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Visualizza Versione Completa : ma cafiso adesso



KoKo
19th December 2012, 16:06
s'è lovanizzato?
http://www.youtube.com/watch?v=Pv6CjyFpGig
l'ultimo video che avevo visto era konitzato =)

ReedBreacker
19th December 2012, 16:37
bello però

KoKo
19th December 2012, 16:45
boh, a me non dice niente...

darionic
19th December 2012, 16:50
si. si è proprio lovanizzato :lol:

è certo che cafiso è in continua ricerca, ma è anche certo che sicuramente non ha ancora trovato la sua strada. Non può un sassofonista del suo calibro cambiare ogni anno il suo stile drasticamente rifacendosi a dei giganti. Capisco i cambiamenti graduali, ma questi non li capisco.....

zkalima
19th December 2012, 19:42
Lo stile cresce con i suoi tempi, dove c'è terreno fertile, ad un certo punto della carriera di un professionista, può succedere che nel cuore non ci sia abbastanza storia, che non ci sia concime per far nascere uno stile, ma essendoci una grande abilità, si cerca un'amante nuova ogni notte, senza trovare mai l'amore.
A me non è mai piaciuto Cafiso, ma questo problema prima o poi diventerà drammatico per lui e forse allora, una goccia di sangue uscirà anche dal suo sax.

saxterni
19th December 2012, 22:30
poeticamente ma drammaticamente giusto lo zkalima....vorrei un suo parere anche su luigi grasso , altro grande enfant prodige, per me ormai definitivamente votato alla clonazione di parker....

ReedBreacker
20th December 2012, 11:15
Certo che vi capisco,vedere un talento che non sembra metterci niente di suo nella musica che suona è un peccato...

tzadik
20th December 2012, 11:32
Cafiso ha il controllo totale di quello che fa'.
Se in quel brano... in quel giorno, in quell'ora... ha deciso di suonare in quel modo, è una scelta voluta.

... tutto il resto è noia (o superficialità del giudizio).

Danyart
20th December 2012, 11:36
in parte sono d'accordo con alessio friulandese, bisognerebbe conoscerlo meglio per sapere con maggiore sicurezza ciò che pensa e ciò che vuole suonare, poi può piacere o meno. Tra l'altro, dis olito, si tende, l'ho fatto anch'io, a relazionarlo con grasso e cigalini, altri due talenti giovani (anche se grasso ha qualche anno in più) che stanno percorrendo strade importantoi più o meno come cafiso, così qualcuno dice, ma Cigalini è meglio, grasso è più maturo o viceversa ecc...ripeto, l'ho fatto anch'io...

gene
20th December 2012, 11:40
Questione di gusti ..... :mha!(
Secondo me Cafiso è ancora in fase di "crescita", nel senso che ha ancora voglia di esplorare ...... e questo è sempre positivo .... potrebbe benissimo campare di rendita e di cazzeggio, di cosette carine, cool, orecchiabili etc. invece diventa sempre più ostico (in senso buono).
Per il resto, la vedo come Tza ......
una annotazione ..... ma perchè sul video "s'abbotta" come Gillespie?
Riguardo Luigi Grasso, le "sette" non mi piacciono, e lui fa parte di quella schiera di giovani alla ricerca del sacro Graal (il BeBop), agli ordini del sommo sacerdote Barry Harris .... :mha!( ha Roma ce ne sono parecchi, gente fissata, che pensa di vivere nei primi anni '50, gente che pensa che il Jazz sia morto con Parker .......
per cui finisco come ho iniziato ....... Questione di gusti

Danyart
20th December 2012, 11:45
ottimo gene, condivido, per quanto riguarda il gonfiare le guance, ha più o meno sempre fatto così, anche se aveva detto che frequentando marsalis aveva smesso, magari ora ripropone questo modo per ottenere un certo suono. sarebbe interessante chiedere a lui certe cose, anni fa gli ho mandato una mail e mi ha risposto immediatamente, la mandai proprio perchè sentivo di avere un pregiudizio un pò negativo e ascoltando alcune cose mi ricredetti

tzadik
20th December 2012, 11:47
Cafiso secondo me è un caso a sé... nel senso che suona già ad altissimi livelli da anni.
È come se a 23 anni... facesse quello che un professionista affermato fa' a 50 anni... però Cafiso ha ancora il fisico e la velocità di elaborazione di uno di 23 anni.

Cigalini per quello che ho sentito è ad alti livelli... ha uno stile diverso, sicuramente più facile da capire di Cafiso.

Ho sentito Cafiso 3 o 4 anni fa'... e mi veniva quasi da piangere a sentirlo suonare: si sentiva nettamente che dietro allo strumento c'era un genio.
Cafiso fa quello che vuole... quello che doveva dimostare l'ha dimostrato... è "arrivato", forse questo potrebbe essere il problema.

gf104
20th December 2012, 11:57
del resto ci sarà pure un perchè se è stato invitato un paio di volte a suonare alla Casa Bianca, poi se piace o meno è sempre soggettivo

KoKo
20th December 2012, 12:01
non è detto che una scelta voluta (come tutta le scelte) sia la migliore. o meglio, non penso ci siano scelte migliori o scelte peggiori, c'è la sincerità e l'onestà quando si suona.
L'effetto che mi fa è di una persona che sta cercando qualcosa, ma nei posti sbagliati...

Lo stesso effetto me lo fa quando lo sento parlare, sa le cose che deve dire, ma non mi arriva mai un concetto.

In questo video secondo me scimmiotta Lovano, scimmiotta nel senso che suona nel suo mood senza essere Lovano, indossa un vestito che gli va evidentemente grande. Stessa cosa quando in altri video l'ho sentito suonare come Konitz, va verso quello stile ma si perde le cose piu' importanti...

Forse quando hai quella facilità (anche nel recepire stilemi e linguaggi diversi) è difficile abbandonarsi all'ignoto, o anche immaginare che possa esistere qualcosa di diverso, ma la differenza è tutta li.
magari veramente dopo anni scopri che non c'è, oppure come dice zka, inizi a farti le domande giuste e a rispondere a modo tuo.

Per quanto mi riguarda il controllo assoluto puo' essere anche un problema musicalmente, dipende da che persona sei...

Danyart
20th December 2012, 12:07
e ch'a ragione anche koko

saxterni
20th December 2012, 14:05
egregissimo gene ma davvero a roma esistono tali conventicole di boppers? .... e' magnifico.... manco da roma da tanto tempo ma mi farebbe piacere ascoltare tali giovini.....anche io son purtroppo fermo agli anni 50 ( anche perche ce li ho) ma credo anche che dopo parker siano state fatte tante altre cose belle (es. steve coleman)...best regards

gene
20th December 2012, 16:02
Be ...Saxterni, anch'io credo che dalla morte di Parker, il mondo sia andato, a torto o ragione, avanti .... infatti abbiamo avuto, limitandomi al sassofonismo (brutta parola), e a 2/3 nomi, Coltrane, Shorter, Brecker ..... anch'io credo che Steve Coleman (e non solo lui) sia un grandissimo pensatore ..... ma ..... :mha!( evidentente, qualcuno ha idee diverse) .... pensa c'è qualcuno (spero siano pochi, prchè altrimenti c'è da preoccuparsi) che sostiene che domani, 21 Dicembre, non esisterà più, tra gli altri, Saxforum .... :cry: tornando alla tua domana, Si, esistono a Roma, i depositari del verbo ..... i discepoli di Barry Harris, che ha antiche frequentazioni con la capitale, e che col tempo, e i suoi seminari (fa figo dire jazz Workshop) ha forgiato i centurioni del Bop ...... non necessariamente sassofonisti, ma anche pianisti, cantanti etc.
Però scusa, visto che conosco alìcuni centurioni, quelli ortodossi, a loro Steve Coleman, fa cag ...re ...... :mha!(

saxterni
20th December 2012, 16:44
grazie pero' non mi hai dato nessun nome....sono stato anch'io a un ressemblement con barry harris... a verona.... pieno de cantanti femmine( ahime alcune insopportabili) e sopratutto de pianisti (ottimi peraltro)... be' lui e' un po' andato e sopratutto impegnato a celebrar se stesso e a fare il pavoncello ( a quasi novant'anni) vista la suddetta presenza femminile :D ....pero' non credo veramente che i centurioni, perlomeno i piu' accorti pensino che il jazz sia morto sessant'anni fa....di nuovo un saluto alla cara roma di cui rimpiango terribilmente sopratutto il favoloso clima e le storiche bellezze.....(se permetti ti do io un nome interessante da ascoltare se ti capita--- Daniele Tittarelli-- che so che suona spesso anche nei locali....)

fcoltrane
20th December 2012, 17:33
Steve Coleman è un musicista straordinario.
a me piace sia quando suona bebop (ed è uno di quelli che sa farlo ad altissimo livello) sia quando suona altro.
di Barry Harris posso dire che è un piacere seguire i suoi seminari .
già il solo fatto di aver vissuto e suonato e conosciuto i musicisti che sono considerati i maestri di questa musica lo pone al di sopra dei comuni mortali.
con poche note sul piano è in grado di farti sentire sfumature e diversità di linguaggio.
ha una sua idea di didattica che può essere condivisa o meno ( l'utilizzo del cromatismo con regole predefinite ).
credo che a marzo ne abbia organiazzato uno proprio a Roma.
Cafiso già da minorenne suonava ad un livello stratosferico.
La scelta di suonare in un modo rispetto ad un altro credo sia estemporanea e significhi poco.
Cigalini lo conosco da poco ed ha un modo di suonare entusiasmante.
Grasso lo ho conosciuto durante un seminario con Barry Harris , lo stile che utilizzava mi sembra sia addirittura precedente a bop, ottimo musicista.

zkalima
20th December 2012, 22:20
Cafiso ha il controllo totale di quello che fa'.
Se in quel brano... in quel giorno, in quell'ora... ha deciso di suonare in quel modo, è una scelta voluta.

