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Visualizza Versione Completa : Miles Davis sui musicisti classici



lucaB
14th September 2010, 10:59
Nella sua autobiografia con Quincy Troupe (http://www.minimumfax.com/libri/scheda_libro/294), Miles a un certo punto dice (non ho il libro sotto mano) qualcosa tipo:

I musicisti classici sono dei robot. Sanno suonare solo quello che gli metti davanti, ed è difficile suonare con loro perché non sanno metterci l'anima e vogliono suonare tutte le note così come sono scritte (dice che i suoi trombettisti diventavano rossi a suonare gli arrangiamenti di Gil Evans perché non volevano perdersi nemmeno una nota). Dice che tecnicamente/musicalmente appunto, sono dei robot, precisi, suonano tutti uguale. Ammette l'esistenza di grandi musicisti classici ma alla fine non li considera nient'altro che degli esecutori (ovviamente non si riferisce ai grandi compositori classici di cui ha massimo rispetto). Parla della sua difficoltÃ* (in particolare ai tempi di fare il disco Sketches of Spain) di trovare un compromesso tra musicisti che suonassero gli arrangiamenti di Evans e musicisti che ci sapessero mettere del sentimento, tra musicisti insomma che sapevano leggere benissimo ma suonavano senza feeling, e musicisti che non sapevano leggere ma interpretavano alla grande.

Insomma, ma i musicisti classici sono davvero così limitati? O è un caso di "arroganza" da jazzista? Un musicista classico come Horowitz (non so come si scrive) è davvero inferiore a Horace Silver (per dirne uno) solo perché si "limita" a leggere la musica scritta? Si può quindi concludere che un grandissimo virtuoso classico (sceglietene uno) è solo un grande tecnico (come afferma Davis), niente di più che una macchinetta macina note? Sì deve quindi dedurre che tali "robot" come li chiama Miles siano privi di valore artistico? Se il musicista è limitato, robotico, allora che giudizio si può dare del suo pubblico? Dizzy Gillespie ha affermato che un musicista jazz non dÃ* mai il massimo in studio, un jazzista va conosciuto ai concerti. Questo certamente non è vero per un classico, si può quindi affermare che un classico non arriva al "cuore" del suo ascoltatore? Miles vuole suggerirci che la musica classica è morta con la scomparsa dei suoi grandi compositori? Vuole forse farci intendere una superiore longevitÃ* del Jazz?

Filippo Parisi
14th September 2010, 11:05
Prevedo scintille in questo thread. :D

Comunque io sono abbastanza d'accordo con Miles, fermo restando che come in tutto vi sono le dovute eccezioni. Mi viene in mente Glen Gould ad esempio...

tzadik
14th September 2010, 11:22
Quello che diceva Miles Davis va preso con le pinzette... considera non solo il Miles Davis musicista, ma il Miles Davis "come figura sociale": un borghese nero arricchito e in generale un grande business man.

Il contenuto del pensiero di Miles Davis può contenere anche delle cose oggettive: i professionisti classici che arrivano a un certo livello sono effettivamente dei "robot" rispetto alla maggior parte dei professionisti jazz (dell'epoca, adesso ci sono anche dei jazzisti "robot").
Nel percorso per diventare un professionista classico, la tecnica strumentistica e la lettura sono le cose principali e fondamentali... il resto passa decisamente in secondo/terzo piano.

Però, in quel ambiente professionale (musica classica), l'eccellenza è richiesta solo per quelle cose lì... le cose richieste sono di meno, però su quelle poche cose bisogna essere perfetti.
Quindi... è una questione di punti di vista e il punto di vista di Miles Davis era il punto di vista di uno che suonava jazz (e che con il jazz ci ha fatto tanti tanti soldi!). :zizizi))

La cosa oggettiva che rimane però è che per suonare jazz ci vuole una certa astrazione, astrazione che a un musicista classico seppure professionista (per quello che deve fare) non serve e che quindi non ha sviluppato nel suo percorso di formazione musicale (se il musicista in questione ha scelto una carriera esclusivamente "classica").

mix
14th September 2010, 11:23
io penso che chi guarda a se stesso ne ha giÃ* a sufficienza... ;)

gene
14th September 2010, 13:43
Guardate che Davis era un musicista...mica la VeritÃ* Assoluta.... mi sono sempre stati sulle palle i luoghi comuni, come i siciliani sono mafiosi, i napolatani ladri, i milanesi lavoratori e via menando......penso che ognuno e quel che è, ci sono musicisti di classica eccelsi ed altri meno, lo stasso vale per il jazz, come per tutti i mestieri ......... il resto mi sembrano cazzate !!!!

