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Visualizza Versione Completa : Sonny Rollins: vera e giusta gloria?... (con intervista)



Alessio Beatrice
14th November 2009, 15:41
Premetto che questa vuole essere una provocazione per capire e discuterne insieme.

Ho letto qualche giorno fa (non ricordo dove, se qualcuno se lo ha letto a sua volta lo scriva!) una critica piuttosto negativa su Sonny Rollins che mi ha fatto un po' riflettere. Diceva, spero di riassumere in maniera corretta il concetto, che Sonny è si uno dei più influenti sax degli ultimi 50 anni e nessuno lo discute, però che comunque non ha mai "rischiato molto" con la propria musica.
Durante il bebop era troppo giovane, poi durante il free e il jazz-rock non ha avuto un ruolo molto importante ma anzi ha tirato fuori solo timidi album.
Io credo che si possa intendere invece che Sonny ha sempre intrapreso un proprio percorso sfoderando autentici capolavori come, citando i primi che mi vengono in mente, Way out West, Saxophone Colossus e Tenor Madness...

pumatheman
14th November 2009, 15:57
non sono fan del grande rollins ma ovviamente lo stimo moltissimo.
Non l'ho ascoltato tanto proprio perchè non mi incuriosisce e forse proprio perchè (a mio modesto parere di ignorante) non rischia molto specialemente ne i lavori successivi a quelli di cui parli te alessio. Sicuramente è questione di gusti nell'approccio alla musica, io sicuramente tendo ad essere attratto molto da chi cerca qualcosa in più rispetti agli schemi usuali e quindi da chi rischia di più nella propria musica.
Nulla toglie al grande sonny, c'è da imparare più da una sua nota che da mille libri.

Alessio Beatrice
14th November 2009, 16:29
Inserisco anche una nuova 'intervista che è sul sito de "L'unitÃ*"

È sopravvissuto a tutti i suoi grandi colleghi e oggi rimane l’ultimo gigante vivente dell’hard bop. Sonny Rollins, il colosso del sax, oggi ha settantanove anni e un solo desiderio: far capire alla gente che il jazz è vivo, che è necessario buttare al macero tutti quei «libri pieni di foto di musicisti morti». Coltrane, Miles Davis, Art Blakey, Thelonious Monk,Max Roach. Su ognuno di loro Rollins (che stasera suona al Roma Jazz Festival) haun ricordo, un’istantanea che va a costruire il mosaico della storia del jazz eppure ha voglia di andare oltre. Oltre i suoi cinquanta e più dischi (sette dei quali usciti tutti nel 1957, anno d’oro), oltre l’enorme influenza che ha esercitato su schiere di musicisti (compresi John Zorn, Pat Metheny, Joe Lovano ma Lou Reed o gli Stones, con cui ha anche suonato), oltre il lutto che lo ha colpito pochi anni fa,quando la sua adoratamoglie lo ha lasciato solo.

Signor Rollins, ha ancora qualcosa da imparare del jazz?
«Credo di avere da imparare di jazz e della musica in generale. La musica è qualcosa di cui non sai mai tutto, ecco perché è uno dei doni più affascinanti che abbiamo ricevuto da Dio».

Crede di aver da imparare più dal jazz o dalla vita?
«Beh, credo che le due cose vadano assieme. Una volta chiesero al grande Charlie Parker "che cosa suonerai stasera?", e lui rispose: "beh, suonerò tutto quello che mi succederÃ* durante la giornata di oggi". Il jazz è la tua vita, le tue esperienze».

Una volta ha detto che il jazz trascende la vita delle persone, che è eterno, universale. È anche qualcosa che le serve per elevare il proprio livello spirituale?
«Beh, non amo quando parlo di me usare termini come "livello spirituale", perché possono essere fraintesi, può risultare che mi considero un un saggio o cose del genere. Insomma non salgo sul palco e dico: hey ragazzi, sono SonnyRollins e la mia è musica spirituale.Èil mio pubblico ad usare termini del genere».

