PDA

Visualizza Versione Completa : Cosa ne pensate del jazz europeo?



juggler
22nd October 2007, 00:42
Vorrei lanciare un sondaggio sul Jazz Europeo e strutturarlo su delle "tracce"....che ognuno di voi può scegliere e...."improvvisare"....

1) Quando/come/perchè ritenete o no che si possa parlare di jazz europeo.

2) Linee di demarcazione: analogie/differenze/convergenze col jazz afro-americano.

3) Linee di sviluppo: rapporto scrittura-improvvisazione

4) Linee nazionali: musicisti/gruppi/lavori significativi - apporti, collaborazioni, differenze

Intervenite numerosi...

juggler
20th November 2007, 00:16
Silenzio...piu' di 100 visite a questo topic...silenzio...forse qualche ascolto può farvi venire un po' di...favella...

http://it.youtube.com/watch?v=FVsm3uZJ4cg

http://it.youtube.com/watch?v=-8gJmX1aemI

http://it.youtube.com/watch?v=PBzk9hkRT-c

http://it.youtube.com/watch?v=fcQjRFwEBUQ

http://it.youtube.com/watch?v=LKQTzW7CE8I

http://it.youtube.com/watch?v=cwnzVjq3_Jk

http://it.youtube.com/watch?v=L4bWaeA64Mw

http://it.youtube.com/watch?v=4P5raW49kQM

http://it.youtube.com/watch?v=dNp1W_MKQfY

http://it.youtube.com/watch?v=8kQ_-p4m_xw

http://it.youtube.com/watch?v=ocNsHpG5T10

E ancora...

http://it.youtube.com/watch?v=B4UM2pi1irY

http://it.youtube.com/watch?v=gNI_RahWC0M

http://it.youtube.com/watch?v=38c1S6cTvII

http://it.youtube.com/watch?v=ObwWMIUcjXw

http://it.youtube.com/watch?v=PBFan0Hva9Q

http://it.youtube.com/watch?v=prifI0oqLw8

http://it.youtube.com/watch?v=GfA3AkzLJqk

http://it.youtube.com/watch?v=Tq6iZ24PgX0

http://it.youtube.com/watch?v=r21206DbBaE

3rd December 2007, 22:51
Ciao
Questa questione d* per scrivere lungo, e io non sono nessun esperto, per questo meglio facciamo una brevissima sintesi. Secondo me, si può dire che il jazz europeo è nato in Francia (adesso cominciavano a sentirsi gli effetti della globalizzazione culturale, ma benvenuta sia in questo caso, hehehe). Chi no ha ascoltato il quintetto del Hot Club de France di Django reinhardt e Stèphane Grapelli agli anni trenta? più tardi, agli anni cinquanta, dopo la seconda guerra mondiale e l’esplosione del Be Bop, quasi tutti i jazzmen europei adottarono lo stilo americano, per a, fino agli anni settanta, andare un po` indietro dalle loro tendenze americane. Dopo di questo, un sacco di musicisti enormi, come John McLaughlin (chitarra), Martial Solal (pianoforte), Michel Portal (sax), Michel Petrucciani (pianoforte), ecc, cercarono di demarcarsi di quelle tendenze facendo un jazz personale e possibilmente più rockero che quello che si faceva all’America…
Ora, dopo di mostrare la mia magnifica capacit* di sintesi hehehe, boh, che dire… sto un po’ disconnesso degli novi musicisti e tendenze e sono in pieno viaggio indietro fino gli anni dello blues e lo Rag Time. Adesso sto con il gran Dexter Gordon, uno degli più grandi boppers.

Saluti

Martine

3rd December 2007, 23:00
Ma, cosa pensi tu dello jazz italiano?
Ho ascoltato un po' Enrico Pieranunzi e Pietro Tonolo, ma non abbastanza come per potere farmi un'idea giudiziosa. Forse mi può dire qualcosa sul questo tema.

Sax O' Phone
5th March 2008, 18:39
Rivitalizziamo questo thread! mi sembra interessante!
Ottima sintesi di Martine!
Aggiungerei qualche nome di contemporanei Europei, in ordine sparso:
Eberhard Weber, Edward Vesala, Jan Garbarek, Scott Hamilton, Tomasz Stanko, Bobo Stenson, Alexander Von Schlippenbach, John Surman...
A mio avviso tutti grandissimi compositori e strumentisti! Forse la cosa che appare più interessante ascoltando la loro musica, è che hanno un approccio più svincolato dai canoni del mainstream attuale (Hard Bop); mi sembra che il jazz europeo abbia fatto tesoro delle esperienze del jazz (dal New Orleans al Free), e che si sia lasciato colorare dalle estese e profonde radici culturali della musica Europea, incluse il folk popolare nordico, o la musica colta degli ultimi secoli.
In particolare ho l'impressione che i musicisti europei che hanno abbracciato l'idioma Jazz abbiano quasi tutti una grande conoscenza musicale che proviene dalla tradizione classica, in particolare per l'uso dello strumento. Pensate che il Jass Creolo di inizio del '900 era suonato da musicisti che per lavoro erano in grandi orchestre sinfoniche o d'opera; quando a New Orleans subentrarono le leggi razziali, questi musicisti si ritrovarono emarginati, e costretti ad adattarsi a suonare in ambienti ben diversi, segregati, quindi a suonare musiche da ballo, con poliritmie di origini africane e le influenze del Blues provenienti dal Delta del Mississipi...
In USA, come anche in Eu, ora esistono molte scuole specifiche di Jazz, il che può essere un gran bene, innalzando la qualit* esecutiva degli strumentisti, ma allo stesso può diventare limitativo se i musicisti non si lasciassero influenzare anche da altre forme ed idiomi per poi reinterpretarle (impara l'Arte e mettila da parte)...
In Italia ci sono sicuramente ottimi musicisti Jazz tra i quali: Dado Moroni, Enrico Rava, Giorgio Gaslini, Franco Ambrosetti, Paolo Fresu, il giovane talento Francesco Cafiso, il compianto Massimo Urbani... Il problema è che in Italia la cultura della musica è veramente un ... disastro! e la cosa fa ancor più rabbia se si pensa alla grande tradizione musicale di questo paese! Se negli USA i giovani ragazzi prendono in mano uno strumento gi* alle elementari (da Armstrong a Coltrane), qui gli insegnanti di musica nelle scuole pubbliche hanno ben altri grattacapi da affrontare, oltre all'assoluta ignavia ed arroganza dei giovani 'studenti'!

Lanjazz
5th March 2008, 18:53
Pieranunzi, Rava, Fresu, Tonolo pianista, Tonolo saxman, Bollani, Gatto(ha vinto il premio come miglior batterista l'anno scorso), Antonello Salis, ecc ecc.... Senza sprecare tante parole, la crema della crema è a casa nostra.... e poco lontano Petrucciani non ha e non avr* mai un degno rivale, per l'eternit* e in qualunque dimensione.....

Sax O' Phone
12th March 2008, 20:12
Dici bene: Petrucciani è grandioso! La Francia ha una profonda tradizione jazz, e non a caso i musicisti Americani che hanno vissuto in Europa se ne stavano/stanno lì. Django Reinhardt e Grappelli (The Hot Club Of France Quintet) hanno piantato il seme (e Grappelli veniva dall'Accademie)... Anche se in Italia il professionismo jazz si è sviluppato solo in seguito, ora vi sono sicuramente molti musicisti di grande talento: ascoltavo ora Cocco Cantini (http://www.saxforum.it/forum/viewtopic.php?f=37&t=3871) che non conoscevo, e sono rimasto folgorato dalla sua bravura e raffinatezza tecnica. Ma.... remma! :saxxxx)))

juggler
18th March 2008, 02:34
Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo...il termine "jazz europeo" oggi non ha piu' senso...se non nell'identificare quella stagione (grosso modo fra il 1964 e gli anni '70) in cui certi musicisti europei cercarono di "liberarsi" del grosso fardello della propria lunghissima e densissima tradizione culturale e musicale per avventurarsi nei meandri della libera improvvisazione...quasi facendo da contraltare e forse un po'..."marameo"... alla cultura accademica del tempo, dominata da una massa sterminata di serialisti, strutturalisti...in Italia Berio, Nono, Rotondi...in Germania Stockhausen ecc.
Il jazz, oggi, è una sorta di "nouvelle" arca di Noè...in cui sono "imbarcati" musicisti con tendenze e orientamenti tra i piu' svariati che vanno dalle lusinghe piu' commerciali (lounge, nu jazz, smooth jazz ecc.), agli afecionados dei bei tempi andati (swing, bop, mainstream ecc.) alla "proto-avanguardia postuma" alle sedicenti/seducenti attrattive offerte dalla world music "riveduta e corretta"... Mi dispiace deludere i "laudatores temporis acti"...ma purtroppo quando un orientamento creativo, un modo di percepire la musica ma anche la vita quale era il jazz dei bei tempi...diventa materia accademica vuol dire che la sua funzione storica è stata assolta... tutto ciò prodotto diventa "rieseguibile", "rifruibile" al pari di una partitura di Mozart, Prokofiev ecc. perchè se ne è ricavato un metodo, delle regole, delle funzioni esecutive ovvero una tradizione che comporta la standardizzazione delle performances perchè è "così che si fa..." Insomma, come non si può "reiventare" nulla risuonando eternamente la V^ di Beethoven come "Blue Monk"!!!
Altri approfondimenti riguardanti il "jazz europeo" li affronterò in prossimi post...non vorrei che scada il tempo...e...

Sax O' Phone
18th March 2008, 16:30
Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo...il termine "jazz europeo" oggi non ha piu' senso...se non nell'identificare quella stagione (grosso modo fra il 1964 e gli anni '70) in cui certi musicisti europei cercarono di "liberarsi" del grosso fardello della propria lunghissima e densissima tradizione culturale e musicale per avventurarsi nei meandri della libera improvvisazione...quasi facendo da contraltare e forse un po'..."marameo"... alla cultura accademica del tempo, dominata da una massa sterminata di serialisti, strutturalisti...in Italia Berio, Nono, Rotondi...in Germania Stockhausen ecc.
Per il ritardo non sei scusato! Oltre i 10.416 .beats in web tempo accademici gli studenti sono giustificati nel lasciare l'aula! ;) Dici delle cose molto vere, ma in un modo, scusami, assolutistico, e vale anche per ciò che segue delle tue considerazioni. Si percepisce che hai una profonda conoscenza del soggetto, ma mi sembra che tu abbia sviluppato una certa intransigenza, senza tener conto, IMHO, delle motivazioni e passioni personali dei musicisti coinvolti in questa forma espressiva. Lo so, sarebbe forse troppo lungo e complesso il discorso, dovendolo affrontare nei dettagli per ogni singolo musicista attivo...

Il jazz, oggi, è una sorta di "nouvelle" arca di Noè...in cui sono "imbarcati" musicisti con tendenze e orientamenti tra i piu' svariati che vanno dalle lusinghe piu' commerciali (lounge, nu jazz, smooth jazz ecc.), agli afecionados dei bei tempi andati (swing, bop, mainstream ecc.) alla "proto-avanguardia postuma" alle sedicenti/seducenti attrattive offerte dalla world music "riveduta e corretta"...
Anche qui, pur condividendo in pieno la tua analisi, per me è difficilissimo esprime giudizi: dato il presupposto che la musica Jazz nasce dalle influenze poliritmiche e dai cantastorie Africani, unite alla struttura armonica tonale, si dovrebbe fare un'analisi filologica dell'idioma, per confermare o negare l'appartenenza del dialetto a quell'idioma, appunto.