Danyart
14th September 2010, 14:29
"Guardate che Davis era un musicista...mica la VeritÃ* Assoluta.... mi sono sempre stati sulle palle i luoghi comuni, come i siciliani sono mafiosi, i napolatani ladri, i milanesi lavoratori e via menando......penso che ognuno e quel che è, ci sono musicisti di classica eccelsi ed altri meno, lo stasso vale per il jazz, come per tutti i mestieri ......... il resto mi sembrano cazzate !!!!

verissimo!

Filippo Parisi
14th September 2010, 14:30
Ehem, Daniele ma non eri tu che.... "sono alto come un sardo"? :D

juggler
14th September 2010, 19:24
Non portano molto lontano questi pseudo-distinguo fra musicisti classici-jazz, tanto piu' se ci si riferisce all'opinione di un musicista, che sia Miles o un'altro poco importa...
Miles ha dato giudizi negativi, anche su Ornette, Dolphy, Sheep e tanti altri...salvo poi ricredersi in un secondo momento...o quando musicisti che suonavano con lui come Tony Williams difendevano ciò che lui disprezzava o probabilmente non capiva o non rientrava semplicemente nelle sue "visioni musicali"...
Giudizi negativi sugli esecutori classici sono stati espressi anche da Glenn Gould, che di certo non era un jazzista, il quale soprattutto si riferiva alla scelta dei repertori...ovvero quelli collaudati, quelli giÃ* "presenti nelle orecchie" di ascoltatori, che vogliono solo ciò che giÃ* conoscono e di cui magari conoscono anche sfumature sottili...
Sono certi "sistemi accademici", presi alla lettera o come veritÃ* assolute, che possono rendere "robotiche" certe individualitÃ*...e che si tratti di jazz o di musica della tradizione colta europea, non cambia nulla...
Tanto certi esecutori accademici quanto certi jazzisti sono, oggi, speculari: recitano "a soggetto" una parte che è sempre la stessa...improvvisare tenendo come riferimento solo un giro di accordi, ormai non porta da nessuna parte, nè ci sono i margini per essere creativi: si dimostra solo di "essere competenti" rispetto ad un certo stile...e nulla piu'! Cicli poliritmici, sezioni pluritematiche, nuove sperimentazioni timbriche, accostamenti di stili differenti e quant'altro possono portare la "direzione improvvisativa" verso nuovi lidi...

giovanesassofonista
14th September 2010, 19:27
Prevedo scintille in questo thread. :D

Comunque io sono abbastanza d'accordo con Miles, fermo restando che come in tutto vi sono le dovute eccezioni. Mi viene in mente Glen Gould ad esempio...
Ho proprio finito ora di leggere un simpatico aneddoto su Glen Gould
FINE OT

Filippo Parisi
14th September 2010, 19:47
Minkia quanta "prevenzione". Eppure luca ha ben specificato che Davis -personaggio scontroso e sicuramente sopra le righe- si riferiva alla sua realtÃ*. Cioè quella di un grande artista, e musicista jazz per il quale secondo lui "era difficile suonare con dei musicisti classici". Ma non per suonre Bach bensì per fare jazz e del livello che pretendeva Miles tra l'altro. Cita anche Sketches of Spain e dice ciò su cui tutti saremmo sicuramente d'accordo al di lÃ* della questione di voler apparire più o meno "contro": suonare gli arrangiamenti di Gil Evans può essere relativamente semplice per un musicista classico ben dotato, suonarli con "sentimento" (quello richiesto dal linguaggio e dalla storia stessa del jazz) è ovviamente qualcosa di estremamente complicato da richiedere ad un musicista classico. Meglio sarebbe non decontestualizzare il discorso...

Danyart
14th September 2010, 20:38
d'accordo con Juggler! per la "sono alto come un sardo" beh... :lol: :lol:

Ctrl_alt_canc
14th September 2010, 23:32
Tanto certi esecutori accademici quanto certi jazzisti sono, oggi, speculari: recitano "a soggetto" una parte che è sempre la stessa...improvvisare tenendo come riferimento solo un giro di accordi, ormai non porta da nessuna parte, nè ci sono i margini per essere creativi: si dimostra solo di "essere competenti" rispetto ad un certo stile...e nulla piu'! Cicli poliritmici, sezioni pluritematiche, nuove sperimentazioni timbriche, accostamenti di stili differenti e quant'altro possono portare la "direzione improvvisativa" verso nuovi lidi...

verissimo anche questo!