... tutto il resto è noia (o superficialità del giudizio).

In effetti se critico qualcuno è principalmente perchè mi annoia, quello che dici, dal punto di vista espressivo, artistico, non ha molto senso, in quanto sono proprio le scelte, indipendentemente dal livello tecnico, che hanno significato o non ne hanno, il fatto che un musicista sceglie di fare una cosa è un fatto, la cosa scelta è ciò che piace o non piace, per usare un termine semplice.
Poter fare tutto non è sinonimo di fare qualcosa di bello, lo stile in generale è sempre frutto di rinunce e di scelte motivate che comunicano, nel jazz è la vita che parla attraverso il suono, se uno fa parlare gli studi, il rischio, al di là dell'impressione che può suscitare l'abilità, è di essere noiosi e di dover rifare scelte altrui per dire qualcosa.
Io non sono mai superficiale nei miei giudizi :alè!!)

zkalima
20th December 2012, 22:31
non è detto che una scelta voluta (come tutta le scelte) sia la migliore. o meglio, non penso ci siano scelte migliori o scelte peggiori, c'è la sincerità e l'onestà quando si suona.
L'effetto che mi fa è di una persona che sta cercando qualcosa, ma nei posti sbagliati...

Lo stesso effetto me lo fa quando lo sento parlare, sa le cose che deve dire, ma non mi arriva mai un concetto.

In questo video secondo me scimmiotta Lovano, scimmiotta nel senso che suona nel suo mood senza essere Lovano, indossa un vestito che gli va evidentemente grande. Stessa cosa quando in altri video l'ho sentito suonare come Konitz, va verso quello stile ma si perde le cose piu' importanti...

Forse quando hai quella facilità (anche nel recepire stilemi e linguaggi diversi) è difficile abbandonarsi all'ignoto, o anche immaginare che possa esistere qualcosa di diverso, ma la differenza è tutta li.
magari veramente dopo anni scopri che non c'è, oppure come dice zka, inizi a farti le domande giuste e a rispondere a modo tuo.

Per quanto mi riguarda il controllo assoluto puo' essere anche un problema musicalmente, dipende da che persona sei...

Ti cito integralmente perchè la vedo esattamente così, forse il problema sta anche nelle motivazioni per cui qualcuno si mette in condizione di poter suonare tutto, è un'attitudine che andrebbe capita meglio, che secondo me nasconde proprio quella paura dell'ignoto che Koko ha segnalato, c'è come il desiderio di non essere mai su un terreno dove si rischia, quindi si è bandito l'errore dalle proprie possibilità espressive.
E' vero che Parker studiava fino a 13 ore al giorno, ma è vero che sapeva dimenticarsene per raccontare la sua vita, ed era una vita che valeva la pena di essere raccontata.
Lo cito ogni tanto, quel pezzo di 'Round midnight in cui Gordon racconta di un tale che va da lui e gli dice: "Io la tua musica la suono meglio di te", come dire; io la tua vita la vivo meglio di te.

ropie
21st December 2012, 02:13
Da un lato chapeau, è bravissimo, e si sente che ci mette cuore... Da un altro mi viene da dire che anche Gigi Sabani forse il cuore ce lo metteva quando imitava Celentano o Toto Cutugno.

re minore
21st December 2012, 09:26
Alla fine la questione e' molto semplice: la tecnica e' un mezzo (indispensabile) che non deve diventare un fine. A me sembra che qui la tecnica sia abbastanza fine a se stessa, ma chi puo' dire se e' veramente cosi? Io non sono nella sua testa e non posso sapere se sta soffrendo, gioendo o semplicemente mostrando quanto e' bravo. Sono portato a pensare che stia percorrendo con passione la sua strada, ma ascoltarlo (detto con tutto il rispetto per la persona e per la straordinaria abilita') non mi dice niente.

E comunque deve valere anche per lui quello che vale per tutti: un artista ha la morte sempre con se'.

docmax
21st December 2012, 10:43
Lasciamo lavorare il tempo, io non sarei troppo esigente con chi ha un talento mostruoso (l'invidia fa brutti scherzi, sempre). Di fronte a tanta roba io resto sempre ammirato.
Certo che il giovane ha una abilità camaleontica da Konitz a Lovano... mica facile eh?
Comunque grazie di aver segnalato questo brano.

gf104
21st December 2012, 11:11
Cafiso è stato classificato tra i primi 100 musicisti al mondo.
se fosse il N. 1 della classifica chissà quante altre critiche riceverebbe!
(verissimo che l'invidia è una brutta roba :smile: )

KoKo
21st December 2012, 11:20
le classifiche le lascerei ad altri ambiti =)
ogni volta che sento sta storia delle classifiche mi viene in mente il film di Woody sul secondo miglior chitarrista del mondo (se non fosse per quello zingaro...)

l'invidia pure c'entra poco, sono so contento se emergono nuovi musicisti interessanti, vorrei vedere!

doc, sul fatto di essere esigenti, si parla di un musicista che suona in tutti i piu' importanti festival del mondo, da anni oramai, ha 23-24 anni...direi che i tempi sono maturi =)

detto questo, come dice ropie, è bravissimo per carità...parlavo d'altro.

gf104
21st December 2012, 11:34
se parli di anima, emozioni, filosofia ecc allora il discorso diventa sconfinato come l'universo dentro il quale ci metto pure le profezie Maya!

zkalima
21st December 2012, 11:36
C'è una cosa che non capisco, perchè se critico Cafiso è per invidia e se dico che mi piace Rollins sono esente da questo vizio? se devo guardarmi dentro, l'invidia la riservo a ben altro che a cafiso.
La lista dei primi 100 musicisti è una minchiata, anche perchè ho idea di chi ci sia in testa, ma mi resta un dubbio pensando a chi l'ha stilata, cosa ci piace veramente nella musica che fa un musicista? credo che potrebbe essere un buon topic da proporre agli utenti del forum, e forse è anche una domanda che pochi si fanno, che mette in discussione alcune abitudini e automatismi.
Cioè se spogliamo la nostra esperienza di ascolto, (non coinvolgerei la nostra capacità di musicisti, proprio per evitare di cadere nel trucchetto dell'invidia, se invidio Cafiso cosa dovrei fare con Rollins o con Trane o Bird?), dicevo, se togliamo il fatto che una scala in semibiscrome a 240 ci impressiona, cosa veramente colpisce il nostro immaginario ascoltando della musica?
Esprimere a parole il nostro sentimento è un esercizio utilissimo anche per capire meglio se stessi, e forse può aiutare nelle proprie scelte espressive.
Bene, ci provo.

gf104
21st December 2012, 11:41
oggi, fortunatamente, siamo liberi di pensare e di esprimerci come desideriamo!
quindi avanti tutta :smile:

re minore
21st December 2012, 14:26
Non vedo assolutamente perche' si debba pensare ad invidia: stiamo discorrendo tra amici e diciamo liberamente cosa pensiamo, cosa ci piace e cosa no. Se ogni volta che uno dice "non mi piace" dovesse esserci di mezzo l'invidia... ;)

bracco
21st December 2012, 15:06
Alla fine la questione e' molto semplice: la tecnica e' un mezzo (indispensabile) che non deve diventare un fine. A me sembra che qui la tecnica sia abbastanza fine a se stessa, ma chi puo' dire se e' veramente cosi? Io non sono nella sua testa e non posso sapere se sta soffrendo, gioendo o semplicemente mostrando quanto e' bravo. Sono portato a pensare che stia percorrendo con passione la sua strada, ma ascoltarlo (detto con tutto il rispetto per la persona e per la straordinaria abilita') non mi dice niente

Sono daccordo con re minore perchè anche riconoscendo la bravura tecnica che ha Cafiso secondo me un "artista" è tale se riesce a trasmetterti quello che ha dentro, se ti fa emozionare con quello che "dice" , ammesso che lui abbia qualcosa da dire deve ancora trovare il "suo" modo di trasmettrlo. Forse Cafiso ha l'X factor o forse no, fatto sta che per trovare la propria strada tutti i "grandi" hanno esplorato ... diamogli tempo.

docmax
21st December 2012, 16:17
Di fronte ad una espressione artistica a volte ci si pone in modo categorico e ci si scontra ( o pro o contro) come in questo caso (e non é la prima volta) dimenticando prima di tutto che i gusti sono gusti. Un artista a volte cerca di fare, di tirare fuori quello che ha, c'é chi si esalta chi resta freddo e chi invece non condivide.

