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Visualizza Versione Completa : 16/11/2016 James Senese al Bellini di Napoli



Alessio Beatrice
10th November 2016, 23:22
Un nuovo album, “’O sanghe”. E un concerto il 16 novembre al teatro Bellini. James Senese si racconta su Repubblica.it: la sua musica di oggi, la sua carriera lunga cinquant’anni, Napoli, l’Italia, l’America di Trump e quella di Obama. Partendo dal nuovo disco, “’’O sanghe”, caratterizzato da forte sensibilità sociale e anche venato di una certa religiosità.

«Sono credente, però a volte ho come l’impressione che Dio non ascolti, che bisogna urlare per farsi sentire. E dunque anche in questo disco il mio linguaggio è forte, diretto, vero. Come sempre». Un lavoro segnato dalle “due voci” di James, sassofonista e cantante. «Nasco sassofonista, poi sono stato costretto a cantare. E lo faccio da quarant’anni, va bene così. Il nuovo disco sta avendo un certo successo, diciamo. Lo stiamo facendo ascoltare un po’ giro, ma l’appuntamento napoletano del 16 novembre al Bellini sarà un po’ particolare, sarà una situazione anche più familiare».
In concerto non ci sarà soltanto il nuovo disco, naturalmente. Sul palco scorreranno cinquant’anni di carriera. «Anche qualcosa in più, ho preso in mano per la prima volta il sax a dodici anni. Però c’è voluto molto tempo per affermarmi. Non pensavo mai di arrivare dove sono arrivato. Non posso negare che ho sofferto per il colore della mia pelle, ma ho cercato di essere diverso e di fare la mia strada. E la musica mi ha salvato».

Forza di carattere e fedeltà alle radici. «Non ho mai lasciato Piscinola, il quartiere in cui sono nato. Là ci sono i miei figli. Là c’è il ricordo di mia madre, dei miei nonni. Tutte cose che non avrei mai potuto lasciare. Periferia? Vabbè, insomma, siamo a un chilometro e mezzo dal centro».

Cinquant’anni di musica, dagli Showmen a Napoli Centrale fino a oggi. Di avventure e d’incontri, dentro e fuori l’Italia. «Sono pochi i grandi che rimangono. Oggi ascoltiamo ancora i grandi musicisti degli anni Cinquanta, come John Coltrane o Miles Davis, nel mio caso. Tutto parte da là, parliamoci chiaramente: in America hanno fatto tutto, inventato tutto. In Italia hanno soltanto copiato. Tranne che a Napoli, dove abbiamo questa tradizione della melodia, questo “fatto grosso” della musica».

Alcuni artisti italiani però resteranno. James ci pensa un po’ prima di tirare fuori un nome: «Battiato, mi piace la sua dimensione. Anche se non sa cantare, ma va bene lo stesso». E Pino Daniele? James dissimula il pudore di una ferita ancora troppo viva e non risponde direttamente. «Bisogna saperci entrare dentro certi fatti della musica. Io poi sono napoletano, ma sono pure americano. Vedo le cose in modo diverso. Vedo oltre». E del Nobel all’americano Bob Dylan cosa pensa? «Lo merita, la sua poesia è talmente forte. Ma neanche lui sa cantare». E chi è che sa cantare, James? «Io odio i cantanti. Non riesco a fare nomi. Ci sono quelli fortunati, che hanno una voce bella, ma insomma...».

E per finire, l’americano James cosa pensa di Trump? «All’inizio mi era antipatico. Certo che ci è antipatico, è un miliardario...poi mi sono detto va bene, vediamo, forse lui potrà cambiare qualcosa». E Obama, il presidente nero? «Sembrava l’ideale per l’America, ma poi forse non è stato all’altezza. Il suo è stato solo un passaggio».