Mi dispiace deludere i "laudatores temporis acti"...ma purtroppo quando un orientamento creativo, un modo di percepire la musica ma anche la vita quale era il jazz dei bei tempi...diventa materia accademica vuol dire che la sua funzione storica è stata assolta... tutto ciò prodotto diventa "rieseguibile", "rifruibile" al pari di una partitura di Mozart, Prokofiev ecc. perchè se ne è ricavato un metodo, delle regole, delle funzioni esecutive ovvero una tradizione che comporta la standardizzazione delle performances perchè è "così che si fa..." Insomma, come non si può "reiventare" nulla risuonando eternamente la V^ di Beethoven come "Blue Monk"!!!
Parole Sante! A conferma di quanto dici c'è l'anèddoto di Beethoven che preso un proprio foglio di musica durante un concerto, lo rovesciò ed improvvisò un'intera composizione su questo nuovo tema. L'improvvisazione non appartiene solo al Jazz, ma faceva parte anche della cultura musicale Europea. Nel jazz l'improvvisazione (rif. Paul Berliner, Thinking In Jazz: The Infinite Art Of Improvisation) rimane comunque una caratteristica strutturale fondante: in questa il vero artista, pur potendo citare frasi o addirittura semplici battute di altri artisti, deve esprimere i propri concetti! proprio come nel linguaggio si condividono le parole e la costruzione grammaticale, ma quando si usa si esprimono i propri pensieri relativi all'argomento, nel jazz questo è il tema o la melodia. Per continuare nell'analogia, potrei imparare a memoria l'orazione funebre di Antonio dal Giulio Cesare di Shakespeare ed usarla, che so, al funerale del mio gatto, ma questo non giustificherebbe il mio essere Antonio e tanto meno l'essere del mio gatto (Cesare): ovvero, il tempo ed il contesto vanno contemplati e valutati su solide conoscenze.

Altri approfondimenti riguardanti il "jazz europeo" li affronterò in prossimi post...[...]
Non avevo capito che questo thread fosse una trappola per noi ignoranti :lol: dove avremmo dovuto subire le taglienti lezioni del ns dotto giocogliere :!: :zizizi))

juggler
23rd March 2008, 03:09
Si possono accettare tutte le polemiche, anche le piu' feroci, perchè ciò fa parte della dialettica e scambi di visioni fra individui...ma non si possono proiettare su persone che non si conoscono intenzioni in modo paranoide e strumentale con toni ridanciani e da megalomane!
Sax'O...prima di vedere "trappole immaginarie" come un novello Don Chisciotte...dovresti vedere quelle in cui ti cali da solo
senza il complotto di chicchessia...Gi* nel post "Algoritmo del Jazz"...circa l'aforisma di Lacy su composizione e improvvisazione...hai citato Gil Evans...proponendo la lettura di un'intervista a Bill Evans (proprio la stessa cosa...) visto che ti trovavi potevi citare anche Bill Evans (saxman)...William Evans (alias Yuseef Lateef) e perchè no...a quel punto anche Zorro, Mazinga Z e Moana Pozzi...con conclusione finale di Pat Evans, povero nero sfigato della Bowery, che quando è fatto di efedrina ed alcool lancia aforismi musicali contro il cielo! Faresti bene prima di "sparare" citazioni e parole a casaccio...a far silenzio fra il rumore dei tuoi pensieri...per ridare qualche connotazione di senso agli stessi!
Riguardo alle accuse, poi, di assolutismo e intransigenza...quel periodo (anni '60/70) erano anni in cui si viveva come sulle barricate...c'era stato il '68...sono seguiti gli anni di piombo...allo stesso modo nelle Accademie musicali e soprattutto nei Conservatori italiani...il jazz era considerata una musica da night, da balera, volgare e non degna di alcuna considerazione...
Gaslini (che mai si finir* di ringraziare...) dovette subire l'umiliazione piu' volte di non essere neanche ascoltato quando andava a proporre corsi di jazz nei Conservatori...il M° Fasano che alla fine degli anni '60 diventò direttore del Conservatorio S.Cecilia, gli propose di aprire un Corso sperimentale di Musica Jazz che ebbe un successo straordinario...con una cinquantina di iscritti e parecchie migliaia di uditori, fra i quali c'erano Urbani, Giammarco, Vittorini, Liguori...giusto per citarne alcuni...dopo qualche anno, diventò direttore Iacopo Napoli (c'è un suo testo orribile di armonia che ancora viene usato nei Conservatori) e incurante del successo del corso lo soppresse senza troppe discussioni... Non ho espresso giudizi di merito su nessun musicista, ma sintetizzato la temperie di un epoca...
Riguardo alla tua definizione sulla nascita del jazz...potevi usarne una piu' aggiornata...quella che citi è vetusta e superata...potrebbe essere applicata anche a quanto è successo musicalmente in Africa...ma in Africa, non è successo nulla di paragonabile ad una 3^via chiamata jazz o a qualcosa ad essa assimilabile...l'esegesi della nascita del jazz è un rompicapo sul quale ancora dibattono fior di studiosi e musicologi...una delle ragioni è che ancora non si riesce a stabilire con esattezza in che modo fra gli afro-americani c'è stato il passaggio dalla musica vocale a quella strumentale...e poi l'Africa è un continente...quali sarebbero questi africani di cui parli? L'Africa ha grandi tradizioni musicali e molto diversificate fra loro...
E poi ciò che affermo sul jazz di oggi...non è un'analisi ma una constatazione...basta confrontare le locandine di Umbria Jazz
della fine anni '70, primi '80..con quelle delle ultime edizioni...è un intero mondo che è cambiato e modi di considerare quella musica chiamata jazz o che si insiste a chiamare ancora così...
Ti "intruppi" troppo facilmente da solo perchè qualcuno possa tenderti...delle trappole...sei troppo abile a creartele da solo!

zeprin
23rd March 2008, 03:57
Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo...il termine "jazz europeo" oggi non ha piu' senso...

Probabilmente ha solo cambiato di significato, quello che era un distinto movimento musicale nel peiodo specificato, e' diventato in linea di massima un termine quasi geografico, viene spontaneo (e lo faccio anche io dall'alto della mia ignoranza) attribuire nomi e personaggi anziche' specificare un prorio stile musicale.
Non so voi se sento Tonolo e Redman cerco di capire dove vogliono arrivare e se mi piace quello che fanno, non sono in grado e non mi interessa neanche dire "Ah questo si che e' europeo" o altro.



purtroppo quando un orientamento creativo, un modo di percepire la musica ma anche la vita quale era il jazz dei bei tempi...diventa materia accademica vuol dire che la sua funzione storica è stata assolta... tutto ciò prodotto diventa "rieseguibile", "rifruibile" al pari di una partitura di Mozart, Prokofiev ecc. perchè se ne è ricavato un metodo, delle regole, delle funzioni esecutive ovvero una tradizione che comporta la standardizzazione delle performances perchè è "così che si fa..." Insomma, come non si può "reiventare" nulla risuonando eternamente la V^ di Beethoven come "Blue Monk"!!!


Il "cosi' che si fa..." inteso forse come applicare principi come ad esempio L'Aebersold e solo un modo per partire, nessuno e' nato "mostro", anche quelli bravi hanno avuto bisogno di guide, esperienze e punti stabili.
Parker ha iniziato suonando su Pres e Hawkins, poi ha sviluppato il suo linguaggio e guarda dove e' arrivato.
Coltrane non ha avuto vita facile con il primo quintetto di Davis, critici e fans chiedevano a Davis la sua testa, in seguito e' maturato velocemente come la pianta della piccola bottega degli orrori.
Anche oggi chi inizia a improvvisare guarda al passato, perche' per capire dove vuoi andare devi capire da dove vieni.
C'e ancora tanto da dire e ascoltare, io a livello di ascolto e di modernita' mi fermo al free e all;ultimo Coltrane, quello che e' venuto dopo onestamente faccio fatica a digerirlo ma ci sto provando.
I musicisti di oggi hanno guadagnato strumenti meccanicamente migliori, infiniti modi di apporofondire nozioni e insegnamenti ma purtoppo per loro le possibilita' di avere esperienza sul campo sono ben piu' scarse di una volta.
Prendi per esempio la foto di "A great day in Harlem", credo che quello sia stato in termini di popolarita' l'apice raggiunto dal jazz,dopo di quello un lento declino in termini di popolarita' e purtoppo l'associazione per il grande pubblico di Jazz = musica elitaria.

Adesso basta scrivere, perche' la musica va suonata + che parlata..
Ciao

23rd March 2008, 11:04
...dopo qualche anno, diventò direttore Iacopo Napoli (c'è un suo testo orribile di armonia che ancora viene usato nei Conservatori)

Mamma mia quanto hai ragione...quel testo fa davvero ridere...!!

Sax O' Phone
23rd March 2008, 16:26
Si possono accettare tutte le polemiche, anche le piu' feroci, perchè ciò fa parte della dialettica e scambi di visioni fra individui...ma non si possono proiettare su persone che non si conoscono intenzioni in modo paranoide e strumentale con toni ridanciani e da megalomane!
juggler, tieni conto che la traduzione di una conversazione digitata con la tastiera rischia sempre di perdere il tono (a questo servirebbero le emoticon), e purtroppo rileggendo il mio messaggio di cui sopra capisco ora che tu possa aver frainteso, appunto, il tono con cui cercavo di aprire un dialogo: si può certo dire lo stesso di quello che tu scrivi nei miei riguardi, e non hai neppure introdotto nessuna emoticon per cercare di comunicare a chi legge anche l'emozione, appunto... Per il resto non voglio assolutamente polemizzare, e quindi non posso far altro che leggere con interesse le tue constatazioni e seppure le condivida, vorrei allo stesso modo che fossero in qualche modo sbagliate, non perchè le scrivi tu, ma perchè il fascino che esercita su di me questa forma di espressione artistica è tale che mi farebbe sperare in un jazz (Europeo, Americano, Africano) non ormai cosa del passato, un'arte accademica, ma vivo e che sa trasmettere ancora quel fascino...
Tante Belle Cose.

juggler
24th March 2008, 07:08
Sax'O...ricambio l'augurio con grande sincerit*...sar* per una "deformazione disciplinare" e forse anche generazionale...ma non mi trovo nell'uso degli emoticon...e questo può essere un mio limite... al di l* della polemica che è scaturita fra noi, ti ritengo persona motivata, intellettualmente vivace e che ama la musica. Ciò che piu' mi ha "infastidito" è stata la tua chiusa finale...perchè non do dell'ignorante a nessuno per partito preso, nè tendo trappole...emoticon o non emoticon...siamo tenuti ad "approfondire" il ns. pensiero per fasi successive per questioni di spazio e di tempo e anche per lasciare ad altri di fornire elementi per ulteriori riflessioni e spunti argomentativi...questo è sempre un forum...
Alla prossima...

Sax O' Phone
24th March 2008, 14:00
Caro Giocogliere,
infatti ti dicevo che capivo il motivo del fraintendimento: nella chiusa finale "noi ignoranti :lol: ", ero appunto io a scriverla, ed era più intesa come 'la risata dello stolto' e non come 'la risata dell'arrogante', ma è più che comprensibile che tu l'abbia interpretata male (le emoticon sono un approssimativo modo di 'colorare' il tono di una frase, comunque)... come giustamente dicevi, mi creo da me stesso le trappole in cui poi cado! ;)
Ciao

22nd April 2008, 01:56
Guarda, io non mi dilungo in nomi, paragoni, date, innovazioni, esplosioni di masse etc, anche pèerchè ne so ancora troppo poco..

l'unica cosa di cui sono molto sicuro è che quando un "Negro" mette le mani, bocca, bacchette su uno strumento, è tutta un altra cosa. Clapton lo sentivi suonare e dicevi: però..niente male,.. ma quando Hendrix poggiava le dita su una corda, la faceva piangere. Loro hanno la capacit* di incendiare la musica..