Lei viene da una famiglia di attivisti. Sua nonna, di St. Thomas (Haiti), faceva parte del gruppo di Marcus Garvey (l'attivista afroamericano che mise le basi per la nascita dei Black Panthers). Come ha accolto l'elezione del primo presidente afroamericano?
«È una domanda molto interessante. Da ragazzino mio nonna mi portava alle marce per la libertÃ* dei neri e per i diritti di ognuno. La questione della "razza" ha accompagnato tutta la mia vita tanto è vero che ho inciso diversi dischi a tal proposito, come Freedom suite negli anni Sessanta. Ora, quando dici come mi sento ad avere un presidente afroamericano... beh penso che simbolicamente ciò sia un'ottima cosa. E penso anche che questo simbolo, in giro per il mondo tra la gente oppressa e ancora schiava, possa essere un segnale importante. Ma se debbo dare un giudizio più approfondito, dal mio punto di vista, quello diunuomoben più vecchio di Obama, che la politica l'ha praticata per molti anni, ecco devo dire che io mi posiziono ben più a sinistra di lui. Obama non è abbastanza radicale per me. Diciamoci la veritÃ*: la sua politica è conservatrice. Dunque sono contento di avere un presidente afroamericano, ma non mi esalto».

Mai sentito la responsabilitÃ* di essere uno degli ultimi grandi del jazz?
«In passato, ma oggi è diverso. Prima sentivo che era mio dovere rappresentare tutti i miei fratelli che non sono più qui. Monk, Miles, Coltrane, Charlie Parker. Ora è diverso: non si tratta di rappresentare gli altri ma di comunicare una forma di jazz alla quale la gente riesca a relazionarsi in maniera più intima. La gente vuole il jazz ma non gli viene offerto, non hanno la possibilitÃ* di viverlo, sono schiavi di una sottocultura che li tiene a distanza. In passato abbiamo avuto Louis Armostrong che è riuscito a portarlo alla massima popolaritÃ*, ma poi poco altro. Questa è la mia ambizione. Vorrei far sentire alla gente che il jazz è vivo, che non va solo letto nei libri pieni di foto di gente morta, no. Il jazz è vita, è pieno di vita e che ogni giorno è una musica diversa ».

C’è un musicista col quale non è riuscito a suonare a di cui si rammarica?
«Il primo che mi viene in mente è il grande Fats Waller che sentii da bambino quando ancora ero in culla e poi più tardi sulla radio. Lui fu la prima persona che mi fece apprezzare il jazz, riusciva a comunicarmi una gioia incredibile. Mi sarebbe piaciuto suonare con Duke Ellington e anche con Count Basie, che conoscevo bene e sapevo che apprezzava molto la mia musica. Sai... sfortunatamente non ho suonato con tutti quelli con cui avrei voluto, ma va bene così. È stato un onore farlo con tutti gli altri».

Al tempo c'erano queste due scuole di sax opposte: la sua e quella di Coltrane. Lei ha imparato qualcosa da Coltrane? «Assolutamente sì. All’epoca in cui suonavamo entrambi era impossibile che io apprendessi qualcosa da lui perché erano i miei stessi fan che non volevano, che tenevano al mio stile particolare. Mi volevano diverso, capisci? Ma quando lo spirito del mio amico Coltrane ha lasciato il pianeta, allora sì, ho potuto avvicinarmi a lui, assorbire la sua musica. Ma non solo. La mia storia è quella di uno molto felice e fortunato di aver imparato dagli altri mote cose. Ho imparato da Coltrane e prima di lui da Fats Waller, da Lester Young, Coleman Hawkins, Louis Jordal, dal rhythm and blues».

La storia del jazz è piena di talenti morti troppo giovani, da Coltrane a Dolphy. Chi avrebbe cambiato veramente la storia del jazz se fosse ancora vivo?
«Hai citato Coltrane ed Eric Dolphy e senza dubbio entrambi, visto che la loro missione è stata sempre quella di sperimentare, sarebbero andati avanti, cambiando la storia.È difficile dirlo perché ogni generazione ha idee differenti. Per non parlare poi di Miles. Miles era una persona capace di tirar fuori di continuo nuove idee. Se fosse vivo chi può dire cosa farebbe oggi? Miles era creativo all'ennesima potenza, un genio».