Propongo un paragone...un artista che dipinge opere personali,magari solamente ispirate ai grandi,e un abilissimo falsario (anzi,qualcuno che produce falsi d'autore).Questo ultimo alla fine esegue un capolavoro che è stato pensato e prodotto da un altro grande artista,esattamente con un musicista ricalca quel che il compositore voleva trasmettere.
Anche un jazzista,quando esegue uno standard,ma non è un ricalcare quanto un raccontare,come un nonno lo fa ai nipoti,riempiendo di proprie esperienze e invenzioni il racconto.

Purtroppo,personalmente,non riesco ancora a vedere dove sta il margine di libertÃ* che si cela dietro un musicista classico. Voglio dire,vogliamo paragonare una composizione istantanea di un jazzista,ad una esecuzione di un brano letto? Fino a che punto questa famosa "interpretazione" dietro la quale si celano le libertÃ* (musicali) di un musicista classico si spinge? Parlo di una bilancia artistica...non riesco proprio a equiparare le due vie per esprimere la musica..posso farlo solo a patto che l'esecutore sia anche il compositore

zkalima
14th September 2010, 23:45
Beh il riferimento a Sketches of Spain è abbastanza evidente, si tratta dello sfogo di un musicista che si è scontrato con l'impostazione di musicisti classici a cui ha cercato di spiegare cosa voleva e non l'ha ottenuto, essendo un jazzista Miles ha esasperato il concetto facendone una generalizzazione, quasi una provocazione, (la sua autobiografia ha un gran campionario di fanfaronate e bugie, come di solito succede fra i jazzisti), se il carattere dei jazzisti non fosse stato così estremo, non avremmo avuto ciò che di meglio ha dato il jazz.
Con buona pace dei musicisti classici. :D

PJM
15th September 2010, 00:53
Che dire, il musicista classico come dice Tzadik deve fare determinate cose, la tecnica e la precisione ritmica viene prima di tutto, tutto è finalizzato a un'esecuzione perfetta..il jazzista (degli anni di Miles però) sapete tutti cosa deve avere e cosa deve fare..MUSICA, creare un colore, avere dell'arte addosso e buttarla fuori, non importa con tante o poche note o se perfettamente intonate o nò o..il problema è che il jazzista di oggi sta diventando un musicista classico o come un musicista di Pop che deve suonare sui dischi sul click e se si parte un trentaduesimo dopo, il pc ti fa vedere nel bel grafico che sei fuoritempo..se mettessimo a suonare in questo modo i grandi del jazz avrebbero dei problemi..infatti sono mestieri,sensibilitÃ* diverse, se si suona jazz con questo approccio come purtroppo non pochi fanno, allora buonanotte :mha!( La veritÃ* è che oggi, in non molti casi chi suona jazz ne rispettano il concetto primo e l'idea che stanno alla base di questa musica anche perchè l'estetica intorno a noi cambia e tutto il sistema ci "obbliga" a produrre roba "bella e perfetta" bisogna essere inattacabili sotto il punto di vista tecnico, artistico, compositivo,interpretativo,supercazzola ecc..L'obbiettivo è fare i professionisti a 360° però manca tanta musica..Nel momento in cui si fanno dei soli che sono dei copiaincolla di frasi di artisti del passato, il brano suonato non è altro che "musica classica" suonata magari senza lo spartito davanti. Due giorni fa mi stavo ascoltando un live al Five Spot del 68 con Barry Harris, C.Mcpherson e company..beh sono lì che arrancano in certi punti, "cercano" gli accordi, rischiano di brutto, si sente proprio che stanno cercando! Però quanta musica!! ti si drizzano i peli!!..Beh una cosa del genere oggi non sarebbe pubblicata :muro(((( PJM

zkalima
15th September 2010, 00:57
Quoto al 1000%

http://www.youtube.com/watch?v=q7fusMP47-o&feature=related

tzadik
15th September 2010, 01:10
OT: il jazz è una musica che non ha bisbevogno di essere suonata "a click"... il "click" serve più che altro per una questione di editing...
Per non avere bisogna del click, bisogna sapere suonare a tempo...