La musica afroamericana mi fa impazzire... e secondo me, apparte precedenti europei, vedi musica classica, Loro sono di gran luga piu' geniali , sono magici. magici e magnifici.

Sax O' Phone
22nd April 2008, 15:51
[...]
La musica afroamericana mi fa impazzire... e secondo me, a parte precedenti europei, vedi musica classica, Loro sono di gran luga piu' geniali , sono magici. magici e magnifici.
Anche se queste generalizzazioni possono sembrare scontate se non addirittura banali, proprio in questi giorni mi capitava di fare la stessa riflessione: non posso che essere d'accordo con te.
Detto questo, nell'evoluzione del jazz Europeo, o comunque bianco (Jim Crow), trovo anche dei musicisti che mi entusiasmano, ma è vero! in maniera differente da quelli Afro-Americani.

23rd April 2008, 05:34
Inanzitutto volevo ringraziare Sax o' Phon, per il suo intervento, che mi ha dato la speranza, che qualcuno ognitanto legga i miei messaggi. ;P


Per rispondere, certo, può essere banale generalizzare così, ma in effetti è vero. Il sound di un "Nero" lo riconosci giapprima di vedere il suo colore. Sar* il Mojo heheehe

stammi bene e grazie della risposta :saxxxx)))

MyLadySax
23rd April 2008, 12:17
Proverò a dire la mia.

Occorre definire il jazz europeo:

1.Jazz europeo come il jazz suonato in Europa.
Definizione che non tiene conto né dello stile né della nazionalit* dei musicisti.
Per es., in tale accezione è di jazz europeo anche un concerto di Roscoe Mitchell a Roma così come non è di jazz europeo, bensì giapponese, un disco di Peter Brotzmann prodotto e registrato a Tokio.
Non vi è dubbio che, in tale accezione, il jazz europeo esiste almeno dagli anni ’20 dello scorso secolo.

2.Jazz europeo come jazz suonato dai jazzisti europei.
Definizione che tiene conto della nazionalit*, ma non anche dello stile dei musicisti.
Per es., in tale accezione è jazz europeo anche quello di Massimo Urbani, che è stato uno straordinario altosassofonista italiano di jazz, ma stilisticamente vicino ai grandi sassofonisti afroamericani.
Anche in tale accezione, non vi è dubbio che il jazz europeo esiste, sin da quando i primi musicisti europei, al volgere degli anni ’20 dello scorso secolo, si cimentarono con quella che veniva pure detta “musica sincopata”.

3.Jazz europeo come jazz che presenta marcatamente peculiari caratteri distintivi derivanti dalla musica accademica.
Definizione che tiene conto dello stile, ma non anche della nazionalit* dei musicisti.
Per es., in tale accezione è jazz europeo tanto quello di certa produzione dello statunitense Dave Brubeck (“Blue Rondò a la Turk” è un rondò parte in 9/8 parte in 4/4 che impiega il procedimento della fuga) quanto quello di alcune composizioni dello svedese Lars Gullin (Primula Veris, Laburnum Vulgare).
Anche in tale accezione, non vi è dubbio che il jazz europeo esiste, specificamente nello stile di ogni jazzista che, più o meno consapevolmente, sia europeo, americano, afroamericano, africano o siberiano, utilizzi elementi musicali propri della musica colta europea o di derivazione europea.
Tale definizione può essere molto utile allo studioso, ma è fuorviante, poiché, gi* quando, nei primi del ‘900, è nato il jazz, la musica accademica esisteva pure negli Stati Uniti e molti dei primi jazzisti creoli la conoscevano bene e ne vennero influenzati.

4.Jazz europeo come jazz suonato da jazzisti europei che presenta peculiari caratteri distintivi derivanti dalla musica popolare di una determinata area geografica dell’Europa.
Definizione che tiene conto sia dello stile sia, ancorché implicitamente, della nazionalit* dei musicisti.
Per es., in tale accezione è jazz europeo quello di certa produzione del norvegese Jan Garbarek che si fonde con le suggestioni della musica popolare norvegese (“Rosenfole”, ECM) o della formazione Mahanada (“Taranta’s Circle”, Splash Records) che si rif* ai ritmi della tarantella e della pizzica.
Il jazz europeo così inteso è solo una possibilit* nell’ambito più ampio dell’ethnojazz, che, com’è noto, ha radici negli anni ’60.
Tuttavia, più che jazz europeo è, di volta in volta, jazz norvegese, jazz italiano, jazz del Sud Italia, jazz balcanico, e chi più ne ha più ne metta.

5.Jazz europeo come jazz suonato da jazzisti europei che presenta peculiari caratteri distintivi derivanti sia dalla musica popolare di una determinata area geografica dell’Europa sia dalla musica accademica.
La definizione fonde le ultime due, per cui rinvio a quanto detto sopra.

In conclusione: il jazz europeo, come categoria a sé, non esiste - dal momento che tra "Uno" dei Mahanada e "Rosenfole" di Jan Garbarek non c'è meno differenza di quanto ce ne sia tra "Uno" dei Mahanada e "I'm All for You" di Joe Lovano -, se non:
- nella misura in cui sia in "Uno" che in "Rosenfole" la componente africana del jazz (il blues feeling, per esempio) appaia meno marcata (non vi è dubbio, infatti, che, soprattutto nei primi decenni di diffusione del jazz nel Vecchio Continente, i musicisti europei siano stati molto meno esposti, rispetto ai colleghi d'oltreoceano, alla musica nera);
- se non nella misura in cui sia "Uno" che "Rosenfole" si alimentino di tradizioni popolari del tutto (o quasi del tutto) assenti negli Stati Uniti.

Ancora una riflessione: il caso Django Reinhardt mi pare atipico, perché il grande chitarrista, nato in Belgio e vissuto la maggior parte della sua vita a Parigi, ha sì attinto dalla musica europea (sia colta che popolare), ma soprattutto dalla musica dei manouche (zingari alsaziani), essendo manouche egli stesso; musica manouche che, pur venendo a contatto con la musica europea, non ha, fino ad oggi, perduto le sue peculiarit* distintive.
E’ bello, cmq, pensare che colui il quale è ritenuto l’iniziatore del jazz europeo attinse, in realt*, da una musica senza nazionalit* (scusate, a volte mi faccio prendere dai sentimenti).

Considero queste semplici riflessioni della cui veridicit* non ho affatto certezza, per cui invito tutti a integrarle o contestarle, con la speranza che, alla fine, possiamo raggiungere almeno una verit* condivisa.

Sax O' Phone
23rd April 2008, 12:56
MyLadySax, che dire, mi ha molto colpito la tua osservazione circa Reinhardt che trovo verissima. Si potrebbe anche pensare che la musica Manouche potrebbe in realt* risalire ai raga Indiani, parlando di Gitani. Per ora posso solo commentare con le parole di Goethe: 'Se nell'Universo ti vuoi orientare, prima divider devi, e poscia unire'.

juggler
27th May 2008, 05:00
Decisamente apprezzabili le "finestre interpretative" di MyLadySax...credo, tuttavia, che una serie di dinamiche storico-culturali abbiano contribuito a spostare l'evoluzione del linguaggio jazzistico in Europa: il "free" degli anni '60 (quello di Coltrane, Ayler, Taylor, Coleman ecc.) è stato l'ultimo aspetto estremamente nero, alternativo e fortemente politicizzato della musica afro-americana.
A onor del vero, credo che certe attribuzioni "politicizzate" siano state (in piu' casi) strumentali piu' che effettive: quando i giornalisti domandavano a Coltrane, se la sua musica esprimesse la rabbia e la frustrazione dei nero-americani...Trane, rispondeva parlando di pace universale, di amore...non certo, di "orgoglio nero" o lotta armata, cara ai "Black Panthers"...Inoltre, bisogna dire che solo la "borghesia nera" e una certa "intellighenzia bianca", borghese di sinistra e/o "radical-chic", apprezzava il "free-jazz"...la "base" degli afro-americani si identificava musicalmente maggiormente con le forme del "rythm and blues" e "soul" sofisticato dell'epoca...Successivamente, tutti i musicisti che contribuirono a far nascere la Scuola di Chicago (AACM), manifestarono un'intenzionalit* socio-didattica e motivazioni artistiche sempre piu' sperimentali...il movimento d'avanguardia afro-americano si trasformò in un'organizzazione istituzionale...con tutto il gran polverone e "ambiguit*" che ciò generò...gran confusione tra tecnologia e progresso, apertura verso tutti i generi musicali e nello stesso tempo idee di chiusura (non solo musicale, ma anche umana...), gesti apparenti e idee piu' o meno abbozzate o contradditorie...la fine di ciò che il jazz era stato...
Ovviamente, ciò ha comportato, negli USA, un cambiamento significativo di "percezione/fruizione" del jazz: perduta la sua "diversit*", non riflettendo piu' una visione o "modalit* spirituale" del "sentire"...riuscirono a "sopravvivere" solo quei musicisti e quelle forme "jazz" funzionali ad un mercato in grado di trasformare sogni ed utopie in prodotti vendibili su larga scala, caratterizzati da una professionalit* il cui "accademismo manieristico" era diventato l'unico segno distintivo: sotto questa luce è possibile inquadrare tanto i fenomeni musicali "estetizzanti" degli anni '50 dei vari Brubeck, Mulligan, Modern Jazz Quartet ecc. quanto quelli piu' recenti di Marsalis, Sanborn, Brecker, Kenny G. & C.
L'Europa era così diventata l'ultimo approdo per quei musicisti che intendevano proseguire la loro "ricerca" e nello stesso tempo volevano continuare a lavorare con la loro musica e non con ciò che il "mercato" imponeva: l'antesignano di tale "emigrazione" fu Eric Dolphy...a seguire Lacy, molti esponenti dell'AACM (per la cronaca...l'Art Ensemble of Chicago nacque occasionalmente per una tournée europea nel '78...per il successo inaspettato che ebbero soprattutto a Parigi, decisero di rimanere insieme...il resto è storia!) ma anche musicisti della "vecchia generazione"...uno fra tutti, il grande "giramondo" Tony Scott!
A mio avviso, la figura di Dolphy è stata il "nume tutelare" di tutti gli sviluppi d'"avanguardia" che il jazz ha avuto in Europa e non solo...il multi-strumentismo, la ricerca timbrico-formale, l'esplorazione strumentale verso le "fascie ardite", il vorace interesse verso le forme "colte" quanto per le tradizioni musicali "orali"...dopo di lui, un'infinita schiera di musicisti adotteranno il clarinetto basso (Breuker, Brotzmann, Portal, Trovesi, Surman, Pilz ecc.)...
Olanda e Germania, in primis, (soprattutto perchè questi Stati offrivano sovvenzioni economiche ai loro "free musicians") (seguite poi, dalle altre nazioni europee) iniziano ad "elaborare" l'idea di un "jazz nazionale": il "free" aveva liberato il jazz da una vasta gamma di "doveri rituali" e quindi poteva ora essere "interpretato" dai musicisti europei come emancipazione dalla radice nera, affrancandoli dal dover imitare i grandi della storia del jazz...la pratica musicale dadaista del duo Mengelberg/Bennink (sezione ritmica europea di Dolphy)...il teatro musicale irriverente di Breuker...l'estremismo "fonico" di Brotzmann...diventano i "simboli" di un "nuovo agire musicale" che contaminer* l'intero Vecchio Continente...
Il recupero di materiali musicali di varia provenienza diventa il nuovo modo di considerare la musica...negli anni '70, il "settorialismo" è cancellato... complice un certo populismo demagogico, all'epoca imperante, della libera espressione...e il proliferare dei "circuiti alternativi"...il pubblico giovanile viveva la musica senza suddivisioni o sottospecificazioni di genere: per cui, lo stesso pubblico lo si trovava ad un concerto "free", ad un concerto di musica contemporanea, folk, rock o cantautorale... La musica europea basata sulla libera improvvisazione nata con il contributo degli "esuli americani" si caratterizza nella gestione diretta del proprio lavoro (autoproduzione) al di fuori dell'industria commerciale e nella solidariet* cooperativistica fra i musicisti...senza l'Europa, musicisti come Braxton, l'AEOC e tanti altri...non avrebbero raggiunto una certa agiatezza economica, nè sarebbero diventati famosi...

