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Visualizza Versione Completa : Differenze fra saxofonista classico e jazz nello studio



cagliostro70
3rd July 2012, 12:04
Stavo seriamente pensando di interrompere per un anno lo studio del sax "jazz" e concentrarmi su uno studio più "classico", questo principalmente per migliorare la lettura, emissione più pulita, migliore tecnica di esecuzione. Ma mi sono reso conto che ignoro se la mia idea di differenza fra i due metodi di studio sia corretta o meno.
Chi mi illumina in proposito??

tzadik
3rd July 2012, 13:48
Personalmente non credo che cambiare il "contenuto" di quello che studi... ti aiuterà automaticamente a migliorare la lettura, l'emissione e la tecnica.
Sono cose che dipendono solo ed esclusivamente dalla pratica... poi ovviamente bisogna studiare le "cose giuste", che poi alla fine sono indipendenti dal "linguaggio" ("classico" e "jazz"): sono esercizi, punto.
Poi cambierà il modo in cui li applicherai.

Non fare l'errore di pensare che nel "sassofono jazz" non si studi "lettura", "emissione" e "tecnica".

cagliostro70
3rd July 2012, 13:50
infatti al mia idea era di studiarle DI PIU' di quanto non sto già facendo in questi anni (come studente dei corsi "jazz") e con un approccio diverso. Sbaglio?

tzadik
3rd July 2012, 13:56
Diciamo che nell'iter di studio di "sassofono jazz" a certe cose ci arrivi in gran parte per "via indiretta".
Nella didattica del "sassofono classico" ci arrivi in "via diretta".

Ci sono ovviamente pro e contro per entrambe le modalità. :zizizi))

cagliostro70
3rd July 2012, 14:00
mettiamola in maniera più diretta (spero di non sactenare una guerra):
qual'è la differenza precisa fra un saxofonista classico ed un jazzista?

tzadik
3rd July 2012, 14:05
La differenza (finale) è "linguaggio". :zizizi))

KoKo
3rd July 2012, 14:06
le cose che hai elencato fanno parte del bagaglio tecnico che prescinde dal genere suonato, non è che uno sassofonista jazz non sappia leggere o abbia una tecnica peggiore. Secondo me la tecnica è una a prescindere da quello che si suona, poi il linguaggio che decidi di approfondire è discorso diverso...
la differenza è proprio li, nel linguaggio...

cagliostro70
3rd July 2012, 14:22
linguaggio=repertorio o anche come lo si esegue?

phatenomore
3rd July 2012, 14:25
Se vuoi suonare il jazz, interrompere per studiare la classica non ti aiuta quasi per nulla. C'è talmente tanto da studiare nel jazz... dipende da quanto e come lo studi.

Linguaggio = Linguaggio, niente a che fare col repertorio.

cagliostro70
3rd July 2012, 14:36
linguaggio jazz e linguaggio classica... :BHO:

ES. (il primo che mi viene in mente) Paul DESMOND ha un linguaggio da jazzista o da musicista classico?

re minore
3rd July 2012, 14:47
da jazzista.

smoketrains
3rd July 2012, 16:26
personalmente credo che ci sia molta diversità fra l'affrontare lo studio della musica classica e la musica jazz.
studiare classico non implica tentare di capire i meccanismi della musica e va più sulla tecnica, un suono piatto con pochi armonici, accenti diversi (1 quarto forte, 3 quarto semiforte, 2 e 4 quarto piano), niente swing, cura nella lettura delle partiture (legature, punti di staccato, crescendi, e via dicendo), ed attenzione al suonare assieme sotto la direzione di un direttore.
studiare jazz è un po il contrario, la musica diventa matematica per capire un po come fare calcoli assurdi in un'improvisazione, il suono te lo scegli tu (l'impostazione del suono no, of course) e ci devi "giocare su", gli accenti sono diversi, si affronta la poliritmia, le partiture spesso sono prive di particolari notazioni da seguire (rispetto ala classica), suoni assieme ad altri senza direttore (a parte lebig band).