Un attimino che vi (mi) spiego l'invidia: non ho inteso dire che chi fa una critica é di base un invidioso. L'invidia, e qui parlo per me, potrebbe essere un assurdo ma... come mi farebbe "soffrire" a essere come lui però quanto vorrei provare quel "fastidio" di avere una vita piena di contatti, partecipazioni, concerti già da piccolo. Verrebbe da dire "Se avessi io il talento suo..."! Non era rivolto a voi, non so se sono riuscito a spiegare.

Il mio atteggiamento di fronte ad un artista, ad un musicista jazz, che prima di tutto é un uomo, con la sua cultura, con la vita quotidiana, con il suo stato emozionale, parte dall'ascolto senza preconcetti. Cerco in quell'istante di incrociare una vita con la mia e vedo cosa ne scaturisce. E se il tutto avviene "live" sento che ha tutto un altro valore rispetto all'incontro che avviene per mezzo della registrazione fruibile in ogni momento e di fronte alla quale non riesco a entrare in ascolto con tutti i sensi, ma riesco guarda un pò ad essere "ipercritico" aiutato anche dai mezzi informatici ( al secondo tot. fa questo mentre al secondo tot. fa quest'altro, ecc).

Io a questo giovane auguro di avere ancora molto da dire e di trovare il modo di dirlo con convinzione e cultura.

Albysax
21st December 2012, 18:04
Quoto alla grande il Doc..

re minore
21st December 2012, 18:21
... "Se avessi io il talento suo..." ...

Il punto dell'invidia e' proprio questo! Occorre capire, secondo me, che non puoi avere il talento suo e restare te. Il talento e' parte integrante del proprio se', non e' una cosa che "si ha" ma e' una cosa che "si e' ". E non mi dire che daresti in cambio la tua vita per quella di qualsiasi altro al mondo, a tua scelta... Non ci crederei! :smile:

PJM
21st December 2012, 18:44
In questo brano si c'è roba di lovano, ma c'è anche phil woods(nel sound e qualche frase) camuffato un pò con un eric dolphy approach.. cafiso e' un grande talento nel'imitare i vari dialetti, stili ecc e un grande strumentista dal punto di vista tecnico ( velocità, effetti, controllo ecc) ..detto questo il musicista e la musica sono altro..non scambierei due note di k.garrett con l'intera discografia di cafiso se proprio devo dirla..garrett (parliamo di un musicista ancora vivente e non centenario!!!) nel 1980 suonava gia come" k.garrett" e basta, con il suo modo di approcciare al fraseggio, armonia e al sax..e facendo la metà delle imitazioni e anche note che fa cafiso e avendo il dono di una enorme intensità emotiva quando suona, che ti arriva addosso e ti investe..(parlo anche di quando suona una ballad e fa solo due note magari sparate in battere a pieno stile funk). Se si leva Garrett si leva un modo di suonare l'alto, " un sound", un approccio.. mentre se domani levate cafiso, non cambia niente ne per il sax contralto ne per la musica, il suono del sax contralto di cafiso in senso di pura timbrica e voce è un suono molto "banale" di sax alto,tipico sound come troppi ormai all phil woods e finita li.. Qui non si parla di essere bravi a suonare il sax ( ovvio che cafiso lo sia ) , si parla di musica, di creare un proprio modo, avere "peso", far venire in qualche modo in pelo dritto, avere una propria voce. Mi auguro che la trovi in futuro..PJM

fcoltrane
21st December 2012, 20:31
ma perchè invece di " levare" non proviamo a fare il contrario.

gene
21st December 2012, 20:56
PJM ..... lo capisci che stai sostenendo una tesi sbagliata in partenza ..... :BHO: un'altro può dirti che Kenny G. (Garrett .... :ghigno: ) non vale 'na mazza ..... se ti dicessi che Dick Oatts a Garrett lo mangia vivo che diresti ..... sono gusti, sensibilita, punti di vista etc. ..... e come parlare di politica, calcio etc. si parla del nulla .... solo che qui, fortunatamente non si sono schieramenti contrapposti e c'è posto per tutti .....

PJM
21st December 2012, 22:18
Dick Oatts è un professionista gigantesco,oltre che gran solista certamente( i suoi dischi della steeplechase sn bellissimi) uomo da sezione perfetto ed il Lead alto nelle big band americane piu toste. Guarda il video della mel lewis orchestra mentre fanno dophin dance..si capiscono molto bene i ruoli differenti e di ciò che serve alla musica..nel video in questione c'è garrett che fa il secondo alto, oatts il primo..proprio perchè garrett non ha un sound o la "frequenza" che deve avere un primo..però garrett fa un solo gigantesco in quel brano (facendo pure poche note)...il punto è che Garrett è il solista per eccelenza, puro, quello che come intensità, emotività e peso ti ammazza..Oatts è un uomo più a tutto tondo sul sax e come ruolo in generale, in teoria "sa fare e più cose e ruoli di garrett", è un eccellente solista ma non raggiunge la vetta emotiva di garrett e la personalità in senso di sound o modi di affrontare i brani..Oatts, nell'eccelenza che ha, ha gia un sound più "omologato" anche se è molto più definito di cafiso. Quel che intendo è che spesso ciò che cambia la storia della musica o di un modo o di un suono non è necessariamente il più bravo in generale. Se levi oscar peterson dalla storia del piano jazz, che è mostruoso, di fatto perdi molto di meno che levare uno come monk o amhad jamal che se li guardi dal solo punto di vista pianistico tecnico si perdono confronto a Peterson ma per la storia , il modo, l approcio verso il pianoforte e la musica sono molto più importanti. Ci sono evidenze che non sono più gusti. Infatti la storia decide sempre chi rimane, chi ha cambiato le cose e chi no. Cafiso è bravissimo e ha grande talento (un certo tipo di talento) ma gusti o no non ha un decimo dello spessore e dell importanza di uno come garrett sul fraseggio, concetto di suono del sax alto e impatto emotivo. E Oatts gia è cmq è su altro pianeta(in meglio) rispetto a Cafiso.

gene
22nd December 2012, 15:06
Pur concordando, tanto di quello che tu sostieni, ci addentriamo, con questi discorsi, su posizioni facilmente attaccabili, perchè frutto di un dato non oggettivo ..... ovvero, il nostro gusto e la nostra sensibilità ...... Corcordo meno quando sostieni ..... Ci sono evidenze che non sono più gusti. Infatti la storia decide sempre chi rimane, chi ha cambiato le cose e chi no ...... potrei dire, che la storia è fatta pure di casualità, opportunità colte o negate, da addetti ai lavori che ha creduto in questo o quello artista o meno, facendolo incidere, promuovendo tour .... etc., e comunque la storia, da che esiste il mondo la fanno i vincitori ...... sappiamo io e te come sono andate veramente le cose?
Non lo so, io non ho così tante certezze, perlomeno così sembra trasparire dalle tue parole .....

almablue
23rd December 2012, 16:10
Cafiso ha il controllo totale di quello che fa'.
Se in quel brano... in quel giorno, in quell'ora... ha deciso di suonare in quel modo, è una scelta voluta.

... tutto il resto è noia (o superficialità del giudizio).

In effetti se critico qualcuno è principalmente perchè mi annoia, quello che dici, dal punto di vista espressivo, artistico, non ha molto senso, in quanto sono proprio le scelte, indipendentemente dal livello tecnico, che hanno significato o non ne hanno, il fatto che un musicista sceglie di fare una cosa è un fatto, la cosa scelta è ciò che piace o non piace, per usare un termine semplice.
Poter fare tutto non è sinonimo di fare qualcosa di bello, lo stile in generale è sempre frutto di rinunce e di scelte motivate che comunicano, nel jazz è la vita che parla attraverso il suono, se uno fa parlare gli studi, il rischio, al di là dell'impressione che può suscitare l'abilità, è di essere noiosi e di dover rifare scelte altrui per dire qualcosa.
Io non sono mai superficiale nei miei giudizi :alè!!)