MyLadySax
27th May 2008, 08:03
Ritengo particolarmente utile alla discussione il seguente spunto di Juggler: "A mio avviso, la figura di Dolphy è stata il 'nume tutelare' di tutti gli sviluppi d' 'avanguardia' che il jazz ha avuto in Europa e non solo...il multi-strumentismo, la ricerca timbrico-formale, l'esplorazione strumentale verso le 'fascie ardite', il vorace interesse verso le forme 'colte' quanto per le tradizioni musicali 'orali'...dopo di lui, un'infinita schiera di musicisti adotteranno il clarinetto basso (Breuker, Brotzmann, Portal, Trovesi, Surman, Pilz ecc.)...
Olanda e Germania, in primis, (soprattutto perchè questi Stati offrivano sovvenzioni economiche ai loro 'free musicians') (seguite poi, dalle altre nazioni europee) iniziano ad 'elaborare' l'idea di un 'jazz nazionale': il 'free' aveva liberato il jazz da una vasta gamma di 'doveri rituali' e quindi poteva ora essere 'interpretato' dai musicisti europei come emancipazione dalla radice nera, affrancandoli dal dover imitare i grandi della storia del jazz...la pratica musicale dadaista del duo Mengelberg/Bennink (sezione ritmica europea di Dolphy)...il teatro musicale irriverente di Breuker...l'estremismo 'fonico' di Brotzmann...diventano i 'simboli' di un 'nuovo agire musicale' che contaminer* l'intero Vecchio Continente...".
In effetti, se un jazz propriamente europeo, non nazionale, è esistito ed esiste, è quello di Breuker, Bennink..., aggiungerei grazie pure ad una casa discografica importante qual è la FMP (Free Music Production).
Free come liberazione del jazz da una vasta gamma di doveri rituali e conseguente emancipazione dalla radice nera: vero! Quanto all'emancipazione dalla radice nera, aggiungerei solo: in maniera più intenzionale e programmatica rispetto ad alcune esperienze europee del passato.
Se così è, occorre circoscrivere il jazz europeo sia nel tempo che in un particolare codice, poiché non è che tutto il jazz che si fa in Europa sia europeo, anzi ... .
Il problema che a questo punto si pone, difficile, ma interessante, e che mi piacerebbe fosse affrontato, è individuare i criteri oggettivi di distinzione tra la musica che certi musicisti europei hanno iniziato a fare negli anni '70 e le coeve avanguardie statunitensi, nere e non (si pensi alle avanguardie nere di Chicago e di St. Louis, ma anche all'avanguardia bianca di New York), per tentare di stabilire se vi siano realmente differenze tra le avanguardie statunitensi e tra queste e la musica dei vari Breuker, Bennink e compagni e, se ve ne siano, se siano sostanziali.
A dire il vero, avevo pensato al movimento avanguardistico europeo - anche perché, ormai un bel po' di anni fa, lessi con interesse una notevole monografia che Musica Jazz pubblicò sull'argomento -, ma, per evitare di fare affermazioni fondate sulla sabbia, dovrei trovare il tempo di tornare a questa e ad altre letture e soprattutto di riascoltare un sacco di musica: tempo che, al momento, non ho.

juggler
28th May 2008, 03:25
Considerare la musica di Breuker, Bennink e compagnia bella...come europea e non olandese...è fuorviante e difficilmente condivisibile (ovvero è europea in quanto olandese, ma non rappresenta o sintetizza tutto quanto in Europa accadde a partire dalla fine degli anni '60).
La FMC (Free Music Production) fu fondata in Germania dal pianista Alexander Von Schlinppenbach nel 1969 insieme ad altri musicisti tedeschi e aveva scopi e finalit* simili alla Incus/Musicians Co-op (Londra) e alla olandese ICP (Istant Composer Pool) ovvero quello di organizzare attivit* didattiche, seminari, concerti, incisioni che documentassero l'attivit* dei nuovi improvvisatori europei in collaborazione fra loro e/o con quei musicisti americani che si erano stabiliti in Europa in modo piu' o meno stabile.
Il jazz degli olandesi (in particolare quello di Breuker) ha sempre "mescolato" azione musicale ed azione teatrale, ispirandosi molto a certo teatro mitteleuropeo (Brecht, Heisler, Weill): su Youtube, è possibile vedere "stralci" di concerti della ICP, ad esempio, con Anthony Braxton...ma anche altro materiale...Sulla stessa scia, anche se con motivazioni diverse, si è sempre mosso il duo Mengelberg/Bennink...in questo caso, la teatralit* si riduce nel ridicolizzare l'"entertainment music"...e nel "violentare" in modo surreale i rispettivi strumenti...di segno diverso, era l'approccio degli inglesi (Derek Bailey, Evan Parker, Paul Lytton, Barry Guy) che prescindevano da qualunque "materiale musicale convenzionale" per definire con sincerit* agghiacciante la loro "estraneit*" nei confronti di ciò che producevano: una visione e azione musicale non-comunicativa e alquanto alienante (interessante forse piu' per gli aspetti filosofici "sottintesi" che non per i risultati "musicali"). Anche di questi musicisti potete trovare qualcosa su Youtube...Naturalmente, quelli appena descritti sono solo delle tendenze di alcuni musicisti ovvero se si considerano gli inglesi di origine sud-africana come Louis Moholo, Harry Miller, Chris Mc Gregor, Johnny Dyani ecc. il discorso cambia...il linguaggio improvvisativo è piu' comunicativo e vitale e frequenti sono i riferimenti al folclore africano; Surman, Osborne, Skidmore guardavano al patrimonio popolare anglosassone...Per tutte queste "esperienze musicali" (e tante altre) è piu' giusto parlare di "musica improvvisata europea"...così come credo che a partire dall'AACM si debba parlare di "nuova musica improvvisata afro-americana" e abbandonare il termine jazz...qualcuno ha usato il termine "new thing", non trovando termini migliori...Credo che sostanzialmente non ci siano grosse differenze fra le attivit* ed i risultati musicali degli improvvisatori europei e quelli dell'AACM o del Black Artist Group of St. Louis (soprattutto per il grande interscambio e le collaborazioni) se non in precise circostanziate progettualit* o singole personalit*...nel tempo, si è passati da un "radicalismo improvvisativo" ad un rapporto piu' "meditato" con la scrittura...l'avanguardia di New York ha probabilmente recuperato in maniera significativa e preponderante la "scrittura"...ciò è evincibile soprattutto dai lavori di Tim Berne e anche da certe produzioni di Zorn...
Credo che bisogna avere il coraggio di fare un'enunciazione fondamentale: IL JAZZ E' NATO IN AMERICA, MA E' STATO SALVATO, PROTETTO E DA UN CERTO PUNTO IN POI (dalla fine degli anni '60) SI E' EVOLUTO IN EUROPA...
La "diaspora" degli afro-americani inizia molto prima delle "avanguardie" dell'AACM...

http://www.jazzitalia.net/articoli/jazz ... eljazz.asp (http://www.jazzitalia.net/articoli/jazzpolitica_gliesiliatideljazz.asp)

E' chiaro che alle tendenze avanguardiste si sono sempre affiancate tendenze piu' legate alla "tradizione"...

Da segnalare, in Italia, i dischi della Quercia di cui Gaslini era direttore e produttore artistico e la Ictus di Andrea Centazzo (sembra che il buon Andrea stia per ripubblicare un cofanetto che racchiude le esperienze significative di quel periodo e le sue collaborazioni con Bailey, Lacy ecc. e la Mitteleuropa Orchestra da lui diretta); sull'esempio inglese, olandese ecc. a Torino, sul finire degli anni '70 nasce il CMC (Centro Musica Creativa: ancor oggi attivo) fondato da Carlo Actis Dato e dal chitarrista Claudio Lodati; a Roma, Mario Schiano (recentemente scomparso), grande animatore e scopritore di talenti, fondò il festival "CONTROINDICAZIONI" dedicato alla musica improvvisata...
Infine, un discorso a parte meriterebbero tutti quei musicisti e quelle progettualit* che si sono sviluppate negli stessi anni nella ex-Germania dell'Est e negli ex-Paesi comunisti, che vissuti per tanto tempo in un totale "isolazionismo" hanno prodotto
un "sound" non sempre paragonabile ad altre esperienze europee o d'oltreoceano...

P.S. Rileggendo il mio precedente intervento ho notato un'"imprecisione temporale": l'AEOC non è nata nel '78...ma 10 anni prima...confermo tutto il resto!

MyLadySax
28th May 2008, 08:39
Ok, ecco perché avevo evitato di toccare il tema dell'avanguardia europea: "per evitare di fare affermazioni fondate sulla sabbia"! Mi riferisco, naturalmente, al dubbio: "Se esiste un jazz propriamente europeo, non nazionale...". Ma, caro Juggler, se le così stanno così come dici, si rientra, sostanzialmente, nelle "finestre interpretative" che ho gi* aperto in una mia precedente risposta e, grazie anche alle tue preziose precisazioni, la questione credo possa ritenersi conclusa, anche se mi sarebbe piaciuto approfondire l'argomento fondandolo su analisi musicali comparate, altrimenti si rischia di farsi portavoce solo di quello che leggiamo sui libri. Purtroppo, non ne ho più il tempo.

juggler
28th May 2008, 15:50
I "materiali musicali" a cui fai riferimento per analisi comparative...non hanno sostanziali differenze...quanto faceva l'AACM al suo sorgere è simile a ciò che facevano certi musicisti inglesi...
le mie precisazioni hanno a che fare con la mia "memoria" (ero adolescente quando è "scoppiato" il movimento improvvisativo europeo)...e con alcuni di questi protagonisti successivamente, mi sono confrontato e ho avuto modo anche di suonare e registrare (Evan Parker, Andrea Centazzo ecc.)...le analisi di qualunque tipo e soprattutto di quel periodo me le faccio da solo...perchè io c'ero...

