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Visualizza Versione Completa : Articolo de "La Stampa" sul nuovo album di Coleman



Alessio Beatrice
18th September 2006, 23:09
Ornette Coleman e l’universale grammatica del suono
18/9/2006
di Gianmichele Taormina

Trascorsi ben quarantacinque anni dalla pubblicazione del celebre manifesto rivoluzionario che fu “Free Jazz” (Atlantic 1961), oggi la definizione multiespresiva di “musica improvvisata” necessita di un indubbio processo di revisionismo storico.
In favore di quest’ultima (permetteteci di aggiungere senza remore).
Non tutti compresero infatti il piglio innovativo e avanguardista, la coraggiosa svolta controcorrente che Ornette Coleman volle dare alla musica nera di quegli anni, tendendo così a diversificare quei valori compositivi, quella complessa pratica dell’improvvisazione - battezzata da lui col nome di armolodia - conquistata con forza indomabile e pungente coerenza, sino a sfidare l’establishment non solo musicale, ma soprattutto sociale dell’epoca.

Grazie a ciò, dischi del calibro di “The Shape Of Jazz To Come”, “Something Else!!!”, “Change Of The Century”, “Tommorow Is The Question!” e “This Is Our Music”, ci aiutano a rinominare il free jazz guardando ad esso come all’attuale mainstream odierno.

Lo dimostra con sferzante verve, in piena sintonia con il passato ma aggiornato costantemente sul futuribile suono della contemporaneit*, il nuovo disco di Coleman intitolato “Sound Grammar”.

Registrato dal vivo il 14 ottobre dello scorso anno a Ludwigshafen, in Germania, il lavoro presenta ben sei composizioni inedite, siglando un significativo processo di continuit* con gli ultimi tre lavori a nome del sassofonista texano che risalgono oramai a ben dieci anni or sono.

Inutile sottolineare la spigliata incisivit* del quartetto di Coleman - attivo da circa tre anni - che vede, oltre alla consueta presenza del figlio Denardo alla batteria, di due contrabbassisti, tra di loro complementari, che rispondono ai nomi di Gregory Cohen e Tony Falanga.

L’apertura di Jordan è una vera doccia fredda al logorato suono di certa monotonia acustica, priva d’inventiva e portatrice di sonnolenza e di logorroico disagio creativo. Per il leader dal sassofono di plastica il tempo non sembra essere passato. Coleman s’inerpica leggiadro verso altezze incommensurabili trascinando i partner in un vortice di freschezza e di superba eleganza inventiva.

Non sono da meno le altre composizioni che si susseguono nel lavoro: la ciondolante fragile dolenza di Sleep Talking, caratterizzata dall’ottimo interscambio tra i due contrabbassisti, il frizzante calypso di Matador, la paralizzante libert* informale di Call To Duty o la strana indefinibile “mollezza” di Once Only e di Waiting For You, quwest’ultima agitata tra mobile swing ballad (?) e drammatica armolodia introspettiva.

In chiusura, come una valanga inattesa, precipita l’esaltante torrenzialit* di Song X ed è il Coleman di sempre. Insieme a Turnaround costituisce il dittico dei “classici” ornettiani completando l’avvincente play list del progetto. Gli appassionati del sassofonista e non solo, li assurgono oramai da tempo a temi degni di intramontabili standard.
Riusciranno nell’arduo intento?
Noi crediamo proprio di si.

Ornette Coleman, Sound Grammar
etichetta: Sound Grammar
distribuzione IRD