Condivido integralmente il tuo pensiero al riguardo. Ho vissuto personalmente piu' storie di ''Enfant prodige (http://www.resocap.it/scuola.htm)'' . Il problema e di come viene gestita la cosa e da chi. Quello che succede dopo , nel bene e nel male e frutto di tutto il trascorso. Da qui a diventare i nuovi Parker , Coltrane ecc.ecc. ce ne vuole. Certamente continueranno a fare i musicisti ma per imporsi come inventori di un nuovo stile come sono stati Parker , Coltrane ce ne vuole. A parte l'invenzione di un nuovo stile, le emozioni se non le vivi non le puoi dare. Nel sax di Parker cè tutta la sua vita e l'emozione traspare in ogni nota . Parker ti fa sentire tutto quello che provava lui. Per questo arriva . . Questo vale per tutti i grandi da Coltrane a Hendrix . Di questi ''Enfant prodige (http://www.resocap.it/Stampa.htm)''conosco le storie e conosco come si è arrivati a certi risultati. Anche qui si è applicata una tecnica . Per le emozioni però non cè tecnica, non cè una masterclass . Vi siete mai chiesti perchè . Semplice , non si puo' insegnare . L'arte non è solo tecnica ma sopratutto emozione e creatività .

fcoltrane
23rd December 2012, 16:32
mmmm. dal mio punto di vista ha poco senso parlare in questi termini.
riconosco il tentativo di parlare di aspetti relativi alla musica ma se da questo si passa al proprio gusto personale o ad aspetti che non possono essere discussi per definizione ma accettati come verità.....
una frase tipo " le emozioni se non le vivi non le puoi dare" è indicativa .
anche per assurdo volendo considerare il principio valido non è possibile discutere per l'impossibilità di conoscere le emozioni di una persona diversa da se.

zkalima
23rd December 2012, 18:37
Già, il problema nasce quando qualcuno cita la famosa frase: "Avere qualcosa da dire", in un certo senso tutti hanno qualcosa da dire, questo qualcosa a volte l'hanno vissuto, altre volte l'hanno studiato, quindi provando a prescindere dalla considerazione del tutto personale che io di solito mi accorgo della differenza, proviamo a capire che cos'è questo qualcosa, cosa racconta uno che sta dicendo qualcosa in musica?
Beh, dopo lunghe riflessioni sono giunto alla conclusione che è impossibile, che è unicamente un senso interno che alcuni hanno più sensibile o più sviluppato di altri, un po' come piacere alle donne, e che un tempo era riconosciuto e determinava il giudizio generale che un certo mondo dava di un artista e che col tempo si è perso, venendo a finire le caratteristiche di quel mondo, e che è stato sostituito per necessità da considerazioni tecniche che dovrebbero essere più oggettive, a cui purtroppo però molti artisti cercano di adeguarsi.

In poche parole se a dirti bravo è una personalità come Jack Kerouak, l'ambiente assorbe quello che è il modo di sentire di quell'artista e gli artisti stessi che apprezzano quello che scriveva lui ne trovano a loro volta ispirazione, mentre se a darti l'Award dell'anno è una commissione che valuta le tue capacità tecniche sullo strumento tu cerchi di adeguarti a quello.

Un po' quello che è successo nel pattinaggio artistico, tutti quelli che eccellevano per l'espressione e l'arte di pattinare sono scomparsi dalle scene perchè non sapevano eseguire un quadruplo tollup.
Il risultato è che oggi si vedono ragazzi palestrati che fanno vasche avanti e indietro sul ghiaccio e saltano come se avessero vinto le leggi di gravità.
I tempi sono cambiati facciamoci pace oppure no.

fcoltrane
23rd December 2012, 19:07
sono dell'idea che affrontare discorsi di questo tipo sia pericoloso.
il rischio è che si finisca con affermare le proprie preferenze personali.
in un forum di sassofonisti mi aspetto che si riesca a parlare più di musica che di altro.
in pratica riesco ad accettare la "provocazione " di Koko di buon grado perchè comunque alla base c'è uno spunto interessante .
la definita lovanizzazione di Cafiso.
non ci si deve mai dimenticare che stiamo parlando di musicisti che hanno fatto della loro vita la musica.
da affermazioni tipo "le emozioni se non le vivi non le puoi dare" non ci si può difendere.
per non parlare delle conseguenze aberranti legate a questo concetto:
soffriamo molto così abbiamo molto da dire , o godiamo molto o facciamoci una pera di eroina.

almablue
23rd December 2012, 19:22
Una cosa è certa , per il momento non cè nulla di nuovo. Bravissimi ma non riconoscibili . Basta ascoltare un brano degli ''enfant prodige'' : li confonderesti con altri 5000.
Metti un disco di Getz , Parker , Coltrane , dopo 3 note sai chi suona. Come si spiega ? Io una risposta me la sono data, ma è sempre solo una mia opinione..... e nel tuo finale cè purtroppo anche un po di verita' .

A.

gene
23rd December 2012, 19:45
Zka ... mi piaci (aho, nun penzà a male ... :ghigno: ), perchè cerchi di essere profondo, di tentare di dare una spiegazione ad una situazione, "il suonare" che forse non è spiegabile, almeno da parte di chi ne è protagonista .... ovvero, spesso chi ascolta, pensa di percepire, capire, sentire, immaginare etc. cose che invece chi suona neanche immagina ..... Bill Evans suonava davanti a 10, forse meno, spettatori , neanche interessati alla musica ... al Village Vanguard ..... non perchè doveva essere un protagonista di una storia gloriosa (così si narra), suonava perchè doveva campare, perchè quello era il suo mestiere, suonare .... il resto è retorica di chi scrive libri, di di decide chi sono i vincitori e gli sconfitti (i discografici), .......
Visto che è Natale, vi voglio raccontare questa bellissima storia .......
JfI è l'intervistatore, GL è il pianista piugliese Gianni Lenoci .... vi prego, di seguire attentamente gli sviluppi della storia .......

JfI: Gianni, come e quando hai conosciuto Massimo Urbani?

GL: Ho conosciuto Massimo Urbani alla fine degli anni ‘80.
All’epoca vivevo a Roma. Mi ero diplomato in pianoforte al Conservatorio “S. Cecilia” ed avevo anche iniziato ad insegnare musica in un Liceo Sperimentale (che, guarda caso era lo stesso che una quindicina di anni prima aveva visto Massimo fra i banchi, se pur per un periodo brevissimo prima che abbandonasse la scuola per andare in tour con Giorgio Gaslini). Avevo iniziato a muovere i primi passi nell’ambiente jazzistico.

Una sera in televisione sul terzo canale trasmettono un concerto del quintetto di Giovanni Tommaso che oltre al leader aveva tra le fila Urbani, Fresu, Gatto e Rea.
Il concerto scorre liscio (era un quintetto di virtuosi), ma sull’ultimo brano (una specie di groove modale) Massimo prende un assolo impressionante. Mai sentito niente del genere. Io sono completamente investito da quella energia realmente spirituale e concreta al tempo stesso.

Il giorno dopo parlo di questa mia emozione con uno dei collaboratori scolastici (si chiamava Massimo anch’egli) che sapevo appassionato di jazz e lui mi dice: “Massimo è mio cugino. Quando usciamo da scuola lo chiamiamo. Anzi gli propongo di suonare con te”.
Così fu. Massimo al telefono fu gentilissimo: Mi disse: “Sto andando a Parigi per un omaggio a Charlie Parker con Daniel Humair. Chiamami fra quindici giorni e ci accordiamo”.
Dopo quindici giorni lo chiamo. Si ricorda perfettamente di me (non mi aveva mai visto in faccia, né mai sentito suonare). Gli chiedo se potevo proporre in giro un gruppo con lui come ospite. Mi dice di sì. Torno a casa. Faccio dieci telefonate a dieci club. Ottengo dieci risposte positive. Praticamente un tour.

Non mi è mai più successo nella mia vita.

JfI: io non riesco a scindere la figura di Max dalla rappresentazione di un’epoca, quegli anni Settanta che hanno messo in moto discussioni, stimoli, riflessioni e collettività. Periodo duro ed incantato allo stesso tempo in cui, forse, un mondo migliore sembrava possibile. La vicenda di Massimo Urbani, la sua forza e fragilità, la sua esplosione vitale e la sua tragica morte annunciata sono forse simbolo di quel sogno infranto?

GL: In parte sì. Perlomeno sul piano simbolico.
Riguardo la sua morte (veramente giunta inaspettata: ci eravamo sentiti per telefono cinque giorni prima di quel tragico evento per accordarci su due concerti che avremmo avuto in Molise i primissimi di luglio e mi aveva apostrofato ridendo: «Lenoci, vecchio ribaldo!», da notare la ricercatezza di quel “ribaldo” ) ho sviluppato varie congetture.
Ho sempre pensato che la cosa fosse evitabile.
.
rimo: il rapporto con l’eroina non era così continuativo come i tossicodipendenti abituali hanno. Il problema vero secondo me era l’alcol. Quindi al limite sarebbe morto di cirrosi epatica. Cosa che onestamente ho temuto varie volte.
Secondo: era assolutamente incapace di “farsi”. L’unica volta che io sono stato testimone di uso di eroina da parte sua, l’ha fumata.
Ergo: qualche mistero c’è su quella morte c’è. Visto che si era sparato in vena non so quanto di eroina purissima. Ma sono solo delle mie teorie.
La società stava già comunque cambiando a vari livelli. E non sarebbe certo arrivato un tempo per poeti. O perlomeno, i poeti sarebbero stati sempre più ai margini.
.
JfI: All’epoca dell’incisione di “Round About Max” non avevi ancora compiuto trent’anni ed avevi alle tue spalle un solo disco inciso con Bruno Tommaso ed Antonio Di Lorenzo. Oggi la tua discografia è molto più corposa e le tue collaborazioni non conoscono confini di sorta. Massimo Urbani aveva appena sei anni più di te ma aveva già un posto tra i grandi del jazz. Cosa provasti davanti a quel musicista?