Sax O' Phone
28th May 2008, 16:55
In primis: sottoscrivo in toto la tua definizione Musica Improvvisata! perchè mi fornisce un'idea/definizione molto più aperta e meno categorizzante (in fondo anch'io sono tra i fondatori del movimento di-forista :ghigno: ), e da questo potremmo poi parlare delle influenze/origini Americane/Europee/Africane/Asiatiche che ne determinano l'elemento narrativo.
Inoltre questa definizione la trovo molto pertinente alla realt* artistica contemporanea della musica così detta jazz mondiale, anche per chi rimane nel mainstream attuale (presumo sia ancora Hard Bop), o per quelli futuri; ed è altrettanto pertinente se applicata alla così detta musica colta di quegli autori viventi che ancora compongono nella struttura armonica-tonale (ed ancora di più per coloro che esplorano gli altri spazi musicali), cercando una definizione personale, e quindi obbligatoriamente che deve confrontarsi con l'individualit* dell'esecutore/autore nell'immediatezza-permanente!

le analisi di qualunque tipo e soprattutto di quel periodo me le faccio da solo...perchè io c'ero...
É evidente, almeno per me, che tu abbia l'esperienza diretta che corrobora le tue affermazioni e disquisizioni, e ti sono grato per le impegnative letture che mi fornisci: se posso (è una facezia) vorrei consigliarti il trattino - invece dei puntini ... perchè risparmieresti ben due tasti! :ghigno: sempre tu voglia mantenere il flusso narrativo sul beat; alternativamente, l'uso conforme della punteggiatura che a volte ti ricordi di usare, mi facilita molto il seguire i tuoi ragionamenti! e lo dico con affetto e stima! :smile:

PS: avevo anche notato la discrepanza della data circa l'Art Ensemble (poi Of Chicago), ma non volevo intervenire anche perchè, come ben sai, a volte faccio un po' di confusione! :DDD:

MyLadySax
29th May 2008, 09:21
I "materiali musicali" a cui fai riferimento per analisi comparative...non hanno sostanziali differenze...quanto faceva l'AACM al suo sorgere è simile a ciò che facevano certi musicisti inglesi...
le mie precisazioni hanno a che fare con la mia "memoria" (ero adolescente quando è "scoppiato" il movimento improvvisativo europeo)...e con alcuni di questi protagonisti successivamente, mi sono confrontato e ho avuto modo anche di suonare e registrare (Evan Parker, Andrea Centazzo ecc.)...le analisi di qualunque tipo e soprattutto di quel periodo me le faccio da solo...perchè io c'ero...
Tanto di cappello! Indubbiamente, non mi è possibile non attribuire un grande peso alle opinioni di chi, come te, ha vissuto un epoca che, per motivi generazionali, io posso tentare di comprendere solo attraverso libri e dischi; di chi addirittura ha suonato e registrato con musicisti che ammiro da anni (magari anche tu sei tra questi e non lo so).
Mi permetto, però, di dissentire con l'impostazione "è così e non si discute, perché io c'ero e le analisi me le faccio da me".
Ti prego di non offenderti, ma, in definitiva, credo che solo l'analisi oggettiva (per es.: sulle forme) potrebbe dirimere ogni perplessit*.
E' mia attuale opinione che, riguardo al jazz europeo, le cose stiano sostanzialmente come scrivi e come anch'io ho scritto su questo forum, ma non ti puoi immaginare quanto mi piacerebbe avere il tempo di fare un po' di analisi musicale, magari di qualche brano che hai registrato tu...

juggler
1st June 2008, 03:45
Ringrazio Sax'O e MyLadySax per i loro interventi che mi danno il modo di chiarire, alcuni concetti e contesti...innanzitutto,
non possiedo nessuna "verit*" e se mi sono trovato in certi contesti e ho potuto sondare e conoscere certi "personaggi" è stato un po' frutto del caso e/o su segnalazione di qualche altro amico musicista...Centazzo, nella Mitteleuropa, qualche volta, in qualche concerto, mi "usava" come jolly (cosa che capita quando sei giovane sconosciuto, ma "apprezzabile"...) ovvero quando veniva a mancare qualche "titolare", per varie ragioni...mi chiamava per sostituirlo perchè leggevo rapidamente le parti ed ero in grado di "improvvisare" in modi differenti...insomma, ero piu' una "comparsa" che un "comprimario"...Successivamente, ho poi registrato nei suoi studi (a Padulle, vicino Bologna) i miei "primi lavori"...Ora vive in California e fa soprattutto spettacoli multimediali e colonne sonore...i suoi lavori di oggi non hanno nulla di improvvisato, nè lontanamente assimilabili ad uno dei tanti "linguaggi jazz" oggi praticati ...è diventato un compositore minimalista...ciò che pensa oggi del "jazz odierno" è estremamente terrificante e brutale (ma anche vero...) Mi è sempre piaciuta la sua estrema "cocciutaggine" e intelligente impertinenza e soprattutto quello di non essere mai uguale a se stesso...in genere, mi piacciono tutti quei musicisti (ma anche non necessariamente tali...) che hanno il coraggio di mettere in crisi se stessi, quando si potrebbero adagiare su ciò che hanno..."conquistato"... ricominciando da un'altra prospettiva! Con Evan Parker, ho inciso (disco introvabile in quanto trattasi di produzione festivaliera, realt* che oggi non esiste piu'...) sempre all'interno di una compagine orchestrale...persona arguta, di grande intelligenza ed umorismo...la smetto qui perchè non ho nessuna intenzione di "autocompiacermi" anche perchè pur essendo state, per me esperienze artistiche ed umane altamente formative le considero superate...rispetto alle visioni/orientamenti che possiedo oggi! E non avevo nessuna intenzione di "autoincensarmi" nell'intervento precedente riguardo all'analisi musicale...è solo che considero l'analisi musicale applicata alle forme radicali di improvvisazione, un esercizio "sado-masochistico" dell'intelligenza! Può la "sensibilit* dell'istante" che si rivela essere spiegata? Abbiamo scoperto, per caso, il senso della vita sezionando..."cadaveri"? Trovo che sia gi* di per sè un'attivit* "estraniante" la registrazione, su qual si voglia tipo di supporto, tanto di certa musica improvvisata quanto di certe "sperimentazioni contemporanee"...il senso di queste "esperienze" va vissuto in diretta, nei live, durante i concerti...l'ascolto dal disco ha sempre un che di frustrante e di scarsa godibilit*: non d* l'emozione di ciò che accade davvero! Gli improvvisatori degli anni '70 non avevano tutte quelle "intenzioni seriose" che molti testi di critica o analisi vogliono attribuirli...c'era una "allegra anarchia sonora", la voglia di rompere con tutti gli stereotipi musicali e non...l'assoluta indistinzione fra suono e rumore...una teatralit*, una gestualit* ed una ritualit* che si essenzializzava nell'"attimo partecipato" non nel risultato...cosa c'è da analizzare in tutto ciò?
Se parlo di densit*, masse globulari, indeterminazione temporale ecc. trovo una "bellezza"...che prima non sapevo cogliere o do un "valore" a qualcosa che cerca solo la sua... "attuazione"? Ciò ha un senso?
MyLadySax...sarai poi tu a dirmi...ti segnalo a dimostrazione di ciò...il metodo analitico di Michael Pelz-Sherman, pianista musicologo...forse capirai cosa intendevo quando parlavo di analogie fra "scrittura musicale contemporanea" e l'aleatoriet* delle "free conductions" di Butch Morris o di qualsivoglia improvvisazione radicale...

http://it.youtube.com/watch?v=BjUezEW3drA

http://interactive-sonification.org/ISo ... on2007.pdf (http://interactive-sonification.org/ISon2007/ISon2007Proceedings/papers/Pelz-Sherman_ISon2007.pdf)

Insomma, non credo che tutto possa essere analizzato o che ciò abbia sempre un senso/scopo (gi* in campo "tradizionale", l'analisi delle fughe di Bach non ha portato a nessuna verit*...tanto che a livello accademico si insegna la fuga secondo delle "regolette" che lasciano il tempo che trovano...) Se confronto 2 realt* musicali diverse...ad esempio quella del "FuzzyLogicEnsemble" (compagine orchestrale irlandese) e della nostrana Italian Instabile Orchestra...

http://it.youtube.com/watch?v=hG1lbhfafiE

http://it.youtube.com/watch?v=r21206DbBaE

analizzando quale delle 2...posso "estrarre" un "metodo"?

Credo che il "pensiero dualistico" (jazz - non jazz o musica improvvisata) da me adoperato (come da tanti altri) non renda giustizia o sia comunque "imperfetto", in quanto applicato ad una musica che ha integrato contributi ed esperienze provenienti da ogni dove...il jazz, nell'arco della sua storia, talvolta ha affermato qualcosa, talvolta l'ha negato...talvolta certe esperienze si sono risolte l'una nell'altra (ad esempio, i musicisti "free" ripresero l'eterofonia dei musicisti di New Orleans), per poi dividersi...ricongiungersi...in modo diverso al variare dei tempi... creando, moltiplicando, scomparendo per ricomparire sotto altra forma..

P.S. Sax'O...i puntini sono il "respiro del pensiero" quanto l'estensione ideale del pensiero... che la punteggiatura non offre...

PallaDiCannone
2nd June 2008, 13:02
Davvero interessante e stimolante questa discussione. A tal proposito vorrei chiedervi qualche indicazione, o consiglio, in merito ad artisti e movimenti da voi citati, cominciando forse dalla richiesta più banale: cosa mi consigliereste di ascoltare?
Grazie :D

juggler
2nd June 2008, 21:08
Cosa vorresti ascoltare? Ho segnalato in questo topic diversi link di video su Youtube corrispondenti a musicisti e gruppi di quella stagione musicale...quindi, puoi fare un ascolto preliminare nonchè poi ricerche su Amazon e vedere se ci sono dischi disponibili in riferimento ai nomi/gruppi che ti interessano...considera che quel periodo è costellato da "autoproduzioni" (a tiratura limitata se non limitatissima) per cui.. ahimè...molto materiale in certi casi estremamente interessante è andato perduto...

juggler
2nd June 2008, 21:50
Cannonball...se non sei molto avezzo ad "ascolti avanguardistici"...ti consiglio un disco a mio avviso molto bello "Mountainscapes" (ECM) del bassista americano Barre Phillips, con John Surman, John Abercrombie, Stu Martin...è un free molto suggestivo...e tutti i musicisti coinvolti sono molto ispirati...su Amazon lo trovi...

Sax O' Phone
2nd June 2008, 22:20
Allora mi sbilancio anch'io, anche se non saprei quanto siano pertinenti al genere, ma sono Europei! :ghigno:
Mi piace molto John Surman, e come primo ascolto consiglierei:

http://bp3.blogger.com/_LnZfLQmOmEs/Rp6yrBh3-CI/AAAAAAAAABo/PLncpu9dNVg/s320/3110E.jpg

Thimar

http://cover6.cduniverse.com/MuzeAudioArt/Large/64/610164.jpg

Tales Of Algonquin

http://www.ecmrecords.com/Images/cover/ECM/1500/E1528g.jpg

A Biography Of The Rev Absalom Dawe
####################################
Edward Vesala

http://jazzbluesclub.com/uploads/posts/1194909300_ev.jpg

Lumi
####################################
Bobo Stenson

http://ak.buy.com/db_assets/prod_lrg_images/539/203382539.jpg

Serenity
####################################
Anouar Brahem

http://bp3.blogger.com/_BlAS_sO-ehc/Rx3Rf_q1JzI/AAAAAAAAAyw/nOBRd3qSyXY/s400/Anouar%2BBrahem%2BTrio%2B-%2BAstrakan%2BCafe%2B(2000).jpg

Astrakan Café
####################################
Alexander Von Schlippenbach

http://www.jazzwerkstatt-berlin-brandenburg.de/gif/cover/INT100.jpg

Monk's Casino
####################################
.... ;)

PallaDiCannone
3rd June 2008, 09:48
Vi ringrazio molto :D
Comincerò dai dischi da voi segnalati, anche perchè effettivamente è da poco che mi sto avvicinando al free e all'avanguardia
Grazie :D

MyLadySax
4th June 2008, 09:02
Se mi posso permettere, PallaDiCannone, prima ancora di ascoltare le avanguardie degli anni '70, ascolterei qualcosa del free del periodo precedente: per lo meno Free Jazz di Ornette Coleman; Unit Structures di Cecil Taylor; Ascension di John Coltrane; Albert Ayler: Live in Greenwich Village.
Troverai questi dischi, bellissimi, tranquillamente su Amazon.
Ciao.