Senza il click, l'editing si fa lo stesso, si perde più tempo ma si fa lo stesso... :zizizi))

Gli studi e le tecniche di registrazione sono cambiati: una volta il jazz lo si registrava in una singola stanza dove c'era un contatto fisico... ora gli studi sembrano sale operatorie e il contatto fisico non c'è c'è solo il contatto visivo di telecamere e monitor. È chiaro che un certo tipo di feeling diventa molto difficile da ricreare... ed è che oggi come oggi, chi ha esperienza in studio anche a livello psicologico, "vince"... :zizizi))
Tutti vorrebbero registrare in uno studio come l'Abbey Road, ma chi hai soldi per farlo? Hancock? Shorter? Jarrett??? :mha!(

zkalima
15th September 2010, 01:28
Abbey road??? vuoi dire Englewood cliff!!!!!!!!!! :saxxxx)))

PJM
15th September 2010, 02:06
Quoto..quando parlo di click è il concetto di pensiero che c'è dietro..chiaro che il jazz non ha bisogno del click però se un jazzista che vuole incidere un disco di jazz, entra in studio con la mentalitÃ* di quando va (sempre in studio) a registrare musiche per colonne sonore, dischi pop ecc allora non va bene..vale la stessa cosa per il contrario..quel che voglio dire è che ci deve essere una differenza nell'approccio! Quel che intendo è che per quanto gli studi sembrino sale operatorie, o sedi distaccate nella NASA per fare jazz serve musica,non serve niente di più di quello che serviva nel 1940,50ecc,serve te stesso e stop..Per la produzione Pop di oggi invece si che può avere senso tutto l'armentario di mac e protools..il jazz è un MODO, è un "dialetto", è una cosa ben precisa, è creare un "campo emotivo" di 100000volt..
La sfida e il "dovere" di chi fa musica in generale ma nel jazz in modo particolare è fare un disco o un concerto dove le persone che ti ascoltano arrivino a casa con un'emozione addosso, con un qualcosa insomma..Poi si dice che il jazz è di nicchia ed è "morto"..se caso mai il jazz è sempre più di nicchia è perchè chi va ad ascoltare un concerto (e parlo anche di un neofita) non gli arriva una cippa e si annoia..
Se a mia nonna gli faccio sentire Parker, C.Baker, Trane, Rollins,Mcpherson,Pepper,Jamal ecc pur non capendo niente sente che "succede qualcosa" e li seduta alla fine ci rimane! Siamo sommersi ora di video internet con ottimi studenti, professionisti, virtuosi di tutto il mondo che fanno ascoltare il solo di Donna lee, Giant steps ecc, nei locali o teatri spesso idem, dove alla fine di tutto non succede però niente. Ed ecco che mia nonna :lol: si alza dalla sedia prima della fine..Abbiamo una grande responsabilitÃ*, è difficile uscire da certi tunnel ma almeno ci si può provare. ;)

zkalima
15th September 2010, 02:22
Se tu fossi una donna mi innamorerei di te.

lucaB
15th September 2010, 09:55
meno che c'è phil che mi difende!

seethorne
22nd October 2010, 12:47
punti di vista.
io non sopporto i jazzisti che suono 1000 note al secondo e non ci trovo nulla di coinvolgente, ma alcuni di voi lo guarderanno con le lacrime agli occhi...

tzadik
22nd October 2010, 13:39
Dipende se quelle 1000 note al secondo hanno una logica che l'ascoltatore riesce a cogliere...
Non tutti i jazzisti sono in grado di fare 1000 note al secondo e non tutti gli ascoltatori sono in grado di cogliere la logica dietro così tante note al secondo... :zizizi))

alerar
22nd October 2010, 13:44
Sono due linguaggi e forse anche due mestieri diversi...
Il musicista classico ha l'obbiettivo di trasmettere il messaggio musicale del compositore mediandolo attraverso la sua interpretazione che consiste nella ricerca assidua dei più piccoli dettagli: ogni attacco, ogni dinamica, ogni accento,ogni variazione di tempo, l'intonazione e il timbro di ogni nota hanno un significato particolare e fondamentale che fa la differenza tra un buon esecutore e un artista riconosciuto.
Anche per il jazzista il valore più importante è quello della ricerca ma rispetto al musicista classico questa si esplica attraverso un linguaggio meno formale (che si formalizza sempre di più man mano che viene sempre più insegnato piuttosto che tramandato) e con l'utilizzo dell'improvvisazione. I jazzisti rappresentano la figura di compositore-esecutore (che prima del novecento era comune nella musica classica e che poi è andata perdendosi) e quindi portano avanti una ricerca musicale personale in cui il linguaggio condiviso viene assimilato e personalizzato di pari passo con la costruzione di un'identità musicale.

