di Sparti, cosa che non hai fatto, perchè avresti scritto meno castronerie...e avresti colto un senso ben piu' complesso che nella segnalazione non mi sembrava il caso di definire con accuratezza.

L'eredità africana presente nel jazz è un' allucinazione percettiva e della mente, di un modo di ragionare che esclude i livelli di integrazione sociale negata agli afro-americani: questa merda di distinzione troppo abusata fa schifo; non è il colore della pelle che crea un'identità; sono americani e...basta!

L'intellighentia intellettuale radical-chic bianca, americana ed europea, dovendo rimuovere dall'inconscio collettivo di massa, l'orrore di una deportazione e sfruttamento di milioni di africani, hanno dovuto inventare la favola dell' "innatezza creativa" di 'sti "poveri selvaggi", che sfruttati peggio delle bestie da soma, hanno creato la ricchezza del piu' grande sistema capitalistico d'oltreoceano.

Quei "poveri selvaggi" però deprivati di un'identità, di una lingua e di una cultura, cercavano solo un livello di integrazione all'interno di quella società e non altro: volevano essere e sentirsi americani!

Oliver Nelson, andando con la sua band, in Nigeria, negli anni '50, si meravigliò che i musicisti locali non conoscessero il blues...questa era la "coscienza africana" dei musicisti afro-americani! Una coscienza afasica, immaginaria e utopistica!

Quanto al riconoscimento creativo dei "discendenti d'Africa" trapiantati negli USA, anche là c'è tutta l'ipocrisia e l'arroganza degli intellettuali radical-chic del "vi dico io, come stanno le cose..."
Leonard Feather, per me, uno dei peggiori "mercenari" al servizio dell'industria discografica, passava bellamente dal denigrare
O. Coleman su "Down Beat" per poi (pagato profumatamente) scrivere solenni lodi, qualche mese dopo, sulle copertine dei dischi di Ornette, senza sentire il bisogno di giustificare l'aperta incoerenza delle sue posizioni.

Cerca di comprendere, prima di polemizzare...

zkalima
8th February 2011, 02:26
Jug, non te la prendere, sai come sono fatto, no? :alè!!)
Però, se alla prosopopea radical chic, che detesto quanto te, (le mie certezze sull'africanità del jazz mi vengono dai musicisti in primo luogo, quelli di cui ho letto le parole e quelli che ho conosciuto, e dalla mia esperienza di ascolto di quasi tutte le musiche del mondo), si oppone la trita fanfara dell'integrazione sociale, del fatto che se si cambia lingua si cambia identità, riducendo l'esperienza degli uomini a fatti sociologici ed economici, perdiamo tempo, se a me piace Ornette non è per ciò che ne ha scritto Leonard Feather o perchè è negro e povero, ma per la mia esperienza di ascolto.

Poi certo che c'è l'integrazione negata, la discriminazione e tutto l'orrore della storia degli afromericani nel paese più razzista del mondo, ma questo ha determinato le forme, non la sostanza del jazz cioè il blues; Oliver Nelson era un intellettuale attratto da idee musicali che cercava di far quadrare a tutti i costi, e il suo blues è appunto un'idea formale che in Africa è sconosciuta, lui mirava a portare il jazz nei conservatori, mentre l'esperienza della musica naturale è in se anarchica, pur avendo le sue leggi.

Se vuoi, a me piace molto più jazz di quanto jazz africano ci sia in circolazione, ma quando lo sento non riesco a star fermo, mentre se apprezzo un solo di Bill Evans mi commuovo, resto incantato, ma non mi muove.
Senza la realtà della fisicità dell'anima africana non c'è jazz, c'è una musica che gli somiglia, molto bella perchè suonata da grandi musicisti, ma non è la stessa cosa ascoltare Mingus e Gil Evans che pure sono stati due arrangiatori straordinari, ma nel primo c'è il mojo, nel secondo l'arte.
O non mi dirai che ascoltando Count Basie e Duke Ellington, non ti rendi conto dell'abisso che passa tra la loro musica e quella di Glenn Miller o Tommy Dorsey?

Allora, per non estremizzare la polemica, diciamo che l'Africa è spesso cercata, dai jazzisti che hanno subito quello strappo, ricercata come riferimento ancestrale, ma quelli che hanno caratterizzato il jazz la portavano dentro, spesso senza saperlo, e dirò di più; la riscoperta delle radici africane dell'avanguardia fu una presa di coscienza in un mondo che si era scoperto distante da quella realtà, un mondo che stava scimmiottando i bianchi, si lisciava i capelli e vestiva in giacca e cravatta, ma è innegabile che come il contatto tornò alla luce fu immediatamente vitale, segno che un'interruzione vera e propria non c'è mai stata.
Abdullah Ibrahim è un caso lampante, un musicista sudafricano che ritrova la musica del suo paese attraverso Monk e Duke Ellington.
Infatti, veramente, ha più senso parlare di musica "nera" o, come Roland Kirk chiamava candidamente la musica, dal blues delle origini fino a James Brown; "Black classical music" rifiutando il termine jazz.
Infatti, sostanzialmente, io odio quella parola, che sempre di più alza muri che dividono invece di unire, in questo hai davvero ragione, "Jazz" non è per nulla africano.

juggler
9th February 2011, 02:29
Sai, Zka...non credo che siamo responsabili dei pensieri che ci passano per la mente, ma dell'uso che ne facciamo.