È vero che disse di no al quintetto di Miles Davis, posto che poi fu preso da Coltrane?
«Oh, quella è una storia che è stata ingigantita dalla stampa. Ero in un’altra cittÃ* e Miles stava per cominciare a fare delle cose con un nuovo gruppo. Miles era da tempo che diceva di apprezzare la mia musica e di voler suonare con me. Ma per varie ragioni non riuscii a tornare in tempo a New York e quindi persi l’appuntamento, rimanendo a Chicago».

Che vita fa oggi quando non è in tour?
«Vivo fuori New York, in campagna, una vita molto tranquilla. Sa, sono vedovo da qualche anno e vivo solo nella stessa casa dove ero con mia moglie. Tutto quello di cui ho bisogno è di un posto dove poter provare col mio sax e dove stare al caldo durante l'inverno».

Isaak76
14th November 2009, 21:12
Dal mio punto di vista ognuno fa quel che si sente di fare ... perchè dovrebbe intraprendere una strada solo perchè qualcuno gli e l'ha indicata? ... giusto o sbagliato che sia, è lui che dovrÃ* avere il coraggio di esporsi al pubblico con le proprie idee.
Lo stesso Rollins ha ammesso che era rimasto colpito dallo stile di Coltrane, ma per via dei Fans non ha potuto esplorare nuovi mondi .. o per lo meno in quel periodo non di fronte a loro, per cui questa è stata una inibizione forzata alla propria crescita, ma non per questo significa che uno per piacere alla gente debba "rischiare" .. che cosa poi! ... si ritorna sempre al solito discorso dell' "Oggettivo"... il significato di Grandezza non è direttamente collegabile al Rischio.

Sax O' Phone
15th November 2009, 00:59
Lo confesso: per anni Rollins non l'ho mai ascoltato! Pure vero che quasi tutto il BeBop e completamente lo Hard Bop mi erano sembrati allora come sotto-generi musicali del tutto superati e trascurabili, nella mia beata ignoranza: i veri eroi del Jazz erano stati gli iniziatori del genere a New Orleans, e le Avanguardie degli anni '60; in mezzo c'era solo il piacere dello Swing! Ora ammetto la mia ignoranza, ed ascolto molto di più tutto il Bop, Hard e Be ;) e son diventati il mio genere preferito.
Rollins per me rimane un caso particolare: tenete presente che da ragazzino era giÃ* un professionista, ed era pure considerato naturalmente una specie di boss del quartiere dai suoi coetanei, a NYC. Conosceva giÃ* un'infinitÃ* di vecchie canzoni Americane, prevalentemente da Broadway, dei grandi autori del passato (Gershwin, Porter, etc.) e tutt'ora viene considerato come un'enciclopedia vivente degli Standards.
Quando Coltrane arrivò a NYC era un pischello di provincia, ed ovviamente si confrontò con questo saxofonista che pur essendo di 4 anni più giovane di lui era giÃ* affermato e conosciuto: è risaputo come all'inizio nelle jam sessions Coltrane aveva grandi difficoltÃ* a suonare insieme a lui; quando ciò avveniva il Trane spariva per dei mesi per tornare da trionfatore, grazie allo studio intensivo ed alla sua tenacia. In realtÃ* dopo Lester Young e Coleman Hawkins, ovvero la loro rivalitÃ* stilistica e stilizzata seguita e voluta dai fans, misero anche Rollins e Coltrane come i due tenori di riferimento e contrapposti. Per entrambi questa rivalitÃ* era insignificante: spesso si telefonavano facendo ascoltare all'altro qualcosa su cui stavano lavorando con il sax; è indubbio che Coltrane fosse molto più indifferente alle influenze del pubblico, mentre forse Rollins allora era più condiscendente, ma per entrambi la cosa importante rimaneva la Musica! Secondo me Rollins ha dato il meglio di sé nel periodo Hard Bop: oltre a quelli citati da Alessio citerei le registrazioni con Max Roach +6; bisogna però prendere atto che mentre lui suonava a quel modo le Avanguardie si stavano muovendo a tutta velocitÃ*: Coltrane registrava Crescent, My Favorite Things o Ascension...
Altrettanto vero che i due stili musicali son ben differenti: trovo che Rollins sia molto più legato alle sue origini Caraibiche, al ritmo danzante della musica e quindi una musica più facilmente condivisibile collettivamente; Coltrane ha espresso molti tipi di musica differenti nella sua pur breve (ahinoi) carriera, tutti improntati ad una sua visione molto personale di questa: per apprezzarla dev'essere l'ascoltatore a muoversi verso l'artista. Entrambi hanno uno stile inconfondibile.