Premesso ciò che si è già detto sul personaggio di Miles rimane ovvio che un musicista classico che non sa interpretare (perchè non conosce) il linguaggio jazz si troverà in difficoltà in una situazione del genere. Così come un jazzista, anche se ha un'elasticità maggiore, sarebbe inadeguato (se non ne conosce il linguaggio) nel suonare una tarantella, della musica pop, di Haydn o di Berio.

MyLadySax
22nd October 2010, 17:08
Duke Ellington diceva che esistono solo due tipi di musica: buona e cattiva.
Così, esistono musicisti buoni e cattivi: musicisti classici buoni e cattivi, jazzisti buoni e cattivi e chi più ne ha più ne metta.
I giudizi dei musicisti sulla musica degli altri musicisti e a volte anche della propria raramente valgono qualcosa. Ognuno ha la propria particolare visione e spesso le posizioni sono estreme.

zkalima
23rd October 2010, 00:10
Siamo nel mare delle approssimazioni, quello che ha detto Davis dei musicisti classici si può tranquillamente dire di moltissimi musicisti jazz, solo che per un esecutore classico non è un errore essere perfetto nell'esecuzione, per un jazzista esser chiuso nell'esecuzione di arpeggi e pattern atutte le velocità e tonalità è un limite inaccettabile.
Chi ha più libertà ha anche molta più responsabilità, un musicista classico è un esecutore, un jazzista dovrebbe essere un autore.

David Brutti
23rd October 2010, 10:22
Chiarimento: nella classica si è SEMPRE improvvisato talchè moltissime forme che sono poi state codificate nascevano come improvvisazioni libere "tout court" (preludio, toccata, improvviso etc...) oppure su un basso dato (ciaccona, passacaglia etc...), che non è altro che un giro armonico, ESATTAMENTE come nel Jazz.

E' in questi ultimi 100 anni che si è completamente persa questa prassi favorendo il musicista-macchina-lettore-di-note del quale nemmeno io ho molta stima. Solo nell'organo è rimasta l'improvvisazione come pratica "normale".
Non è detto che però non si possa fare e non è detto che non esistano grandissimi interpreti classici capaci di comporre e improvvisare...

Ctrl_alt_canc
23rd October 2010, 17:14
comincio a conciliarmi benissimo con queste vostre posizioni! (david e zkalima)

David Brutti
23rd October 2010, 17:46
Altra provocazione: quanti sono i Jazzisti che "compongono" musica sul momento, prendendosi tra l'altro enormi responsabilità in modo eclettico e originale e quanti sono quelli che invece (ri-)propongono successioni di patterns e schemi "pre-impostati" (magari con enorme padronanza tecnica) quasi sempre identici oltreché battuti milioni di volte da altri musicisti?

Inutile dire che i miei preferiti sono quelli che rientrano nella prima categoria e sono pochissimi rispetto ai cosiddetti "masturbatori" (per dirla con le parole di "The Commitments", che invece abbondano nella seconda. Ci sono secondo voi grandi differenze inoltre tra la seconda categoria e un musicista "classico" che legge una partitura in modo asettico senza comprendere i fraseggi e cosa voleva comunicare il compositore e preoccupandosi soltanto di snocciolare note su note (purché siano quelle scritte)?

lugapsax
24th October 2010, 13:01
io quoto in pieno il giudizio di david. La musica è sempre stata in evoluzione, e nella classica l'improvvisazione era all'ordine del giorno. il discorso su musica buona e cattiva è un'altra cosa, ed è molto soggettivo, anche per un genio come Miles, che, ad esempio, nella sua grandissima lungimiranza e genialità, disprezzava e ripudiava il bebop tradizionale di un altro genio come Parker, nonostante le sue radici musicali e artistiche NASCONO da esso. un altro esempio: le variazioni goldberg, che si potrebbero considerare la "summa" del repertorio pianistico (almeno per me), sono nate dall'improvvisazione su di un tema, riproposto in tutte le sue possibilità. provate a immaginare, bach con le variazioni ha improvvisato quasi tre ore di musica, sempre nuova. altro parallelo, molto più calzante, sono i capricci di paganini. in pochi sanno che i capricci di paganini scritti sono quasi sempre postumi alla prima esecuzione. paganini improvvisava, assolutamente. si nota anche nel 24° capriccio. la classica e il jazz sono mondi estremamente contingenti, ma il fatto che guardino in direzioni diverse non significa che non marcino insieme!
altro esempio, più personale. io per studiare le scale uso il metodo di bergonzi...e sono un saxofonista "classico". eppure bergonzi (jazzista) ha eviscerato combinazioni e pattern tecnici che ritrovo in musica come Berio, Milhaud, Glazounov, Denisov...e sì, anche nelle trascrizioni di Bach. La musica non è mai una strada unica, tutto è già stato inventato e tutto è in comunicazione! ::saggio::