MyLadySax
4th June 2008, 09:05
Juggler, la discussione si fa molto interessante.
Ti risponderò su tutto non appena ne avrò il tempo, anche perché voglio leggere con attenzione quel che mi hai consigliato su Pelz-Sherman (il video, purtroppo, non è più disponibile).

juggler
4th June 2008, 17:44
Non so a quale video ti riferisci...se sono quelli "analitici"...sono ancora tutti on-line...prenditi tutto il tempo che vuoi...Ciao!

PallaDiCannone
5th June 2008, 10:12
Se mi posso permettere, PallaDiCannone, prima ancora di ascoltare le avanguardie degli anni '70, ascolterei qualcosa del free del periodo precedente: per lo meno Free Jazz di Ornette Coleman; Unit Structures di Cecil Taylor; Ascension di John Coltrane; Albert Ayler: Live in Greenwich Village.
Troverai questi dischi, bellissimi, tranquillamente su Amazon.
Ciao.

Grazie, con questi dischi ci sto gi* giocando da un po :D
Ecco perchè ho chiesto qualche altra dritta
:D

MyLadySax
5th June 2008, 12:57
Non so a quale video ti riferisci...se sono quelli "analitici"...sono ancora tutti on-line...prenditi tutto il tempo che vuoi...Ciao!
Hai ragione, ma, chiss* perché, ieri il video non era disponibile.
Grazie ancora e a presto.

MyLadySax
5th June 2008, 13:00
Se mi posso permettere, PallaDiCannone, prima ancora di ascoltare le avanguardie degli anni '70, ascolterei qualcosa del free del periodo precedente: per lo meno Free Jazz di Ornette Coleman; Unit Structures di Cecil Taylor; Ascension di John Coltrane; Albert Ayler: Live in Greenwich Village.
Troverai questi dischi, bellissimi, tranquillamente su Amazon.
Ciao.

Grazie, con questi dischi ci sto gi* giocando da un po :D
Ecco perchè ho chiesto qualche altra dritta
:D
Allora non ti resta cha darci dentro con la musica, spesso sorprendente, che ti è stata gi* consigliata da Sax O'Phone e da Juggler.
Dovresti averne per un pezzo.
Buon ascolto!

MyLadySax
10th June 2008, 11:29
Juggler, innanzitutto grazie per le segnalazioni.
Ho avuto a mala pena il tempo di dedicarmici nel fine settimana.
Non ci ho dovuto studiare tanto, perché quel tipo di approccio analitico lo conoscevo gi*, pur non conoscendone l'origine.
Giudico assai istruttiva questa nostra conversazione, perché tengo in alta considerazione le tue opinioni, le quali, ancorché non esattamente coincidenti con le mie, mi hanno indotto ad approfondire la riflessione su argomenti di grande interesse.
Credo, però, che rischiamo di portare avanti la conversazione sulla base di un equivoco.
Infatti, tu pensi - se non ho capito male - che a me piacerebbe ancorare quella che peraltro è un'idea comune ad entrambi del cosiddetto jazz europeo (entrambi riteniamo che si può piuttosto parlare di jazz nazionale ed è questa una conclusione cui sono giunto in quelle che tu stesso hai definito "finestre interpretative di MyLadySax") all'anaili musicale per svelarne una bellezza che rimarrebbe altrimenti nascosta: non è così e, se così hai capito, vuol dire che mi sono espresso male.
Considera che, sul piano filosofico, sono vicino alla fenomenologia (e, quindi, all'essenzialismo) e per me l'esperienza del fatto è, naturalmente, fondamentale e tanto più importante quanto più si tratti di esperienza diretta, immediata (= preanalitica).
Non mi sono appassionato al jazz e alla musica perché l'ho analizzata, ma perché mi piace.
Tuttavia, proprio perché mi piace, ho sentito successivamente l'esigenza di una comprensione razionale e talvolta analitica.
Questo tipo di comprensione ha, in definitiva, non raffreddato, bensì acuito le mie stesse capacit* di ascolto e di percezione anche emotiva della musica.
Non credo che la musica di cui parliamo farebbe eccezione e non mi sentirei scoraggiato dal fatto della registrazione, se è questo l'unico mezzo di cui disponiamo.
Tu sostieni che è una musica che va vissuta in diretta, ma non credo che nella registrazione o, ancor meglio, nella riproduzione video vada tutto perduto: é sempre meglio avere un'idea che si approssima quanto più possibile a quel che accade o è accaduto che non averne nessuna.
Nella fattispecie, avevo aperto la questione della comparazione delle avanguardie, sia auropee che statunitensi, nate alla fine degli anni '60 sul terreno del jazz per tentare di individuarne comuni denominatori, analogie e differenze (per es., tu stesso hai scritto che in Inghilterra si faceva una musica sostanzialmente assimilabile alla musica dell'AACM).
Sarebbe, probabilmente, un lavoro immane e chiss* che un giorno qualcuno non se ne prender* l'onere.
Gli strumenti analitici ci sono e li hai indicati, almeno in parte, tu stesso.
Quanto a Butch Morris, non nego che esistano delle analogie (anche sostanziali) tra le "free conductions" e la "scrittura musicale contemporanea" e avevo gi* compreso quel che intendi, ma resta il fatto che si tratta di analogie tra musiche non reciprocamente assimilabili, se non in maniera parziale, anche perché non è mai possibile del tutto assimilare ad un'esperienza appartenente alla tradizione europea una esperienza la cui natura è afroamericana (esattamente come il brano più impressionista di Duke Ellington non è mai del tutto assimilabile all'impressionismo musicale europeo).
Quanto a Bach, non sapevo che al conservatorio insegnano la fuga secondo regolette che lasciano il tempo che trovano, anche se non mi meraviglia (credo che ti riferisca al soggetto, al controsoggetto, ecc.); però oggi sappiamo che Bach, nonostante abbia recuperato più dei suoi contemporanei certi procedimenti che appartenevano ormai al passato, fosse in realt* molto pi* avanti di qualsiasi altro compositore del suo tempo: come lo sappiamo? Grazie all'analisi della musica barocca, naturalmente, che, quindi, è pur servita a qualcosa.
Queste - sia bene inteso - sono soltanto le mie opinioni, perché neanch'io posseggo alcuna verit*.

juggler
15th June 2008, 04:23
Neanch'io ho molto tempo...scusami per il ritardo con cui rispondo alle tue "sollecitazioni" e grazie per le attestazioni di stima che ricambio...Parto da quello che mi sembra un equivoco: jazz europeo - matrici nazionali. Precedentemente, nel parlare dei musicisti inglesi, avevo evidenziato una notevole differenza di ambiti stilistici fra i protagonisti di quella stagione, molti dei quali ancora attivi...ovvero non è possibile trovare "omogeneit* nazionali"...in fondo anche in Italia, Schiano aveva una direzione diversa rispetto a Schiaffini, a Trovesi, Colombo, Minafra (all'ostinazione di quest'ultimo si deve la nascita della Italian Instabile Orchestra, in quanto Pino voleva dimostrare, agli inizi degli anni '90, che una certa maniera di fare musica non era morta; cosa che altri non condividevano; infatti, le prime "defezioni eccellenti" dall'organico sono state quelle di Gaslini e di Bruno Tommaso). Ribadisco che in quella stagione fra afro-americani (soprattutto dell'AACM) ed europei non c'era differenza... ti dirò (cosa che probabilmente non approverai) che gli europei erano piu' "preparati" degli afro-americani...perchè concettualmente la nuova improvvisazione guardava le avanguardie europee (e molti improvvisatori avevano una preparazione accademica) e un po' "rideva" della tremenda quanto velleitaria seriosit* in cui si crogiolavano serialisti, strutturalisti & C. Facendo un paragone fra Roscoe Mitchell ed Evan Parker...entrambi usano la respirazione circolare e paiono interessati ad una "poetica vorticistica", pulviscolare...quasi una parafrasi strumentale di "Fontana Mix" di John Cage... i risultati di E. Parker sono molto piu' interessanti di quelli "casuali" di Mitchell o di un Brotzmann...Barry Guy, contrabbassista nel trio di E. Parker con Paul Lytton, la sera suonava Brahms o Beethoven con la "London Sinfonietta" e di notte come un "esagitato" nei loft londinesi con i suoi pards...Sarebbe, a mio avviso, piu' interessante comprendere come mai l'"ala afro-americana", dall'AACM in poi...abbia quasi tralasciato le proprie "radici" per "intellettualizzare" la propria proposta musicale in maniera talvolta davvero esasperata e forse anche ridicola...complesso dello "Zio Tom" da superare? Dopo il free...non si potevano prendere altre direzioni come evoluzione della tradizione piu' schiettamente afro-americana?
O semplicemente, solo l'Europa (data anche la temperie storico-culturale in cui versava) poteva "accettare" ed applaudire le "performances musicali" piu' audaci e iconoclaste? Ho assistito a concerti dell'AEOC...in cui la gente spazientita incominciava a protestare...soprattutto quando per interi quarti d'ora, i 5 componenti "mimavano" di suonare...si era abituati a vedere anche di peggio nei concerti di musica contemporanea...c'era bisogno di vedere 5 neri falso-tribali fare la stessa cosa? E poi...ho conosciuto personalmente alcuni della Scuola di Chicago...non dirò i nomi...umanamente, una grande delusione...dirò solo che si comportavano da..."americani", rozzi e stupidi...con grandi pretese...in America, non potevano e non possono comportarsi in tal modo! L'AACM, dopo un po'...piu' che "avanzamento" dei musicisti creativi era diventata un "circolo mafioso" in cui gli esponenti di maggior spicco decidevano chi e a quali condizioni poteva lavorare...molti sono fuggiti soprattutto i "bianchi" (ma non solo)...razzismo al contrario?...o forse tutto il mondo è paese!
Riguardo al sistema analitico di Sherman...è inutile e pretestuoso rispetto al contesto... di "drammaturgia fonica estemporanea" inscenata dal duo Mitchell-Lewis...ha usato una "trascrizione" (ammesso che la si possa chiamare tale) mutuandola dagli "Studi Astrali" per pianoforte di Cage...dove ci sono delle "masse accordali materiche" senza tempo...questo tipo di analisi è meta-linguistica: usa la "logica" di un contesto per applicarla ad un altro che almeno, in teoria, possiede altre coordinate, anche se poi perviene a risultati simili...anche un fisico delle particelle o un astronomo osservatore di sistemi cosmici e materici ad alto livello di entropia, può fare una simile analisi...a mio avviso, l'analisi musicale non serve a nulla, se non descrive processi strutturali dai quali si può dedurre un metodo e in cui sono evidenziabili elementi strutturali significativi! Riguardo a J.S.Bach...alla sua epoca non era considerato il piu' "* la page"...ma superato e obsoleto...i figli Friedrich Emanuel e Johann Christian (quest'ultimo fu insegnante di contrappunto del giovane Mozart)
ebbero maggior successo... perchè erano piu' in linea con lo "stile galante" che si stava affermando (in cui Mozart ecceller*, superandolo armonicamente e stilisticamente) rispetto allo stile austero e contrappuntistico del loro "sapiente" padre...Bach, in realt* fu dimenticato per poco piu' di un secolo... Mendhelsson, nella prima met* dell'Ottocento, portò alla luce "La Passione secondo Matteo" di Bach, dal quale scaturì una sorta di "Bach renaissance" e un interesse per la filologia musicale e lo studio delle prassi esecutive delle epoche passate...