la musica è una, e non credo ci siano sostanziali differenza fra la musica classica e la musica jazz (lo hanno affermato persone più autorevoli di me), ma il loro persorso di studi è molto diverso, ed il risultato finale pure (un grande musicista classico esegue alla perfezione uno spartito, ma ad improvvisare avrà alcuni limitucci, un grande musicista jazz non ha bisogno dello spartito per suonare su qualsiasi brano, ma non potrà eseguire agevolmente uno spartito di musica classica).

cagliostro70
3rd July 2012, 17:02
grazie Smoke, questo hai espresso in maniera chiara quella che è la mia idea sulla differenza fra i due tipi di studio

KoKo
3rd July 2012, 17:12
in realtà ha mischiato diversi discorsi e a mio parere ha espresso come suonare male sia jazz che classica =)

i "meccanismi" della musica li devi capire a prescindere dal genere che vuoi suonare, un suono piatto e con pochi armonici è un suono brutto e basta (non un suono classico), accenti e swing fanno parte del linguaggio appunto, far attenzione a suonare assieme è una prerogativa della musica tutta (che ci sia il direttore o meno).

la poliritmia è in tante musiche (anche in tanta musica classica).

inzomma, se quello che vuoi è migliorare la tecnica (è quello che mi sembrava di capire dal tuo primo post) non c'entra il genere di musica che vuoi suonare. Se invece parli di linguaggio e ti interessa approfondirne uno in particolare il discorso è diverso =)

phatenomore
3rd July 2012, 17:20
Ho conosciuto jazzisti in grado di leggere partiture assurde a prima vista a 350 di metronomo.

~Torque~
3rd July 2012, 19:35
L'ideale sarebbe imparare, studiare, comprendere, interpretare ogni linguaggio e genere! Perché al di là di questi due principali per il nostro magico strumento le sfumature da vedere sono moltissime... credo che un sassofonista può dire di esser passato ad un livello successivo quando ha acquisito i vari generi (blues, jazz, sinfonica, operistica, swing, pop, funk, latino, etc.) e riesce ad interpretarne ciascuno nel suo modo!

E' un lavoraccio, ma abbiamo un intera vita per darci dentro...

weseven
3rd July 2012, 20:05
per la lettura:
leggi cose nuove, cose che non conosci nemmeno vagamente, soprattutto. tanta lettura a prima vista. pure solfeggio aiuta (se sei limitato dalla pronuncia delle note, usa solo le vocali della nota).
per la tecnica:
esercizi di tecnica son sempre quelli, scale, arpeggi, salti vari e nelle varie tonalità. studiati a metronomo e cambiando sempre le legature.
per l'emissione:
note lunghe, e suonare, con tutte le dinamiche...

questo è quello che tento di fare nel mio piccolo, dubito questi esercizi mi saranno superflui per ancora molto, molto, molto tempo :)

ModernBigBand
4th July 2012, 15:42
Il metodo di studio, pur applicato a linguaggi diversi, è sempre il solito e non può essere stravolto per il semplice fatto che si tratti di volta in volta di musica classica, jazz, pop, rock, sacra, indù o marziana...

Per acquisire una corretta tecnica saxofonistica bisogna necessariamente passare attraverso 2 capisaldi:

- creazione e sviluppo del suono
- sviluppo della tecnica "digitale"

Ovviamente detta in questi termini può apparire una considerazione banale e scontata, in realtà lo studio "tecnico" dello strumento è tutto condensato lì dentro (la contestualizzazione, il tipo di repertorio, la filologia, ecc... sono un mondo a parte che in questa sede non ci interessa).
Nella classica come nel jazz è necessario sviluppare il suono dello strumento e l'unica differenza è nella tipologia di sonorità da ottenere, ma le basi e la via per raggiungere l'obiettivo sono del tutto comuni.
Per quanto riguarda la tecnica "digitale" il discorso diventa ancora più semplice visto che non esiste una tecnica jazz o una tecnica classica, ma soltanto la tecnica saxofonistica che è di per sé universale.
Il punto è che quando si studia senza un obiettivo preciso o comunque non si affronta lo studio dello strumento in maniera canonica, si finisce sempre per tralasciare alcuni aspetti fondamentali e questo crea prima o poi degli handicap difficili da superare.
Il vero problema è il modo di approcciarsi allo studio.