zkalima
24th October 2010, 21:40
Questo significa che nella musica classica è successo cento anni fa quello che è successo nel jazz trenta anni fa, un congelamento creativo, per fortuna che, anche se poche, ci sono eccezioni in entrambi i casi.

seethorne
29th October 2010, 11:16
Dipende se quelle 1000 note al secondo hanno una logica che l'ascoltatore riesce a cogliere...
Non tutti i jazzisti sono in grado di fare 1000 note al secondo e non tutti gli ascoltatori sono in grado di cogliere la logica dietro così tante note al secondo... :zizizi))


verissimo; ma all'ascoltatore possono non piacere le 1000 note secondo senza che per forza debba essere considerato un mentecatto.

MyLadySax
3rd November 2010, 00:40
Attenzione, però, a non mischiare troppo le carte in tavola, altrimenti sembra che la musica classica fino a cento anni fa era come il jazz, mentre non è affatto così.
L'improvvisazione era una pratica diffusa e importante, ma subordinata alla scrittura.
Vero è che le cadenze conclusive dei concerti erano per lo più improvvisate dallo strumento solista, ma appunto solo le cadenze, perché il resto era rigorosamente scritto (benché qualche virtuoso di tanto in tanto aggiungeva qualche personale abbellimento); vero è che a volte i musicisti ingaggiavano gare di improvvisazione, ma si trattava di una pratica confinata nell'ambito del divertimento e, in definitiva, il musicista era valutato molto più per come componeva che per come improvvisava; vero è che in alcuni musicisti, come J. S. Bach o Paganini, la propensione a improvvisare era più spiccata, ma proprio per questo tali musicisti oggi si sarebbero dedicati al jazz, che resta l'unica musica occidentale in cui l'improvvisazione ha avuto un'importanza assolutamente centrale e pieno sviluppo.
Il jazz è una musica con una tradizione in parte scritta e in parte orale, perché vi convivono l'Europa e l'Africa: con tutte le conseguenze che ne scaturiscono e tutte le implicite differenze rispetto alla classica.
Nè meglio né peggio: solo differenze. Oltre che contingenze e affinità.
Naturlamente, il fatto che nella classica l'arte dell'improvvisazione si sia inaridita fino a scomparire è, a mio avviso, comunque un segno di mancanza di vitalità, ma sarebbe ingiusto giudicare i musicisti classici tutti come meri esecutori, perché ci sono anche grandi interpreti, che valgono molto più di tanti jazzisti che improvvisano mettendo insieme centinaia di patterns.

David Brutti
3rd November 2010, 09:23
MI dispiace dover rettificare ma praticamente dal medioevo alla prima (e speso anche alla seconda) metà dell'ottocento l'improvvisazione in musica è pratica diffusa ampiamente, tocca musicisti di varia natura (e non soltanto pochi "eletti") e non è relegata soltanto a aspetti ludici e di divertimento.
Come già detto, nella messa (la cosa meno ludica di questo mondo), ampi spazi sono DA SEMPRE affidati all'organo che improvvisava sia preludi, interludi, toccate e postludi sia armonizzazioni dei canti gregoriani.
Nel rinascimento esiste una trattatistica esaustiva (cito ad esempio il Fontegara del Ganassi) dove vengono codificate le regole della "diminuzione" ovverosia una complessa arte di abbellire linee melodiche che portava spesso e nelle forme più complesse a scomposizioni ritmiche lontanissime dalla linea melodica d'origine.
Non parliamo del primo barocco, nel quale esistevano diversi giri di basso (Ciaccona, Follia, Passacaglia etc...) sui quali virtuosi di ogni genere si esibivano in improvvisazioni estemporanee: tutti i musicisti professionisti del periodo dovevano essere in grado di improvvisare sui suddetti bassi. Tali forme verranno poi codificate e sfoceranno in brani di grande complessità di scrittura, ma la base e l'origine di tali forme è e resta sempre l'improvvisazione.
Sempre nel barocco, il sostegno armonico d'accompagnamento (il cosiddetto basso continuo) è codificato con delle sigle e va improvvisato sul momento (un pò come i background di un pianista in un quartetto jazz, ovviamente con maggiore rigidità e rispetto di regole codificate).
Nell'ottocento, periodo in cui si assiste alla "nascita" del compositore come entità suprema e indiscutibile, che porterà alla fine della pratica improvvisatrice nella musica "colta", era ancora comune (anche tra gli strumentisti a fiato...) improvvisare variazioni su celebri temi d'opera o melodie popolari. L'improvvisazione estemporanea inoltre era pratica diffusa e comune soprattutto tra i pianisti di "salon". Questi sono soltanto alcuni esempi ma ce ne sono altrettanti se si vuole approfondire, ma non mi sembra il caso.