P.S. Perdona le puntualizzazioni...ma purtroppo o per fortuna, sono un musicista "obliquo"...ho una "preparazione accademica"...ma mi sono sempre "trastullato" col jazz e in tutti i contesti in cui era ed è possibile improvvisare... ho studiato composizione e posseggo anche una specializzazione in etno-musicologia...musicalmente, sono un autentico schizofrenico!

MyLadySax
16th June 2008, 09:02
Non posso perdonare le tue puntualizzazioni, perché, spunto di approfondimento di temi da tempo accantonati, sono graditissime.
Ti assicuro che rifletterò volentieri su tutto quanto hai chiarito in ordine al tuo pensiero sul jazz europeo e sulle scuole nazionali: non escludo che potrei modificare qualcuna delle mie opinioni al riguardo, ma questo non potrei prometterlo.
L'equivoco è nato dalla tua risposta del 28 maggio 2008, che mi pareva potesse essere interpretata nel senso della possibilit* di operare alcune distinzioni anche di metodo tra scuole nazionali: mi perdonerai se ho inteso male.
Hai conosciuto personalmente alcuni della Scuola di Chicago e sei riamsto deluso? Razzismo al contrario? Forse sì. Sicuramente tutto il mondo è paese e non c'è da stupirsi. D'altronde, subito dopo aver tenuto un concerto, Charlie Parker si avvicinò al tavolo dove stavano seduti Bud Powell e Lennie Tristano e Powell disse a voce alta che ormai Parker suonava solo merda; Tristano ammonì Powell, ricordandogli quanto fosse stato importante Parker per lui musicalmente, e Parker disse a Tristano: no, non prendertela, sono stato io a insegnargli a comportarsi così!
Quanto al sistema analitico di Sherman, ribadisco che non mi era ignoto (anche se mi era ignoto l'inventore), ma devo aggiungere che la mia conoscenza è sempre stata solo teorica, non avendo mai applicato tale sistema per analizzare alcunché; solo, tante volte, ascoltando questo o quel brano (non sempre di jazz), ho pensato: qui tale sistema potrebbe essere utile all'analisi, qui no. E parlo di brani talvolta di una medesima formazione. Anche, per es., dell'AEOC, di cui amo una parte considerevole della produzione, ma non tutto quanto hanno prodotto (lo stesso vale pure per Duke Ellington, Louis Armstrong, ...).
Per amor di completezza, devo pure aggiungere che certa musica mi pare si basi su un qualche metodo (che non sono sempre in grado di comprendere), ma non è detto che tale metodo sia estrapolabile attraverso il sistema analitico di Sherman.
E' vero che, parlando di avanguardie, statunitensi o europee, certa musica, almeno apparentemente priva di un metodo estrapolabile attraverso l'analisi, non mi è mai piaciuta, ma in questi, tutt'altro che rari casi, non mi viene neppure il desiderio di analizzarla!
Quanto a Bach, lo so che alla sua epoca non era considerato esattamente il più moderno dei compositori e che dopo la sua morte fu dimenticato per tanto tempo (direi poco meno di un secolo), ma è appunto grazie all'analisi della sua musica e della musica barocca che oggi sappiamo quanto i suoi contemporanei non lo abbiano compreso.
Alla prossima.

juggler
17th June 2008, 01:49
Credo di aver sempre parlato di "orientamenti nazionali" e non di "omologazione stilistica" degli appartenenti alla varie compagini nazionali...per l'Inghilterra, avevo delineato varie differenze tra gli "iconoclasti" (E. Parker, Guy ecc.), i "sudafricani" (Moholo, Dyani & C.) e i "folklorici" (Surman): è possibile farlo per ogni nazione e trovare similitudini fra esponenti di nazionalit* diverse; ad esempio, Aktis Dato è vicino alla "teatralit* surreale" degli olandesi (nei concerti, è molto divertente e riesce a coinvolgere con la sua musica pseudo-world anche coloro che non hanno alcuna familiarit* con l'improvvisazione radicale...i suoi dischi...no comment!); Brotzmann è piu' vicino ai radicali inglesi o alla poetica del primo Roscoe Mitchell; diverso è l'orientamento del suo connazionale, Connie Bauer...Thomasz Stanko continua ad esplorare la libera improvvisazione, non perdendo mai di vista il flusso melodico come faceva il primo O. Coleman (c'era un trombettista milanese, scusa ma mi "sfugge" ora il nome che faceva piu' o meno lo stesso)...Trovesi (un po' come Surman), dopo le "concitazioni free" con Gaslini, Bedori ecc. rivolge la sua attenzione alla tradizione musicale mediterranea e a quella trobadorica e rinascimentale (ha il diploma in direzione corale: conosce molto bene la tradizione musicale polifonico-corale degli italiani e dei fiamminghi: Gesualdo da Venosa, Josquin De Pres, Willaert, ecc.); D'Andrea, ha guardato, per un lungo periodo, con maniacale interesse quanto faceva Cecil Taylor, arrivando ad una personale sintesi fra matrici africane, tradizione jazz e tecnica dodecafonica...Altri confronti, paragoni o linee di sviluppo, puoi benissimo dedurli da solo! A mio avviso, gli Area costituivano negli anni '70 in Italia (ma direi in Europa) l'esperienza piu' creativa e fuori dal coro...erano all'avanguardia piu' di certi..."casinisti"!
Il free e la libera improvvisazione europea e americana ha esasperato l'"individualismo linguistico" (processo evolutivo che era gi* iniziato con Charlie Parker): non c'erano piu' tradizioni da seguire, ognuno prendeva spunti o ispirazioni da ogni "dove"... e ne dava la propria "lettura" (non accade ancora questo...nelle proposte musicali piu' interessanti o quasi originali di oggi?)
Parlare di jazz da quel momento in poi non ha piu' senso (o forse tutte le interpretazioni e letture che sono state date del jazz sono sbagliate o ampliamente imperfette)...Gaslini nel '57/'58 scrisse un brano orchestrale dal titolo "Tempo e relazione" in cui cercava un "connubbio" possibile tra jazz e dodecafonia...incontrando Ornette Coleman gli chiese se secondo lui era jazz...seraficamente, Coleman rispose: "Tu suoni Gaslini, io Coleman..." Urbani (ho suonato con lui per un brevissimo periodo) mi disse che Gaslini pretendeva che improvvisasse sulla serie dodecafonica..."non sapevo cosa voleva ...facevo casino...Gaslini diceva che andava bene..." Di corbellerie, situazioni paradossali, parossistiche o velleitarie quel periodo era pieno, anche perchè ci si ammantava di un "ideologismo" che "giustificava" l'ingiustificabile o semplici provocazioni in cui probabilmente erano necessari un po' d'ironia ed umorismo...per non scadere nel patologico... Però...si cercava un nuovo rapporto con il pubblico, il musicista non si credeva su un "Olimpo" intoccabile...in tal senso, credo che oggi si sia tornati abbondantemente indietro!

http://it.youtube.com/watch?v=2tN_oQ80Igk

Il Braxton "post-weberniano"...sono evincibili dal video tratti delle partiture...in Europa c'erano una marea di compositori che si muovevano all'interno di quelle coordinate...in Europa, di quel Braxton, potevamo tutti farne a meno! Lui ha costruito la sua carriera su un postulato culturale e identitario equivoco e contradditorio...gli è andata bene!

O forse, in musica, come in qualsiasi altro contesto, è gratificante continuare ad osservare da un diverso punto di vista le domande considerate risolte, come se non lo fossero ancora...

juggler
17th June 2008, 06:12
Il trombettista milanese "non intercettato" di cui sopra...è Guido Mazzon!

Sax O' Phone
17th June 2008, 13:41
[...]
O forse, in musica, come in qualsiasi altro contesto, è gratificante continuare ad osservare da un diverso punto di vista le domande considerate risolte, come se non lo fossero ancora...
:lol: :lol: :lol:
Questa mi sembra uno spunto interessante: qual'era la questione?
:lol:
Per altro mi trovi completamente d'accordo con le tue osservazioni, ed apprezzo che tu abbia specificato "quel Braxton", che secondo me a ben volerlo identificare, non c'entra per nulla con la Braxton Personae, ma forse più con le figurine panini da noi così diffuse (cioè l'artefatto concetto di alcune figur(in)e che si è venuto a creare nel nostro paese, nell'abbagliato mondo musicale jazzistico)... ma potrei anche sbagliarmi!
D'altra parte non dovremmo dimenticarci che proprio Braxton con Coleman può essere considerato uno dei grandi eploratori dell'Avant garde, da cui quell'altro Braxton, l'immagine riflessa e distorta che viene usata come modello di più bieche perversioni dell'ego! Queste le mie impressioni a riguardo... A volte, positivamente, è meglio porsele nuovamente quelle domande, però bisognerebbe onestamente esaminare le risposte esistenti e verificarne la veridicit*! Non trovate?

juggler
18th June 2008, 02:46
Non esistono soluzioni perchè non ci sono problemi...in arte, non esistono verit*, ma visioni...tutto il Novecento è costellato artisticamente (e non solo) di visioni individuali estreme, disperate e solipsistiche...che di volta in volta son diventate sempre piu' concettuali...la corporeit*, le emozioni sono state congelate in virtu' di idee sempre piu' cervellotiche o da falsi concetti mascherati da motivazioni contradditorie, ambigue, fumose: teoremi eccentrici in grado di eccitare le fantasie di intellettuali depressi e/o di una borghesia priva di entusiasmo e annoiata della/dalla vita e che hanno incentivato un mercato che promuove solo feticci e icone...anche nel jazz, si è assistito ha questo tipo di processo involutivo...alle avanguardie afro-americane...e probabilmente all'intera storia del jazz, in forma auto-riflessiva, è applicabile il proverbiale adagio di Marcel Duchamp:

"Sono stato costretto a contraddirmi piu' volte per evitare di confermare i miei stessi gusti".

MyLadySax
18th June 2008, 11:42
Sax O'Phone, Juggler, di cosa diavolo state parlando?
Ho perduto il filo del discorso o è un discorso così sottilmente concettuale da risultarmi oscuro? Temo di essermi perduto nella sua fumosit*!
Mi ci vuole un bel solo di Dexter Gordon, adesso!
P.s.: naturalmente, scherzo, ma il solo di Gordon mi ci vuole davvero.