juggler
15th November 2009, 02:56
Rollins è un condensato della storia del jazz: qualunque sua nota "puzza" di jazz e possiede quelle caratteristiche della "jazzitÃ*", che oggi sono postulate in senso accademico...
Non credo che il criterio di valutazione di un artista vada riferito alla sua capacitÃ* di trasformarsi in continuazione, quanto alla coerenza con cui riesce a "inserire nuovi stimoli" all'interno del proprio stile, rendendolo inconfondibile e allo stesso modo riconoscibile.
Rollins non è solo un condensato della storia del jazz a lui precedente, ma anche e allo stesso tempo un musicista popolare e colto...uno fra i primi, a rompere con gli schemi dell'alta e bassa cultura musicale...nei suoi soli, ci sono concatenazioni di libere associazioni musicali, che vanno dalla tradizione sinfonica europea, alla musica per banda, alla canzone popolare americana, alla tradizione caraibica...
Umanamente e professionalmente, ineccepibile: quando Coltrane pubblicò "Giant Steps", Sonny appese il sax al muro per qualche anno, riconoscendo la superioritÃ* in quel momento dell'amico-rivale...
Un timing perfetto, l'eloquio melodico di stile rapsodico, un naturale senso dell'humour e forte carica comunicativa (quest'ultima, in veritÃ*, accentuata dopo che era uscito dal tunnel della tossicodipendenza) sono le sue caratteristiche distintive...può, forse, un artista magari "leggermente gigionesco ed estroverso" essere considerato inferiore a chi magari per carattere e temperamento, ha un atteggiamento "scuro e introverso"?
Rollins è un grande improvvisatore: il suo procedere per "cellule melodiche", che si trasformano in motivi e in periodi via via piu' complessi, sono una grande scuola della "logica improvvisativa" quanto della forma musicale.

[youtube:19nqxfwr]http://it.youtube.com/watch?v=Z7g-YkEX2zQ[/youtube:19nqxfwr]
[youtube:19nqxfwr]http://it.youtube.com/watch?v=_lDoEAruPuQ[/youtube:19nqxfwr]

Sax O' Phone
15th November 2009, 15:02
Grande juggler! Hai centrato perfettamente l'argomento! Condivido tutto...

Sax O' Phone
15th November 2009, 16:34
... debba "rischiare" .. che cosa poi! ...

Scusa Emiliano, ma stiamo parlando di persone che campano suonando uno strumento: rischiano di perdere il loro lavoro, di non trovare più contratti, di essere alienati al pubblico... Coleman doveva fare lo sguattero per campare, Dolphy viveva da eremita in una soffitta, etc. Molti Artisti, forse come dice juggler più per carattere che per scelta, non accettavano compromessi con il loro modo di esprimersi, anche a costo di rischiare di non essere apprezzati; a qualcuno andava bene, come a Lester Young, altri dovevano aspettare di trovare il loro momento, e per altri questo non arrivò mai....

alto23
15th November 2009, 17:22
Mi hanno appena prestato un disco di Rollins del 1959: è un live registrato in Provenza. Lì suona accompagnato da basso e batteria. Per quel poco che ne so è una formazione abbastanza atipica (non c'è il piano per esempio), quindi ne concludo che qualche rischio se l'è preso anche lui in carriera. C'è anche da dire che nel '59 era ancora abbastanza giovane.
Pongo una domanda: non è che la scomparsa di Coltrane possa aver tolto a Rollins qualche stimolo?
Ve detto, in ogni caso, che Rollins, quando si "ritirò" sul ponte, fece degli studi mirati riguardo alla struttura nell'improvvisazione (anche se può sembrare un ossimoro). Quindi la ricerca musicale non gli è certo mancata...