GL: Suonare con Massimo Urbani è stata Università e Dottorato di ricerca messi insieme e ancor di più. E’ chiaro che da parte mia c’era un’impressionante dose di incoscienza mista a coraggio.
Ma non c’era né arroganza né supponenza in tutto ciò.
Io ero conscio della distanza abissale fra me e lui. Oltre che in termini di vera e propria esperienza, soprattutto riguardo il contenuto emozionale dei “solo”.

D’altro canto, la mia passione per il jazz era (ed è) divorante e mi dissi che se dovevo entrare in quel mondo era meglio che lo facessi entrando dalla porta principale. A costo di prendere qualche “incornata” (cosa che devo dire, non successe mai con Massimo).
Per tre anni non ho fatto altro che cercare occasioni per suonarci insieme e verificare se quello che stavo sviluppando in maniera autonoma ed indipendente riguardo il mio vocabolario potesse funzionare con lui. Ogni concerto era la lezione per il concerto successivo.
.
Io ricordo benissimo il primo accordo che ho messo sotto il suo sax.

.
Il primo dei famosi dieci concerti era programmato nel Jazz Club “Lennie Tristano” di Aversa. Durante il viaggio in auto Roma–Aversa, ascoltavamo musica dalla mia collezione di musicassette.
Massimo voleva ascoltare soprattutto cantanti.
Ascoltavamo quindi Astrud Gilberto (il disco era “The Silver collection”). Ad un certo punto mentre Astrud Gilberto cantava “The shadow of your smile”, Max mi dice: “Man, questo 'o famo stasera. Lo famo alla Sonny Stitt!”. Appena arrivati al club avviso il bassista e ci mettiamo a tirare giù gli accordi. Massimo vuole provare solo il tema (anche lui non aveva mai suonato quel pezzo sin d’ora) e vengo investito dalla stessa onda di energia che avevo avvertito ascoltandolo in televisione.
Anzi, molto di più. Senza cadere nella fumisteria hippy: veramente un’onda di vibrazioni.
.
Mai sentito un suono così.

JfI: c’è un pezzo che ami particolarmente di questo disco?

GL: Ovviamente li amo tutti.
Se proprio devo sceglierne uno non posso che dire “The shadow of your smile”, per tutto ciò che significa quel brano.
.
JfI: Cosa è rimasto in te, vent’anni dopo, di quell’incontro?

GL: A parte il ricordo struggente di alcuni momenti umani ed artistici passati insieme: idea del jazz come processo espressivo/creativo in continuo divenire e non applicazione passiva di formule e “stili”, visione spirituale del fare musica e visione politica (sociale) del ruolo dell’artista, valore dell’intuito sulla ragione, contrasto tra avanguardia e tradizione, aspirazione (meglio: tentativo continuo) di ricreare quella vibrazione avvertita sul mio accordo di Fa diesis min. quella sera al jazz club Lennie Tristano di Aversa.

JfI: Ci racconti come è nata quella seduta di registrazione?

GL: Partiamo da Roma, il 28 Novembre 1992. L’appuntamento era fissato per le 11 a casa di Massimo, in via Dati 5 .
L’avrei prelevato e saremmo partiti per Matera dove ci attendevano per la seduta di registrazione.
Arrivato a casa sua trovai Massimo ancora sotto le coperte che si preparava uno “svuotino” (per quanto posso testimoniare io non credo fosse capace di “rollare”), utilizzando come base d’appoggio un LP di Dizzie Gillespie. (Era il disco allegato ad un numero di Musica Jazz di qualche tempo prima). Questo rituale andò avanti per circa un’ora dopodiché balzò dal letto, si vestì ed assieme alla sua ragazza Valentina (finora assente dal quadro) che in quel momento usciva dal bagno, raggiungemmo la mia Peugeot 205.
Niente valigia. Niente sax!

Alla mia richiesta di chiarimenti circa la mancanza del sassofono, mi risponde qualcosa tipo: “Man, l’ho dovuto impegnare_Tranquillo, ce sarà a Matera uno che tiene un contralto da prestàmme….”
Trovata la prima cabina telefonica funzionante chiamo qualcuno a Matera, allertandolo circa la mancanza del sassofono.
Ad ogni modo ci mettiamo in viaggio (con un’ora e mezza abbondante di ritardo sulla tabella di marcia). Arriviamo a Matera verso le 19 e raggiungiamo immediatamente il cinema che era stato adibito a sala di registrazione.
Tutto “live”. Tutti sul palco, come un concerto.
.
Incontro gli altri musicisti (Pasquale Gadaleta al contrabbasso ed Antonio Di Lorenzo alla batteria, i componenti del mio trio dell’epoca) ed il quartetto d’archi (che non avevo mai incontrato prima di quel momento). Io avevo scelto il repertorio, avevo mandato le parti in anticipo a tutti.
Avremmo provato e registrato direttamente varie takes. Il tutto in diretta.
Quasi tutti i brani appartenevano al repertorio di Urbani che suonavamo abitualmente, con l’eccezione di The Summer Knows di Michel Legrand e A Time for Love di Johnny Mandel che avevo mutuato dal repertorio di Bill Evans e che sotto l’aspetto squisitamente emotivo li sognavo interpretati da Massimo Urbani.

Stavo realizzando una visione.

Chiaramente, Massimo non ha le sue parti, dimenticate chissà dove.
L’aspetto interessante è che mi chiede di riscriverle escludendo le sigle degli accordi: “A Già, scriveme solo IL CANTO”.

Fortunatamente un appassionato sassofonista dilettante di Matera, (Franco Di Marzio, purtroppo poi prematuramente scomparso) innamorato dello stile di Paul Desmond, accondiscende a prestare il suo contralto Yamaha. Mentre il quartetto d’archi prova le sue parti, Massimo nel backstage ascolta le armonie degli archi mentre fuma l’ennesima “canna” (aveva eletto uno dei tecnici come “rollatore” ufficiale) e scherza con il proprietario del sax; quest’ultimo chiaramente eccitato e preoccupato allo stesso tempo. Si decide di registrare prima i brani con gli archi e poi tutti gli altri. Si aprono i microfoni. Massimo chiede di registrare una take direttamente senza prove.
Estrae dalla tasca della giacca il suo bocchino, prova una scala producendo un suono incredibile come se stesse suonando un Selmer o un Conn costosissimi e si parte.
.
Risultato: prima prova (di lettura!): prima take fatta!!
Per farla breve: tutto il disco è stato registrato così. TUTTO FIRST TAKE!
Un’ora dopo il primo suono di sassofono era finito tutto.
Testuali parole sue a conclusione: “Me dovete pijà così... ar primo colpo!”

Non so quanto coraggio, incoscienza o spregiudicatezza ci fosse da parte nostra (da parte del Trio, intendo). Certo è che a me sembrava realmente di stare nel jazz entrando dalla porta principale.

Col senno di poi tantissime cose si sarebbero potute realizzare meglio, ma eravamo veramente low budget e lo spirito che ci animava era lontanissimo dal perfezionismo e dallo star system di oggi.
Si cercava solo di catturare un emozione e conservarla per sempre.
.
Quello spirito è rimasto intatto.


***************

Massimo Urbani (alto sax),
Gianni Lenoci (piano),
Pasquale Gadaleat (bass),
Antonio Di Lorenzo (drums)

Marzia Mazzoccoli (I violino)
Anna Tenore (II violino),
Vincenzo Longo (viola),
Davide Viterbo (violoncello)

Tracklisting:

Part One
1) The Summer Knows - 7:37
2) The Shadow of Your Smile - 5:43
3) I Cover the Waterfront - 4:36
4) Star Eyes - 5:55

Qu il resto della storia ......

http://jazzfromitaly.blogspot.it/search ... %20Massimo (http://jazzfromitaly.blogspot.it/search/label/Urbani%20Massimo)

The Summer Knows . ...... :cry:

gene
23rd December 2012, 19:46
Zka ... mi piaci (aho, nun penzà a male ... :ghigno: ), perchè cerchi di essere profondo, di tentare di dare una spiegazione ad una situazione, "il suonare" che forse non è spiegabile, almeno da parte di chi ne è protagonista .... ovvero, spesso chi ascolta, pensa di percepire, capire, sentire, immaginare etc. cose che invece chi suona neanche immagina ..... Bill Evans suonava davanti a 10, forse meno, spettatori , neanche interessati alla musica ... al Village Vanguard ..... non perchè doveva essere un protagonista di una storia gloriosa (così si narra), suonava perchè doveva campare, perchè quello era il suo mestiere, suonare .... il resto è retorica di chi scrive libri, di di decide chi sono i vincitori e gli sconfitti (i discografici), .......
Visto che è Natale, vi voglio raccontare questa bellissima storia .......
JfI è l'intervistatore, GL è il pianista pugliese Gianni Lenoci .... vi prego, di seguire attentamente gli sviluppi della storia .......