In tal senso, trovo (al di là dei battibecchi che talvolta ci concediamo) che il tuo "procedimento dialettico" procede per "flussi di coscienza": in questo tripudio "entropico-pulviscolare" appaiono luci intense, penombre, centrifugazioni...
il vortice del sentimento proiettato verso l'infinito.
Non so perchè ma credo che se ti conoscessi, staremmo sempre a ridere...

"non la sostanza del jazz cioè il blues"
Il blues è uno dei tanti generi prodotti dagli afroamericani, di cui il jazz ha offerto delle "estensioni espressive"...

"l'esperienza della musica naturale è in se anarchica, pur avendo le sue leggi".
Non comprendo...ma è meravigliosa!

"O non mi dirai che ascoltando Count Basie e Duke Ellington, non ti rendi conto dell'abisso che passa tra la loro musica e quella di Glenn Miller o Tommy Dorsey?"
Ti rimando all'incipit di cui sopra...

"la riscoperta delle radici africane dell'avanguardia fu una presa di coscienza in un mondo che si era scoperto distante da quella realtà, un mondo che stava scimmiottando i bianchi..."
Non ci sono "radici africane" nell'avanguardia...qualunque avanguardia è senza radici, cerca le proprie, le costruisce ex-novo.
Semmai, il richiamo all'africanità, sia esso ideale o teatrale (come avveniva nell'AEOC) è una "provocazione metaforica":
"voi bianchi, credete di spiegare tutto, comprendere tutto, saper fare tutto meglio degli altri...
noi facciamo una musica di cui non capite le regole...ma è la ns. musica!"
Credo che questo sia stato l' "orientamento interiore" degli esponenti del free storico quanto delle avanguardie successive...

"Jazz non è per nulla africano".
Sono d'accordo.

zkalima
10th February 2011, 03:16
"Non so perchè ma credo che se ti conoscessi, staremmo sempre a ridere..."
Essere capito da uno che non è d'accordo con te è sempre una bella cosa, si, hai capito come funziona il mio cervello, io parto sempre da un'esperienza, e da questa ne ricavo qualcosa, di anarchico ma con riferimenti ripetibili, se non proprio leggi, ma al di là dei modi diversi che abbiamo di pensare la musica, ci sono anche le parole, che usiamo evidentemente, (e per fortuna), con significati diversi.

Per esempio, la parola "Blues", l'abbiamo usata entrambi, eppure risulta palese che corrisponde a cose diverse nelle nostre teste, per me non è una forma di 12 battute con 3 accordi, forma che si è congelata così quando hanno dovuto cominciare a farne delle canzoni da incidere, ma è l'insieme di esperienze umane di una serie di generazioni che strappate alla loro vita naturale hanno dovuto conservarne i numi, la cucina, il senso, cose che si esprimono con alcuni intervalli e colori musicali che corrispondono ad una peculiare forma dell'anima, è un esorcismo della disperazione, una cura e un rifugio ed un ritorno.
Vedi che mi risulterà sempre impossibile considerarlo un "genere del jazz" anche se lo è diventato, come del rock d'altronde, oltre ad essere genere a se stante.
Le esperienze umane sono sempre libere dalle forme peculiari con cui è possibile farne un catalogo, la musica è una di queste esperienze e conserva le attitudini spirituali e umane del ceppo che ne ha generato il carattere, quindi in qualche modo, "genetico".
Non può liberarsi della sua origine.

Se pensi all'altro apporto fondamentale che ha contribuito a fare del jazz la musica che conosciamo, è anch'esso, più alla lontana, africano, ed è il contributo ebraico.

Quando Lester Bowie o chi per lui ha detto "our music" si riferiva ai neri, agli africani, poi è vero che vivendo il taglio storico dal paese di origine e la follia di una società alienata hanno dovuto teatralizzare l'aspetto tribale, o farne una bandiera di differenza, l'AEOC poi ne ha fatto un sistema di spettacolo, Lester Bangs il famoso "critico" musicale, dopo i primi dischi li chiamava gli impiegati dell'avanguardia, da altri, Abbey Lincoln era stata definita "professional negro" per il suo modo di parlare e cantare, i tentativi sono tentativi, ma indipendentemente dalla riuscita o dal fallimento della rivoluzione nera, la musica dei neri ha conservato la sua natura, su questo non ho dubbi nè vedo evidenze contrarie.

Per farmi perdonare l'insolenza ti faccio un regalo africano pieno di blues, (oltre al resto).

http://www.youtube.com/watch?v=bwI0g3Khod0

mix
10th February 2011, 11:52
vacca bo... ho letto gli ultimi 6/7 commenti... e sono fuso! :\\: ... voi siete fuori ragazzi... :lol: ... siete al di sopra delle mie possibilita!... hi hi... ciao. Fine O.T.