Ti faccio 2 esempi classici:

- generalmente il saxofonista jazz amatoriale, non appena riesce a fare 2 note in croce, si butta a capofitto nella lettura degli standards e nei primi tentativi di improvvisazione. Nella stragrande maggioranza dei casi tralascia la parte relativa alla tecnica mentre il suono è di qualità mediamente scadente (questo perché spesso si ha l'idea distorta di voler emulare il suono di grande jazzista senza sapere come quel suono in realtà viene prodotto). In particolare:
Uno degli errori principali è utilizzare setup non ancora adeguati alle proprie possibilità, es. l'Otto Link di Coltrane, il Guardala di Brecker, il Dukoff di Sanborn, ecc... "perché lo usavano loro". Va bene cercare di emulare il proprio idolo, ma bisogna farlo con cognizione (ergo...non è mettendo una Ferrari in mano al primo brocco che passa che crei il nuovo campione del mondo).
Un altro errore piuttosto grossolano è lo studio quasi esclusivo degli standard. Questo tipo di studio va bene al pari del suonare sui dischi o dell'improvvisazione, ma per sistemare alcune problematiche tecniche è necessario anche uno studio di tipo "metodico" (da intendere in entrambe le accezioni).

- il saxofonista "classico" amatoriale invece ha di solito una capacità di lettura che va dal sufficiente al discreto perché studiando sui metodi è in qualche modo costretto a leggere sempre cose nuove. Tuttavia anche qui ci sono sovente carenze dal punto di vista del suono, suono che spesso è piccolo, privo di armonici e di proiezione. E non parliamo poi di altre problematiche come lo sviluppo del senso ritmico, dell'orecchio musicale, ecc...

In definitiva, come già anticipato più su, non è tanto determinante il "cosa" si suona ma il "come": in qualsiasi routine di studio dovrebbero essere contemplati tutti gli esercizi indispensabili (da affrontare con rigore) per lo sviluppo di una solida tecnica strumentale
Il passo successivo è arrivare ad avere la consapevolezza di ciò che si fa e del punto in cui ci si trova, in modo da riuscire ad orientare i propri sforzi nella direzione desiderata.
Volendo potremmo approfondire, ma se non si parte dalla considerazione che è necessario impostare/utilizzare un "metodo" non si va lontani... ;)

cagliostro70
4th July 2012, 21:20
Grazie Moder, esauriente e preciso come sempre

smoketrains
5th July 2012, 12:03
Il metodo di studio, pur applicato a linguaggi diversi, è sempre il solito e non può essere stravolto per il semplice fatto che si tratti di volta in volta di musica classica, jazz, pop, rock, sacra, indù o marziana...

.......


io personalmente non mi trovo d'accordo.
e non sul discorso, ma sulle sue conclusioni.
per la costruzione del suono e lo sviluppo della tecnica digitale, ci vuole studio, ed è di questo che a mio avviso si sta parlando, poi se mi sbaglio correggetemi.
ed affrontare lo studio classico porta ad un suono nettamente diverso da quello di uno studio di altri generi musicali, jazz o meno.
vero che i fondamentali, l'approccio allo strumento, è universale: non è che l'impostazione generale allo strumento è diversa, ma è lo studio specifico che "setta" l'allievo su un utilizzo specifico dell'impostazione generale (il diaframma, l'imbocatura, e tutto quello che riguarda l'emissione è universale, ma lo studio di uno specifico ambito musicale porta ad utilizzare l'impostazione generale in un determinato campo)
stesso discorso per la tecnica digitale: la tecnica è universale, dal liscio al jazz, alla musica latina alla musica classica, la tecnica digitale di per se è un concetto che non ha confini, ma nello studio specifico di alcuni ambiti si riscontra, secondo me, maggior attenzione rispetto ad alcune caratteristiche che ad altre: nella musica classica, per esempio, gli spartiti son pieni di annotazioni oltre alle note, legati, stacati, abbellimenti, dinamiche, ecc. ecc., mentre negli spartiti jazz questa notazione quasi è assente. ciò non vuol dire che un jazzista non sia preparato a tali aspetti, ma che nello studio, nel percorso di studi, si affrontano diversamente queste cose.

alla fine degli studi (o ance nel corso di essi), la competenza acquisità può permettere di evolvere in maniera personale da un genere all'altro, ma al di fuori del percorso studentesco: non credo che un clarinettista al 7 anno di conservatorio abbia suonato mai (all'esame di fronte ai professori) il concerto di carl maria von weber con un sound prettamente jazzistico, anche se magari nel suo privato ascolta e suona solo swing o latino o rock o blues.