JfI: Gianni, come e quando hai conosciuto Massimo Urbani?

GL: Ho conosciuto Massimo Urbani alla fine degli anni ‘80.
All’epoca vivevo a Roma. Mi ero diplomato in pianoforte al Conservatorio “S. Cecilia” ed avevo anche iniziato ad insegnare musica in un Liceo Sperimentale (che, guarda caso era lo stesso che una quindicina di anni prima aveva visto Massimo fra i banchi, se pur per un periodo brevissimo prima che abbandonasse la scuola per andare in tour con Giorgio Gaslini). Avevo iniziato a muovere i primi passi nell’ambiente jazzistico.

Una sera in televisione sul terzo canale trasmettono un concerto del quintetto di Giovanni Tommaso che oltre al leader aveva tra le fila Urbani, Fresu, Gatto e Rea.
Il concerto scorre liscio (era un quintetto di virtuosi), ma sull’ultimo brano (una specie di groove modale) Massimo prende un assolo impressionante. Mai sentito niente del genere. Io sono completamente investito da quella energia realmente spirituale e concreta al tempo stesso.

Il giorno dopo parlo di questa mia emozione con uno dei collaboratori scolastici (si chiamava Massimo anch’egli) che sapevo appassionato di jazz e lui mi dice: “Massimo è mio cugino. Quando usciamo da scuola lo chiamiamo. Anzi gli propongo di suonare con te”.
Così fu. Massimo al telefono fu gentilissimo: Mi disse: “Sto andando a Parigi per un omaggio a Charlie Parker con Daniel Humair. Chiamami fra quindici giorni e ci accordiamo”.
Dopo quindici giorni lo chiamo. Si ricorda perfettamente di me (non mi aveva mai visto in faccia, né mai sentito suonare). Gli chiedo se potevo proporre in giro un gruppo con lui come ospite. Mi dice di sì. Torno a casa. Faccio dieci telefonate a dieci club. Ottengo dieci risposte positive. Praticamente un tour.

Non mi è mai più successo nella mia vita.

JfI: io non riesco a scindere la figura di Max dalla rappresentazione di un’epoca, quegli anni Settanta che hanno messo in moto discussioni, stimoli, riflessioni e collettività. Periodo duro ed incantato allo stesso tempo in cui, forse, un mondo migliore sembrava possibile. La vicenda di Massimo Urbani, la sua forza e fragilità, la sua esplosione vitale e la sua tragica morte annunciata sono forse simbolo di quel sogno infranto?

GL: In parte sì. Perlomeno sul piano simbolico.
Riguardo la sua morte (veramente giunta inaspettata: ci eravamo sentiti per telefono cinque giorni prima di quel tragico evento per accordarci su due concerti che avremmo avuto in Molise i primissimi di luglio e mi aveva apostrofato ridendo: «Lenoci, vecchio ribaldo!», da notare la ricercatezza di quel “ribaldo” ) ho sviluppato varie congetture.
Ho sempre pensato che la cosa fosse evitabile.
.
rimo: il rapporto con l’eroina non era così continuativo come i tossicodipendenti abituali hanno. Il problema vero secondo me era l’alcol. Quindi al limite sarebbe morto di cirrosi epatica. Cosa che onestamente ho temuto varie volte.
Secondo: era assolutamente incapace di “farsi”. L’unica volta che io sono stato testimone di uso di eroina da parte sua, l’ha fumata.
Ergo: qualche mistero c’è su quella morte c’è. Visto che si era sparato in vena non so quanto di eroina purissima. Ma sono solo delle mie teorie.
La società stava già comunque cambiando a vari livelli. E non sarebbe certo arrivato un tempo per poeti. O perlomeno, i poeti sarebbero stati sempre più ai margini.
.
JfI: All’epoca dell’incisione di “Round About Max” non avevi ancora compiuto trent’anni ed avevi alle tue spalle un solo disco inciso con Bruno Tommaso ed Antonio Di Lorenzo. Oggi la tua discografia è molto più corposa e le tue collaborazioni non conoscono confini di sorta. Massimo Urbani aveva appena sei anni più di te ma aveva già un posto tra i grandi del jazz. Cosa provasti davanti a quel musicista?

GL: Suonare con Massimo Urbani è stata Università e Dottorato di ricerca messi insieme e ancor di più. E’ chiaro che da parte mia c’era un’impressionante dose di incoscienza mista a coraggio.
Ma non c’era né arroganza né supponenza in tutto ciò.
Io ero conscio della distanza abissale fra me e lui. Oltre che in termini di vera e propria esperienza, soprattutto riguardo il contenuto emozionale dei “solo”.

D’altro canto, la mia passione per il jazz era (ed è) divorante e mi dissi che se dovevo entrare in quel mondo era meglio che lo facessi entrando dalla porta principale. A costo di prendere qualche “incornata” (cosa che devo dire, non successe mai con Massimo).
Per tre anni non ho fatto altro che cercare occasioni per suonarci insieme e verificare se quello che stavo sviluppando in maniera autonoma ed indipendente riguardo il mio vocabolario potesse funzionare con lui. Ogni concerto era la lezione per il concerto successivo.
.
Io ricordo benissimo il primo accordo che ho messo sotto il suo sax.

.
Il primo dei famosi dieci concerti era programmato nel Jazz Club “Lennie Tristano” di Aversa. Durante il viaggio in auto Roma–Aversa, ascoltavamo musica dalla mia collezione di musicassette.
Massimo voleva ascoltare soprattutto cantanti.
Ascoltavamo quindi Astrud Gilberto (il disco era “The Silver collection”). Ad un certo punto mentre Astrud Gilberto cantava “The shadow of your smile”, Max mi dice: “Man, questo 'o famo stasera. Lo famo alla Sonny Stitt!”. Appena arrivati al club avviso il bassista e ci mettiamo a tirare giù gli accordi. Massimo vuole provare solo il tema (anche lui non aveva mai suonato quel pezzo sin d’ora) e vengo investito dalla stessa onda di energia che avevo avvertito ascoltandolo in televisione.
Anzi, molto di più. Senza cadere nella fumisteria hippy: veramente un’onda di vibrazioni.
.
Mai sentito un suono così.

JfI: c’è un pezzo che ami particolarmente di questo disco?

GL: Ovviamente li amo tutti.
Se proprio devo sceglierne uno non posso che dire “The shadow of your smile”, per tutto ciò che significa quel brano.
.
JfI: Cosa è rimasto in te, vent’anni dopo, di quell’incontro?

GL: A parte il ricordo struggente di alcuni momenti umani ed artistici passati insieme: idea del jazz come processo espressivo/creativo in continuo divenire e non applicazione passiva di formule e “stili”, visione spirituale del fare musica e visione politica (sociale) del ruolo dell’artista, valore dell’intuito sulla ragione, contrasto tra avanguardia e tradizione, aspirazione (meglio: tentativo continuo) di ricreare quella vibrazione avvertita sul mio accordo di Fa diesis min. quella sera al jazz club Lennie Tristano di Aversa.

JfI: Ci racconti come è nata quella seduta di registrazione?

GL: Partiamo da Roma, il 28 Novembre 1992. L’appuntamento era fissato per le 11 a casa di Massimo, in via Dati 5 .
L’avrei prelevato e saremmo partiti per Matera dove ci attendevano per la seduta di registrazione.
Arrivato a casa sua trovai Massimo ancora sotto le coperte che si preparava uno “svuotino” (per quanto posso testimoniare io non credo fosse capace di “rollare”), utilizzando come base d’appoggio un LP di Dizzie Gillespie. (Era il disco allegato ad un numero di Musica Jazz di qualche tempo prima). Questo rituale andò avanti per circa un’ora dopodiché balzò dal letto, si vestì ed assieme alla sua ragazza Valentina (finora assente dal quadro) che in quel momento usciva dal bagno, raggiungemmo la mia Peugeot 205.
Niente valigia. Niente sax!