Poi si può discutere delle enormi differenze tra Jazz e "classica" che in ogni caso ci sono ma a mio parere riguardano maggiormente la concezione ritmica (cosa nella quale il Jazz è stato davvero rivoluzionario). L'improvvisazione in ogni caso ha sempre avuto un ruolo importante e non era semplicemente relegato a momenti di svago.

Si, spesso l'improvvisazione portava a una formalizzazione scritta ma ricordo che la scrittura nella musica del passato aveva SEMPRE una funzione "mnemonica" (richiamare alla mente ciò che si era suonato) e non sempre esatta.

MyLadySax
4th November 2010, 11:28
Solo per chiarire.
Quando cito J. S. Bach e Paganini, non li considero "eletti", ma solo musicisti con una propensione maggiore all'improvvisazione (Paganini non si ripeteva perché un improvvisazione non si può ripetere). So bene che l'improvvisazione era diffusa e non riguardava solo pochi musicisti.
So anche che non era relegata solo ad aspetti ludici e di divertimento, ma nel jazz l'improvvisazione ha sempre avuto un ruolo così centrale che di aspetti ludici o di divertimento non si può neppure parlare.
Non ho mai negato l'importanza dell'improvvisazione nella classica fino ad un certo momento della sua storia (il basso continuo organistico l'ho pure studiato), però non credo si possa mettere in dubbio il fatto che proprio nella classica è sempre stata più importante la scrittura. Anche se in origine, nel canto gregoriano, e in altri contesti pure in seguito, la scrittura aveva scopo mnemonico, inevitabilmente essa finiva col cristallizzare la musica in una partitura. In fondo, è per questo che nella società della scrittura, in Occidente nata al tempo di Platone e oggi minacciata dalla sovrapposizione della società delle immagini, si scrivono i libri.
D'altronde, che certe forme improvvisate erano destinate ad essere codificate in brani scritti, mi sbaglierò, ma mi sembra una prova della subordinazione dell'improvvisazione alla scrittura (peraltro, questo procedimento è proprio anche di tanto jazz classico, con la differenza che il solo non veniva scritto, bensì imparato a memoria esecuzione dopo esecuzione).
Le differenze di procedimento di produzione della musica tra jazz e classica hanno le loro radici nella tradizione orale, di provenienza africana, che nel jazz è stata essenziale, anche solo come trasmissione delle regole, nella classica no (o non altrettanto e con una provenienza eventualmente diversa).
Naturalmente, non va neppure commesso l'errore di trascurare l'importanza della scrittura nel jazz, altrimenti di Ellington che dovremmo dire?
Il topic è andato evidentemente fuori tema.
Peraltro, il discorso è molto più complesso, perché personalmente penso che l'improvvisazione sia di fatto un elemento centrale nel jazz, ma non essenziale come la concezione ritmica, quella in effetti rivoluzionaria in sé. Una composizione pressocché integralmente scritta come "Diminuendo and Crescendo in Blue" di Ellington è jazz perché ne rispetta il linguaggio ritmico e timbrico.
L'unico criterio valido di giudizio per valutare la musica è, comunque, il risultato finale, non importa se si tratta di un improvvisazione o di altro, importa se ha significato in sé.
Non so se David ama improvvisare, ma quel che conosco della sua musica è superlativo! E' un onore per me confrontarmi con lui. Infatti, lui rettifica e io mi limito a chiarire il mio pensiero.