Isaak76
16th November 2009, 14:35
@Sax O' Phone: Quello che dici è verissimo e lo condivido in pieno!
io mi rifacevo alla critica di quel personaggio e a quanto affermato da Rollins, sul fatto che in quel periodo il pubblico lo preferiva (e in un certo qual modo costringeva) a non scostarsi più di tanto dalle proprie idee ... cosa che comunque è avvenuta e nonostante tutto gli è andata bene.

MyLadySax
25th February 2011, 18:49
Condivido tutto, cari Juggler e Sax O'Phone.
Vorrei anche ricordare che Sonny Rollins, con Thelonious Monk, ha concepito in chiave moderna la pratica dell'improvvisazione tematica, elaborazione di motivi dipendenti e derivanti dalla configurazione ritmico-intervallare del tema.
Parliamo anche di uno dei pochissimi musicisti al mondo capaci di suonare il tema così com'è nel bel mezzo di un assolo senza che la tensione abbia il benché minimo cedimento, anzi ...!.
E sottolineo che tutto quanto si fa oggi è un'accademizzazione della musica che Rollins e compagni hanno inventato, per cui dare del conservatore a un Rollins è in re ipsa una contradictio in terminis, dato che oggi quasi più nessuno inventa niente.

gnoato
26th February 2011, 13:05
A me piace molto il jazz di ricerca (l'AACM di Chicago, Tim Berne, il free jazz storio e/o attuale) però ho un ricordo indimenticabile di un concerto di Sonny Rollins risalente a più di vent'anni fa. Non sarà stato un "rivoluzionario" o uno sperimentatore accanito però è un grandissimo musicista. Non mi è mai capitato, con nessun altro, di ascoltare assoli di lunghezza "spropositata" (20-25 minuti) che sapessero mantenere una fantasia creativa praticamente inalterata così a lungo. Il buon Sonny da un tema qualsiasi (anche Brazil ...) sapeva ancora inventare cose nuove dopo averci girato attorno per 20 minuti. Non l'ho mai senito fare da nessun altro. Se non è grandezza questa.

JOELAVIOLA
26th February 2011, 15:37
Ciao a tutti condivido tutto quello che è stato detto, ricordiamoci il suo suono inconfondibile e unico che se ne dica è ancora quello che conta di più anche oggi

Filippo Parisi
26th February 2011, 16:46
Ma "The Bridge" l'avete presente?

26th February 2011, 16:56
Interventi molto interessanti ed illuminanti.

Mi permetto solo di aggiungere qualcosa sul suo "suono". Direi che si è stabilizzato solo negli ultimi 20 anni, sono tanti ma in relazione alla sua carriera lo definirei come ultimo periodo. Dagli anni 50 fino alla fine degli anni 60 ha continuato ad evolversi, cambiando impostazione, set up, ecc...ed a seconda del periodo trovo, nei suoi dischi, cambiamenti notevoli.
Al contrario di Coltrane il quale già a partire dai dischi Prestige aveva trovato la sua voce.
In questo senso ho quasi l'impressione che Rollins sia addirittura più inquieto di Coltrane.
Cosa ne pensate?

JOELAVIOLA
26th February 2011, 20:40
New York nights verissimo ma è da li infatti che si capisce quanto dava importanza al suono

fcoltrane
27th February 2011, 12:45
negli anni sessanta il suono del tenore era il suo , un po come nei 40 era quello di Lester Y.
e Coleman H.
con tenor Madness Coltrane ci propone alcuni aspetti dello strumento inesplorate.
quando Rollins suona crome lui suona biscrome ecc....

per quanto riguarda il suono credo che la ricerca sia a tutti i livelli continua.

ciao fra

Tblow
27th February 2011, 14:20
Ma "The Bridge" l'avete presente?