Alla mia richiesta di chiarimenti circa la mancanza del sassofono, mi risponde qualcosa tipo: “Man, l’ho dovuto impegnare_Tranquillo, ce sarà a Matera uno che tiene un contralto da prestàmme….”
Trovata la prima cabina telefonica funzionante chiamo qualcuno a Matera, allertandolo circa la mancanza del sassofono.
Ad ogni modo ci mettiamo in viaggio (con un’ora e mezza abbondante di ritardo sulla tabella di marcia). Arriviamo a Matera verso le 19 e raggiungiamo immediatamente il cinema che era stato adibito a sala di registrazione.
Tutto “live”. Tutti sul palco, come un concerto.
.
Incontro gli altri musicisti (Pasquale Gadaleta al contrabbasso ed Antonio Di Lorenzo alla batteria, i componenti del mio trio dell’epoca) ed il quartetto d’archi (che non avevo mai incontrato prima di quel momento). Io avevo scelto il repertorio, avevo mandato le parti in anticipo a tutti.
Avremmo provato e registrato direttamente varie takes. Il tutto in diretta.
Quasi tutti i brani appartenevano al repertorio di Urbani che suonavamo abitualmente, con l’eccezione di The Summer Knows di Michel Legrand e A Time for Love di Johnny Mandel che avevo mutuato dal repertorio di Bill Evans e che sotto l’aspetto squisitamente emotivo li sognavo interpretati da Massimo Urbani.

Stavo realizzando una visione.

Chiaramente, Massimo non ha le sue parti, dimenticate chissà dove.
L’aspetto interessante è che mi chiede di riscriverle escludendo le sigle degli accordi: “A Già, scriveme solo IL CANTO”.

Fortunatamente un appassionato sassofonista dilettante di Matera, (Franco Di Marzio, purtroppo poi prematuramente scomparso) innamorato dello stile di Paul Desmond, accondiscende a prestare il suo contralto Yamaha. Mentre il quartetto d’archi prova le sue parti, Massimo nel backstage ascolta le armonie degli archi mentre fuma l’ennesima “canna” (aveva eletto uno dei tecnici come “rollatore” ufficiale) e scherza con il proprietario del sax; quest’ultimo chiaramente eccitato e preoccupato allo stesso tempo. Si decide di registrare prima i brani con gli archi e poi tutti gli altri. Si aprono i microfoni. Massimo chiede di registrare una take direttamente senza prove.
Estrae dalla tasca della giacca il suo bocchino, prova una scala producendo un suono incredibile come se stesse suonando un Selmer o un Conn costosissimi e si parte.
.
Risultato: prima prova (di lettura!): prima take fatta!!
Per farla breve: tutto il disco è stato registrato così. TUTTO FIRST TAKE!
Un’ora dopo il primo suono di sassofono era finito tutto.
Testuali parole sue a conclusione: “Me dovete pijà così... ar primo colpo!”

Non so quanto coraggio, incoscienza o spregiudicatezza ci fosse da parte nostra (da parte del Trio, intendo). Certo è che a me sembrava realmente di stare nel jazz entrando dalla porta principale.

Col senno di poi tantissime cose si sarebbero potute realizzare meglio, ma eravamo veramente low budget e lo spirito che ci animava era lontanissimo dal perfezionismo e dallo star system di oggi.
Si cercava solo di catturare un emozione e conservarla per sempre.
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Quello spirito è rimasto intatto.


***************

Massimo Urbani (alto sax),
Gianni Lenoci (piano),
Pasquale Gadaleat (bass),
Antonio Di Lorenzo (drums)

Marzia Mazzoccoli (I violino)
Anna Tenore (II violino),
Vincenzo Longo (viola),
Davide Viterbo (violoncello)

Tracklisting:

Part One
1) The Summer Knows - 7:37
2) The Shadow of Your Smile - 5:43
3) I Cover the Waterfront - 4:36
4) Star Eyes - 5:55

Qu il resto della storia ......

http://jazzfromitaly.blogspot.it/search ... %20Massimo (http://jazzfromitaly.blogspot.it/search/label/Urbani%20Massimo)

The Summer Knows . ...... :cry:

........ Man, l’ho dovuto impegnare (il sax) ..........Tranquillo, ce sarà a Matera uno che tiene un contralto da prestàmme….”

zkalima
23rd December 2012, 23:03
Grazie Gene, per l'intervista prima di tutto che ci riporta alla dimensione umana prima che musicale di Urbani e per quel "Zka... cerchi di essere profondo :ghigno: "
Un giorno ho letto un articolo di Furio colombo su un fatto molto triste per chi ha vissuto una certa cultura, il famoso Chelsea Hotel di New York veniva venduto demolito e trasformato in appartamenti di lusso da un'impresa di costruzioni.
L'hotel, che vide oltre alla morte di Nancy per mano di Sid la presenza di alcune delle personalità più importanti della cosidetta Beat generation, in realtà era una topaia, Wim Wenders riuscì a girarci un film prima della demolizione, e in ogni caso la storia della controcultura degli anni sessanta e settanta è soggiornata lì.
Il giornalista nostalgico chiudeva l'articolo con una considerazione che mi ha molto colpito, diceva; in quegli anni tu potevi essere "Down" ed essere contemporaneamente "In", oggi se sei Down" sei automaticamente "Out", e la fine del Chelsea hotel ne era l'emblema.
Il mondo musicale è stato il terreno in cui questo fatto è diventato legge, e ha progressivamente emarginato chi non ce la faceva, premiando chi aveva doti tecniche, politiche e manageriali che gli consentivano di primeggiare in valutazioni oggettive, di mantenere alta la propria visibilità e di saper vendee dischi, anche se poeticamente non era granché.
Forse quella nostalgia è eccessiva, anche perchè si guardava bene Colombo, dal descrivere cosa significava essere "Down", povertà, droga e violenza, Chet Baker ne è stato forse l'emblema più chiaro, mentre tutti sappiamo bene cosa vuol dire essere "out", cioè non contare nulla, non essere ricordato ne apprezzato.

Carlo
5th February 2013, 22:33
Quando si parla di musica si parla comunque di una cosa intima e astratta, nella quale ciascuno di noi sente e prova cose diverse, e quindi è chiaro che un artista può dire tanto a qualcuno e niente a qualcun'altro.
Personalmente credo che Cafiso sia bravissimo sotto l'aspetto tecnico e per la capacità di improvvisazione, e credo al contempo che debba crescere moltissimo sotto il profilo dei contenuti perchè, COMUNQUE, è ancora mooooooolto giovane.
Il problema è che spesso e volentieri nel jazz ci sono musicisti che hanno successo non solo grazie alle proprie qualità/meriti (anche se GRAZIE A DIO non è come nel mondo del pop e del rock contemporaneo nei quali si assiste a inutili zxccole idiote che manco sanno cos'è un do o un re, che diventano clamorose star solo grazie al loro corpo, al gossip e alla stupidità della gente, grazie a dio nel jazz c'è un po' più di "meritocrazia") ma anche grazie ad altri aspetti e magari ci sono musicisti incredibili che non se li fila nessuno; faccio degli esempi -indipendentemente dalla qualità dei musicisti -che in tutti quelli che vado ad elencare...C'E'...sia chiaro:

Stefano di Battista --->ha avuto successo grazie alla visibilità che gli ha dato Nichi Nicolai, grazie alle mille collaborazioni col mondo del pop (tipo quelle con Niccolò Fabi, Celentano ecc...ecc...) grazie a san remo e grazie al programma di bonolis

Paolo Fresu------>ha avuto successo grazie alla visibilità che ha avuto con le collaborazioni pop (vedi Ornella Vanoni) e grazie al fatto che fa una musica di facile accesso anche per chi non viene dal mondo del jazz

Stefano Bollani----->ha avuto successo grazie alle numerose collaborazioni con i musicisti del mondo pop, grazie al fatto che fa una musica di accesso molto facile a ogni tipo di spettatore/ascoltatore e anche perchè è molto teatrale e comico nei suoi spettacoli e anche questo aiuta nella facilità di comunicazione con tutti i tipi di pubblico, piace ai radical chic ed essendo teatrale e bravo a tenere la scena gli hanno fatto fare un programmino (orribile a mio avviso) su rai 3 "sostiene bollani"

Danilo Rea----->grossomodo i soliti motivi dei primi due (però che pianista però che è :) )

......Ecco ....Cafiso non è sicuramente un fenomeno da baraccone perchè (come tutti questi musicisti , chi più chi meno) le qualità ce l'ha ECCOME, anche perchè ragazzi....a 10 anni suonare la roba di charlie parker a quella maniera.....bisogna essere bravi su...c'è poco da dire....diciamo che però , il fatto di essere stato precoce l'ha messo molto in vista, forse più per la sua precocità che non per i contenuti della sua musica....e chiaramente questo ha attirato l'attenzione di Marsalis, della De Filippi (purtroppo :) ),di jovanotti, dei conduttori di san remo e compagnia bella.....
Il fatto che sicuramente ci sono fior di musicisti più bravi di lui che non hanno avuto lo stesso successo non deve indurre, secondo me all'invidia, tanto è così e fin'ora lo è sempre stato...non so se qualcuno di voi conosce Art Pepper....Art Pepper è stato uno dei più grandi altosassofonisti di tutti i tempi,uno che ti fa piangere quando suona, un suono che arriva dallo stomaco...dal cuore...diretto all'ascoltatore.... uno che ci metteva l'anima nella sua musica più di tanti altri che non avevano neanche un decimo delle sue qualità e che nonostante questo hanno avuto non 100 ma 1000 volte più successo di lui......nelle enciclopedie del jazz viene a malapena nominato e magari si soffermano su gente che non vale una cippa a confronto....