David Brutti
4th November 2010, 12:20
Personalmente amo moltissimo improvvisare anche se mi confronto più con l'area dell'improvvisazione d'avanguardia.
Inoltre, nella contemporaneità, se si vuole avere un connubio con l'elettronica (anche colta) occorre come dire possedere le "orecchie aperte" in quanto bisogna reagire in tempo reale agli impulsi che derivano da macchine che tra l'altro spesso trattano il suono in tempo reale con risultati ogni volta diversi. Ecco quindi che il discorso dell'improvvisazione torna
Il Jazz nudo e crudo lo studio e (soprattutto) ascolto con attenzione e rispetto ma mai mi sognerei di esibirmi suonando in questo stile (sempre per un fattore di rispetto verso chi lo pratica con dedizione e serietà).

Concordo che da un certo punto in avanti (dal '700 in poi) l'improvvisazione sia stata per così dire "cristallizzata" favorendo la concezione del compositore-creatore che vedremo esibita in tutta la sua maturità con Beethoven a discapito del compositore-improvvisatore (Frescobaldi, Kapsberger, Marais, e così via...).
Hai espresso molto bene il concetto!

lucaB
4th November 2010, 12:53
non penso sia sia usciti dal tema del topic. La provocazione di Miles serviva anche per arrivare a questo. Molto interessanti gli ultimi interventi :half:

MyLadySax
4th November 2010, 17:03
Che dal '700 in poi l'improvvisazione sia andata cristallizzandosi, favorendo la concezione del compositore-creatore che toccherà il suo apice nel periodo classico, era inevitabile in una società che ruota intorno alla scrittura dal IV secolo a.C. (e, pur richiamandomi a quanto già espresso, ciò dico senza nulla togliere all'importanza dell'improvvisazione fino al Rinascimento e al primo Barocco).
Il jazz è anche il prodotto dell'incontro dell'oralità propria delle società dell'Nord Africa subsahariano, da cui fu deportata la stragrande maggioranza degli schiavi negli Stati Uniti del Sud, con la società americana della scrittura (di origine europea).
Ed è proprio la componente orale del jazz ad impedirne la cristallizzazione nella scrittura.
Anche se, naturalmente, non ha potuto impedirne, anzi ha favorito, la cristallizzazione in formule.

MyLadySax
4th November 2010, 17:04
Grazie, LucaB.

zkalima
5th November 2010, 00:37
volendo sintetizzare; il jazz nasce dall'incontro del blues con l'american songbook, (cioè dall'incontro di musicisti africani con musicisti ebrei o italiani), cioè dei modi tramandati per ascolto con la musica scritta.
C'è da dire che l'approccio iniziale è ancora essenzialmente di tradizione orale, ma procedendo, con la maturazione delle conoscenze armoniche e con le bande di dimensioni sempre maggiori, verso l'uso di partiture e schemi prefissati.

Una grandissima interprete, che invero rifiutava l'etichetta di "jazz singer", ma che ha certamente mantenuto il legame con la terra d'origine e la sua concezione magica della musica; Nina Simone, iniziò la sua carriera in locali dove suonava le canzoni classiche o del momento tutte completamente a memoria, apportando le variazioni che sentiva opportune di volta in volta, pur avendo avuto una preparazione classica rigorosa.
Consiglio caldamente a tutti la sua biografia; "Nina Simone, Una vita" di David Brun-Lambert, UE, la testimonianza drammatica di una delle più grandi musiciste afroamericane del secolo scorso, cioè di sempre :half: .

Due cose in fondo hanno portato il jazz verso una sempre maggiore formalizzazione, se non in partiture, in schemi e patterns; l'industria discografica che costringeva a moduli tipici come tema - improvvisazione - tema, e le grandi orchestre dell'era swing che per la complessità degli arrangiamenti, (ma anche per eseguire ogni volta il brano come si sentiva nei dischi) richiedevano partiture dettagliate anche negli accenti e nelle modulazioni.
Oggi sembra che il legame ancestrale con il suono che nasce dall'occasione, si sia sciolto per lasciare il posto a tecniche raffinatissime, (ormai gli insegnanti delle grandi scuole insegnano a imparare a memoria temi e improvvisazioni, a liberarsi sempre più dallo scritto, ma per mezzo di una sistematicità e di una grammatica estremamente rigide che nulla hanno a che fare con la vitalità delle origini, almeno a sentire dai risultati.
Acusticamente si potrebbe dire che si è passati dall'analogico al digitale, cioè dalla trasmissione alla simulazione.
Naturalmente si deve dire che ci furono musicisti diplomati fra i primi jazzmen e che ancora c'è chi non si lascia ingabbiare dalla classificazione che sta subendo il jazz oggi.