TUTTI Interventi molto interessanti ed illuminanti.
A me è sempre piaciuto Sonny, poi è anche simpatico ;)

GeoJazz
28th February 2011, 11:43
Sì, NYN, hai ragione, anche se secondo me già dalla metà degli anni 70/inizio anni 80 si è stabilizzato in un certo senso il "suono" di Sonny Rollins, quindi un po' più di 20 anni.
Grazie comunqeu per aver rispolverato sto post.

zulusax
28th February 2011, 12:50
Sulla grandezza di Sonny Rollins, io credo non si possa discutere.
Rollins e Coltrane sono stati i due più grandi e copiati sassofonisti, dopo Coleman Hawkins e Lester Young e certamente si sono anche influenzati a vicenda, non erano rivali ma amici.
Che poi Rollins non si sia evoluto e non abbia cambiato spesso modo di suonare, non è vero, basti pensare ai molti ritiri in gioventù, quando spariva per molto tempo, per poi riapparire, con un altro modo di suonare e magari con un altro look, famoso al riguardo il taglio di capelli, tipo mohicani.
Era famoso anche il suo modo di studiare, pare otto ore al giorno di studio, così come Coltrane, il chè consentiva loro, quando facevano un concerto di suonare per tre ore, con grande intensità.
Un disco che potrei indicare significativo al riguardo, potrebbe essere "East Broadway run down" data di registrazione 1966, in compagnia della ritmica di Coltrane, Jimmy Garrison al basso ed Elvin Jones alla batteria e Freddie Hubbard alla tromba.

zulusax
4th March 2011, 23:48
Provo a postare questo video, anche se è solo audio, tratto da un famoso disco in cui Coleman Hawkins e Sonny Rollins si incontrano, qui eseguono "Lover Man", la data è il 1963.
http://www.youtube.com/watch?v=f_TG18cLvjg

MyLadySax
20th June 2012, 09:58
[img][img]Theodore Walter Sonny Rollins è:
1. Il più grande tenorsassofonista degli anni immediatamente successivi al bebop (superiore a Stan Getz, ad Hank Mobley, a Clifford Jordan e agli altri tenorsassofonisti fioriti negli anni ’50, compreso il primo John Coltrane, che ha più volte ammesso la superiorità di Rollins nel periodo “pre-Giant Steps”), nonché uno dei più grandi della storia del jazz, di fondamentale importanza per l’evoluzione tecnico-espressiva del proprio strumento.
2. Come tenorsassofonista, il principale artefice, insieme al Coltrane “pre-Giant Steps”, dell’ampliamento del codice boppistico, che sarà da lui portato alle sue estreme conseguenze, benché non superato: il codice boppistico sarà superato ad opera di Coltrane, a cominciare da “Giant Steps” del 1959, e da altri musicisti emersi negli anni ’60, come Joe Henderson; ma già negli anni ’50, sia pure solo a livello orchestrale e compositivo, il bop cominciò ad essere scardinato da Gil Evans, Charles Mingus e George Russell.
3. L’unico artefice dello sviluppo in chiave moderna dell’improvvisazione basata sulla parafrasi del tema, c.d. improvvisazione tematica, forse sul modello di Thelonious Monk, che la aveva a sua volta ereditata dal jazz tradizionale; vale la pena evidenziare, con Gunther Schuller, che, nei limiti dell’impiego, ancorché non costante, dell’improvvisazione tematica, che perfezionerà nel tempo, Rollins, se non supera, si pone comunque in antitesi, già negli anni ’50, con il modo tipicamente boppistico di improvvisare sugli accordi, costruendo l’assolo sull’elaborazione di cellule ritmico-melodiche desunte dal tema e, in buona sostanza, sul tema stesso.
4. Un musicista che, senza tradire il proprio stile, maturato già negli anni del primo hardbop, è stato comunque in grado di assimilare, almeno entro certi limiti, le innovazioni di Coltrane e in genere del jazz post anni ’50, restando in sintonia con i tempi.
5. Colui che ha introdotto e conciliato con il jazz, a cominciare da “St. Thomas”, contenuto nell’Lp Saxophone Colossus del 1956, il ritmo antillese del calypso (la madre di Rollins era originaria delle Isole Vergini).
6. Uno dei più fantasiosi, espressivi e originali, nonché dei più terragni e viscerali, improvvisatori che il jazz abbia espresso, capace di suonare un assolo di venti minuti senza che mai perda in tensione.
E insisto con Juggler che ogni sua nota puzza di jazz in senso assolutamente non accademico e oggi irriproducibile.
Scusate se è poco!