purtroppo è sempre stato così e sempre lo sarà.....
non esiste giustizia....esistono i gusti della gente....e spesso la gente non arriva a capire tante cose

Quale miles preferite? quello di kind of blue o quello di doo bop?? :)
eppure quello di doo bop ha avuto molto più successo....
E' così...punto....capisco che questo faccia rabbia a tanti di voi che magari sono musicisti professionisti
ma non ne vale la pena, è bravo ha delle qualità ma, per ora, non è niente di speciale sotto l'aspetto dei contenuti....evvabbene è così, ma non vale la pena provare invidia....
e poi c'è anche da dire un'altra cosa ragazzi.......
Si sarà lovanizzato adesso...magari prima era parkerizzato, poi konizzato, poi philwooodsato :D eccc...eccc......
però c'è anche da dire ragazzi.......che oggi come oggi...e non è proprio easy crearsi uno stile molto personale dopo che ci sono stati
charlie parker, johnny hodges, coleman hawkins, lester young, ben webster, johncoltrane, sonny rollins ,phil woods,lee konitz , art pepper, eric dolphy, massimo urbani, joe lovano, michael brecker, dave liebman, joe henderson, wayne shorter, jan garbarek, tim berne, stan getz,steve grossman, john zorn, phil woods, rosario giuliani,david sanborn, anthony braxton, david binney, greg osby, steve coleman ecc.....eccc..............eccetera................ ....
voglio dire.............e un è proprio semplicino trovare uno stile estremamente personale........per nulla!!! da qualcuno pigli sempre un po'.....non c'è verso....per quanto originale uno possa essere

e cmq non fatevi prendere dall'invidia perchè, anche se è legittimo ehhh, sia chiaro.....ma non ne vale la pena, meglio continuare a pensare alla propria musica e tirare dritto

Carlo
5th February 2013, 22:36
"Il mondo musicale è stato il terreno in cui questo fatto è diventato legge, e ha progressivamente emarginato chi non ce la faceva, premiando chi aveva doti tecniche, politiche e manageriali che gli consentivano di primeggiare in valutazioni oggettive, di mantenere alta la propria visibilità e di saper vendee dischi, anche se poeticamente non era granché."

Parole sante Zkalima

ais 72
6th February 2013, 02:50
grazie gene , storia davvero bellissima!!! e significativa!!!

gene
6th February 2013, 08:55
Mi fa piacere che tu l'abbia apprezzata ...... la grandezza di cercare di catturare un emozione e conservarla per sempre ........

Carlo
6th February 2013, 18:00
Davvero Gene!!! Bellissima storia!! grazie di averla condivisa

Carlo
6th February 2013, 18:23
Massimo Urbani era un altro che avrebbe meritato moooolto di più successo....credo che sia in assoluto il miglior sassofonista italiano di sempre, uno dei miei musicisti preferiti in assoluto... certo faceva le sue stronzxte che sicuramente l'hanno penalizzato molto...mio padre assistì ad un concerto di massimo urbani nel quale montò sul palco e poi scese dopo 4 minuti e scomparve per il resto della serata...sicuramente era per motivi di droga...mi ricordo il racconto di rava, di quando montò su una nava da clandestino per arrivare ad un concerto (in ritardo ovviamente...)...
....Certo faceva le sue stronzxte e le ha pagate....ma è anche vero che se vivessimo in un paese diverso, con una cultura diversa, e in un sistema diverso....avrebbe trovato il modo di uscire dalla droga e dai vizi che lo portavano fuori strada...ma quello che ha fatto resterà sempre...d'altronde come diceva Franco Mondini nelle note di interno copertina di "the Blessing"
"Massimo Urbani da quasi subito era solamente Urbani, IL Massimo."

Altro che Cafiso o Bollani....

Per chi non avesse mai letto l'articolo

Note di copertina del disco "The Blessing"

Massimo Urbani é morto per una overdose di eroina. Colto da un malore nella sua abitazione, in via Dati, nel quartiere di primavalle . dove viveva con tre fratelli e una sorella - dopo aver assunto una dose di stupefacente é stato trasportato nell’ospedale San Filippo Neri dove é deceduto.
Una morte annunciata, segnata dal fato, dalla cronaca, dall’indifferenza che fa soccombere il genio in questo mondo di cretini. Come un piccolo Mozart, Massimo Urbani aveva esordito nel suo mestiere appena sedicenne facendo stupire il mondo (segregato) del jazz con un linguaggio disinibito, libero sciolto assolutamente ispirato, mai accademico....un poeta in mezzo ai funzionarietti e alle mezzemaniche del jazz nazionale suonato, scirtto, organizzato. In questo paese dove i media si occupano delle tette al silicone della maggiorata di turno, dei capelli di di plastica del presentatore e delle laringi arruginite della moglie del funzionario, dove un concerto (concerto?) di (censura) ottiene le colonne che non ha mai ottenuto un concerto (concerto!) di Leonard Bernstein, Massimo Urbani era la vittima designata di un sistema culturale dove la cultura é assente.
L’overdose che lo ha ucciso gli é stata fornita dall’ignoranza, dall’indifferenza, dalla grettezza della società bottegaia, distratta e rozza, attenta solamente alle mode, alla volgarità del luogo comune, una società che si merita, altrove, le batoste di Tangentopoli, e, sempre altrove, il prevalere di un Leghismo urlatore, sbraitante, pericoloso. Ma pari responsabilità è attribuibile ai “soliti noti” che dominano la vita concertistica e festivaliera del jazz in Italia.
Urbani potrebbe essere il personaggio ideale per un racconto di Geoff Dyer (attualmente in vetrina con il suo bel libro “Natura morta con custodia di sax”) perché la sua musica, la sua anima paiono in perfetta simbiosi con lo spirito che anima quei tragici personaggi evocati da Dyer: Monk, Powell, Baker, Pepper, gli angeli neri della droga vissuta come rifugio per una schiera di guerrieri sconfitti dalla vita, vincitori sul piano morale nella guerra contro l’appiattimento della mediocrità, del servilismo. Tra le tante mezzemaniche del jazz italiano che a Natale spediscono accorate letterine al critico titolato (per accompagnare un sontuoso impianto Hi-Fi), Urbani era invece capace di mandare al diavolo anche chi gli sarebbe stato utile per migliorare una carriera, per apparire in un siparietto televisivo, per avere una copertina sulla rivista che conta, era fedele al suo primo modello, quel Charlie Parker che insieme con tanta musica ha sempre dato lezione di orgoglio, di virile coraggio. Un Jazzman anomalo, violento, solitario, in mezzo al perbenismo ruffiano che circola in questi ultimi anni. Ma urbani faceva musica con il cuore (e con la testa), gli altri hanno imparato la grammatica in stile Berklee e rimangono nel branco.
Massimo Urbani ha suonato accanto a molti importanti musicisti americani e italiani (Beaver Harris, Giovanni Tommaso, Luigi Bonafede, larry Nocella, Roberto Gatto, Danilo Rea, Chet Baker, Art Farmer, Jack De Johnette, Sonny Stitt, Phil Woods). Non gli era negato nessun traguardo: la fantasia sbrigliata, il gusto armonico, un senso ritmico impetuoso e raffinato, un orecchio sensibilissimo, una energia quasi rabbiosa gli consentivano di esplorare i più reconditi segreti del brano sul quale stava improvvisando.
Il suo modello agli esordi fu Charlie Parker, ma anche Sonny Stitt, Jackie Mclean, Ornette Coleman e Albert Ayler si annoverano tra i suoi maestri. Maestri ben presto abbandonati perché Massimo Urbani da quasi subito era solamente Urbani, IL Massimo.

Franco Mondini (articolo scritto per La Stampa di Torino il 25.06.93)

Carlo
12th February 2013, 20:17
Ci tengo a precisare che quando ho detto
"altro che cafiso o bollani" cmq non era assolutamente per screditare questi artisti, ma solo per dire che Massimo Urbani è veramente un poeta...tanti "gradini sopra" la media...niente vieta che un giorno cafiso si avvicini alla sua grandezza visti i suoi ventanni.....anzi.....
suonare così non è proprio da tutti

https://www.youtube.com/watch?v=3-o9a8urVUY

Direi che è veramente NOTEVOLE!!!!!!!!!!!!!! Quest'assolo poi è veramente ECCEZIONALE!
Però è chiaro che è comunque...e ovviamente..... una promessa per ora