ModernBigBand
5th July 2012, 12:57
Ma è assolutamente normale che ambiti diversi richiedano linguaggi e quindi percorsi diversi, ma qui stiamo parlando delle basi della tecnica che invece sono universali e comuni.
Note lunghe, suoni armonici, scale, arpeggi, esercizi per la lettura, esercizi per l'orecchio, cura dell'impostazione, della respirazione, dell'emissione, ecc... sono la base comune per ogni saxofonista: è chiaro poi che, arrivati ad un certo punto, diventa necessario diversificare l'approccio allo studio in modo da focalizzare l'attenzione sulle caratteristiche precipue del genere affrontato.
Il punto è che chi affronta lo studio da autodidatta generalmente finisce per studiare in maniera parziale, tralasciando quindi aspetti molto importanti per un corretto e globale sviluppo della tecnica. ;)

smoketrains
5th July 2012, 14:57
si, su quesrto la penso uguale, di solito la "fase preliminare" viene molto presa alla leggera e con noia un po da tutti, ma quando sei sotto un insegnante sei costretto a farla ed alla fine (dopo) capisci (ed apprezzi) pure il suo perchè, mentre spesso quando si è autodidatti non la si comprende troppo bene e si tende ad abbandonarla il più presto possibile per passare ad esercizi "più divertenti".
ed è un errore molto difficile da recuperare in seguito, perchè ancor peggio quando si ha una certa dimestichezza con lo strumento, sofermarsi per riparare una impostazione sbagliata con note lunghi, esercizi col solo bocchino, armonici, oltre a venir preso come "esercizio inutile di una pallosità estrema" è anche avvilente.

hi

seethorne
8th July 2012, 15:32
in realtà ha mischiato diversi discorsi e a mio parere ha espresso come suonare male sia jazz che classica =)

sono d'accordo =)

in particolare, quel "suono piatto privo d'armonici" non serve nemmeno nella classica.

bb
18th July 2012, 09:41
Le differenze ci sono e sono notevoli.
E' anche un po' difficile parlarne via web...è un argomento delicato e serio.
Io posso dirti che professionalmente mi considero un jazzista, ma credo che un diploma sia un attestato di professionalità e di cultura musicale che oggi un professionista debba avere, quindi mi sono anche diplomato da privatista al Conservatorio.
Capacità di esecuzione tecnica, lettura a prima vista (con e senza trasporto) sono cose che il musicista deve avere punto e basta e non dipendono dallo stile musicale verso cui è orientato.
Cio' che cambia è il percorso tra i 2 stili musicali ,ovviamente è possibile fare ambedue le cose, ma secondo me a 2 condizioni.

1 Bisogna avere molto tempo per studiare e farlo ogni giorno, almeno 4 ore
2 Ad un certo punto bisogna scegliere (magari dopo il diploma , almeno avremo "messo un punto a livello di avere un titolo") cosa ci interessa di piu' e quindi come vogliamo specializzarci come musicisti.

Se infatti andiamo in profondità e scaviamo nella musica l'essere un bravo professionista di uno o dell'altro orientamento va ben oltre il percorso tecnico.
Nella classica ad es, c'è un'infinità di repertorio da studiare , praticamente per come la vedo io il diploma è l'inizio, non l'arrivo.
Nel jazz anche , per essere un discreto professionista dovremmo scavare bene nel fraseggio, trascrivere soli, studiare l'armonia, e fatto molto importante, anche qui costruirci un repertorio di almeno un centinaio di standards a memoria.
Poi esistono percorsi ibridi, cioe' musicisti che suonano in senso "moderno" e non spiccatamente jazz, o anche sassofonisti che navigano nel mondo classico, ma non sono esecutori o solisti spiccatamente di quell'estrazione.
Ovviamente ognuno deve seguire cio' che sente, cmq le differenze ci sono e piu' che rilevanti!
Inoltre anche riguardo alla tecnica i set up utilizzati sono diversi e la specificità della tecnica è diversa, il modo di articolare le frasi e di stare sul tempo è molto diverso.