Sax O' Phone
18th June 2008, 12:40
Hehehe MyLadySax, hai perfettamente ragione, ma in fondo stavamo ragionando proprio di questo... Quando l'astrattismo teoretico prevale sulla logica emozionale, è facile perdersi nei meandri delle aride elucubrazioni egoiche che nulla hanno a che vedere col sentire umano, se non per l'uso di un linguaggio comune, almeno superficialmente...
Cioè, se non si può comunicare con sé stessi, come si può pretendere di farlo con altri? Questa mi sembra dovrebbe essere la prima domanda da porsi a cui rispondere molto onestamente, sopratutto nel caso di un Artista, o presunto tale; vorrei fare qui un'altra divagazione: nella cultura Orientale, l'artista in quanto tale tradizionalmente non è mai esistito, se non nella forma di Grande Artigiano; p.e. il musicista Indiano è incluso in una casta/classe ben poco considerata socialmente, e comunque la sua individualit* ha ben poco valore, dato che come in altri campi, l'eccellenza sta nella perfetta esecuzione, e non nell'originalit*, e quindi nella omologazione del gruppo.
Nella concezione Occidentale abbiamo un teorema opposto, dove l'eccellenza è per così dire acquisita da subito nell'individualit* espressa: come faceva rilevare Jung ne 'L'Uomo e I Suoi Simboli', la realizzazione dell'individuo, e quindi anche dell'artista, in Occidente viene preconfigurata come un percorso che va dall'esaltazione dell'individuo che infine si identifica nel Tutto Universale, mentre in Oriente è esattamente l'opposto: la vera Individualit* può essere realizzata solo annullando il proprio io nella moltitudine, paradossalmente, identificandosi totalmente all'archetipo di appartenenza, e conoscendolo totalmente, in questo caso il musicista.
Fatta questa piccola premessa :DDD:, ho perso pure io il filo! :lol: e direi che un Dex d'annata sicuramente mi riporter* sul beat, anche se un po' in ritardo (laid back)! ;)

juggler
22nd June 2008, 02:36
Sinceramente, non stavo "astrattizzando"...il punto di partenza era il "Braxton post-weberniano"... pensava di dare la propria "lettura" dell'esperienza serialista (risposta al problema che forse per lui era ancora aperto...) che in Europa si era gi* esaurita vent'anni prima...il resto era la "deformit*" concettuale in cui è immerso il mercato dell'arte (forse, negli anni '60/'70 valeva anche per la musica, oggi un po' meno...) Il problema della "soggettivit*" nell'arte è un aspetto prettamente occidentale...diciamo soprattutto dall'Illuminismo in poi (grosso modo)...J.S.Bach firmava le sue opere con la dicitura "come Dio ha creato"...non intendendo se stesso come Dio naturalmente... la sua attivit* di compositore era alla ricerca di un'armonia universale, una forma raffinatamente olistica del sapere; la musica rappresentava un aspetto, una disciplina ed una via interiore: una maniera per avvicinarsi e avvicinare gli ascoltatori a Dio e quindi all'armonia delle leggi della natura.
I riferimenti di Sax'o alla cultura orientale sono congruenti, anche se un po' "confusi"...il musicista indiano appartiene ad una casta (sebbene in India le caste siano state abolite, per legge, rimane tutt'oggi una terribile piaga sociale, una "consuetudine secolare" difficile da estirpare nella mentalit* e visione del mondo degli indiani) e ha una importanza pari a quella che avevano i vari musicisti di corte in Europa (Lully, Salieri, Haydn ecc.)
La bravura del musicista è nella sua capacit* di commuovere la platea: l'eccellenza esecutiva è un "riflesso" di questa...il raga ha una "codificazione simbolico-matematica" molto complessa e raffinata...esistono ragas adatti ad ogni momento e ora della giornata...un bravo esecutore non eseguir* mai un raga del mattino di sera...ogni raga ha le sue "precise forme melismatiche" (ovvero ornamentative e melodiche che lo caratterizzano)...non esiste la bellezza "estetizzante" del suono come in Occidente...un cantante può avere una voce roca e sporca...se durante l'esecuzione gli viene di tossire o sputare non è visto dagli astanti come un'offesa, ma come una necessit* fisiologica... se lo strumentista si accorge che lo strumento si è "scordato" può stare anche un po' di minuti senza scomporsi a "riaccordarlo"...l'importante che con il suo "estro improvvisativo" riesca a sorprendere/commuovere l'uditorio...la differenza fra "noi e loro" è sostanzialmente nella maniera di considerare il pensiero, la mente...la mente, per un orientale, è il 6° senso dell'uomo (non la parte piu' importante...) e come tale ingannevole...la "mente" può mentire a se stessa o elaborare percorsi illusori o se orientata dall'intuizione piu' che dal freddo opportunismo razionalistico può cogliere l'essenza della conoscenza non la sua ingannevole "egotica" descrizione...se nell'arte, come nella vita, prendessimo parte della profondit* di quel pensiero e lo applicassimo...visto che nel passato avevamo "qualit*" simili...forse ci evolveremmo verso un' "altro tipo" di Umanit*...al momento, rimangono solo le nostre e le loro "contraddizioni" irrisolte...e un futuro incerto per entrambi...

Sax O' Phone
22nd June 2008, 12:06
Molto pertinente ciò che scrivi relativamente alla differenza circa la considerazione che l'occidente e l'oriente hanno per il pensiero e la mente.
Il raga (che tra l'altro in Sanskrito sognifica Colore) non è solo legato all'orario della giornata, ma anche alla stagione: ve ne sono moltissimi, ma oltre ad avere una prescisa struttura tramandata nelle relative tribù (che a loro volta definiscono le caste), devono includere parti improvvisate coerenti, esattamene come viene concepito nel jazz per le progressioni. Nella esecuzione musicale, e comunque artistica, vi sono in India canoni molto precisi anche relativi alla sua presentazione (quindi non confondiamoci pensando che il cantante dalla voce roca sia per loro accettabile: non lo è, sopratutto nella tradizione; anche se poi i loro canoni di bellezza possono differire dai nostri, non necessariamente è così, ma sicuramente sono molto più variegati e complessi); ciò non toglie che l'esecutore possa prendersi il suo tempo per cambiare una corda, o accordare lo strumento, ma certamente se la sua esecuzione non è all'altezza della tradizione, o è troppo manieristica, questo verr* piuttosto percepito come un'offesa del pubblico! E questo mi fa ancora di più apprezzare i concetti fondamentali adottati nel jazz: originalit* nell'improvvisazione, aderenza o meglio consequenzialit* al linguaggio tradizionale.

juggler
23rd June 2008, 01:42
Ho registrazioni fatte sul campo...sono stato in India per sei mesi, 15 anni fa...per motivi di studio e ricerche personali: inoltre, ho 2 carissimi amici che hanno passato 20 anni della loro vita, a studiare la musica "classica" dell'India del Nord (il raga, si riferisce a quella tradizione musicale; nel Sud, lo stile musicale è totalmente differente generalmente detto del Karnatak); uno di questi, suonatore di sitar, vicitra vina e surbar (antico cordofono, ormai in disuso e pochissimo suonato anche in India) è docente al Corso di Indianologia del Conservatorio di Vicenza. Lo puoi ascoltare, qui, alla vicitra vina...nell'esecuzione non di un raga, ma di un "bajan" (canto devozionale) dedicato a Durga...

http://it.youtube.com/watch?v=I5fLdUIfO_A

Il termine "raga" (scala musicale) è polisemico...indica anche un colore (come riferisci) ma è soprattutto un sentimento ed ognuno di questo è collegato ad una divinit*: le scale vengono classificate secondo un sistema molto complesso e divise in famiglie ovvero ci sono delle scale "madre" da cui derivano delle scale secondarie...per un leggero approfondimento puoi dare un occhiata qui se vuoi...

http://www.trainguitar.com/SCALE/scale_ ... ndia.shtml (http://www.trainguitar.com/SCALE/scale_north_india.shtml)

puoi fare riferimento anche al trattato di Danielou (esiste solo in inglese)...molto completo sulla teoria...classificazione ecc. un po' meno per la parte piu' prettamente esecutiva...L'esecuzione è pressochè identica in ogni raga: ovvero c'è un alaap
(preludio introduttivo senza tempo) dove chi suona il sitar o il flauto su un bordone (generalmente suonato con la tampura, cordofono accordato sulla tonica e quinta della scala) introduce al "mood" del raga presentando le note della scala...la durata dipende dall'esecutore (in genere, gli "induisti" indulgono piu' a lungo...i mussulmani sono un po' piu' sbrigativi e inclini ad un maggior virtuosismo); dopo l'introduzione, con l'entrata "ritmica" del tabla,l'esecuzione si divide in 3 parti, fino ad un vorticosissimo finale...le variazioni sempre sulla stessa scala avvengono sul tala (struttura circolare ritmica: una delle piu' comuni è il tin-tal, struttura in 16 tempi).
Essendo una musica prettamente melodica/monodica, è importante il canto...ogni musicista indifferentemente dallo strumento che suona, impara prima a cantare e poi a suonare: per la tradizione indiana, se non sai cantare, non puoi suonare! Dalle ns. parti, ci sono tanti "buttatori di note" che se cantano...lasciamo stare!
La monodia è legata anche alla complessit* dei quarti di tono presenti nell'esecuzione sempre eseguiti in base ad un criterio tradizionale...non è la bellezza estetizzante del colore della voce, ma è l'intenzione espressiva che viene apprezzata! Chiudo qui...ho assistito a scene "indiane" che evito di raccontare...

Ultima curiosit*...esiste nel Sud, un saxman virtuoso...Kadri Golpanath

http://it.youtube.com/watch?v=eRiWoP3wmcE

Le "tradizioni" sono fatte dall'uomo: adeguarsi eternamente ad una tradizione...non ha a che fare nè con l'arte, nè con la vita, perchè tutto è in costante mutamento...possiamo ritornare all'argomento "Jazz europeo"...

23rd June 2008, 02:15
Davvero un topic molto interesante!

MyLadySax
23rd June 2008, 16:30
Ecco, ora, miei cari Sax O'Phone e Juggler, la discussione è tornata ad essere più chiara. E pure istruttiva, almeno per me.
Bello quanto affermi sull'analogia jazz/musica classica indiana, Sax O'Phone.
Quanto all'adesione alla tradizione, credo che le vostre idee siano solo apparentemente discordi: è vero che adeguarsi eternamente ad una tradizione non ha nulla a che fare con l'arte e con la vita perché tutto è in costante mutamento, ma è altrettanto vero che questo mutamento avr* il suo corso naturale e il suo tempo, no?

Sax O' Phone
23rd June 2008, 16:46
Ma sì, infatti, non volevo certo affermare che la tradizione, di qualunque genere essa sia, abbia un'origine extra-umana, e quindi sia la depositaria dell'unica verit* vera... D'altro canto, per sapere dove si sta andando, è utile conoscere da dove si viene, sempre che si sia in cammino!
Giustamente c'è chi sta fermo, osservando il lento scorrere del fiume, e tutto gli passa davanti... ;)

juggler
24th June 2008, 01:57
Vediamo di far fluire musicalmente l'off-topic...per farlo diventare congruente! I linguaggi improvvisativi afro-americani ed europei avevano inglobato al loro interno le ricerche delle avanguardie del primo e secondo Novecento: tuttavia, a questa tendenza si è sempre affiancata una...diciamo internazionalista o "terzomondista" (odio questo termine...è un po' razzista...il mondo non è forse uno solo?) Il free aveva gi* aperto questa tendenza...Coltrane...Ayler... Sanders...Don Cherry dopo l'esperienza colemaniana, affronter* percorsi improvvisativi in cui alterner* la sua "pocket trumpet" a vari strumenti etnici (flauti bengalesi, cordofoni africani ecc.) richiamando suggestioni ora contemplative, ora da "carrozzone circense multi-etnico"...da segnalare il trio "Codona" con Vasconcelos e Collin Walcott (sitarista e tablista americano, scomparso prematuramente, che successivamente con Towner contribuì alla creazione del sound "Oregon"... "Out of the woods" è uno dei dischi piu' belli). Non brillano particolarmente i dischi "Codona" (sono 4 o 5 in tutto)...l'opera di quella esperienza piu' riuscita, a mio avviso, è "Grazing Dreams" di Walcott..."Song of Tomorrow" il brano che apre il disco è uno tra i piu' suggestivi e riusciti di quella poetica etnico-orientaleggiante-suggestiva-meditativa-post-freak...
Tornando all'Europa...3 musicisti europei,Dave Holland, John Mc Laughlin, Joe Zawinul, dopo aver preso parte alla svolta "elettrica" di Miles Davis (In a silent way, Bitches Brew) prendono percorsi musicali distinti: Holland continuer* a sviluppare e a lavorare all'interno del linguaggio free (cosa che ha continuato a fare fino ad oggi in modo sempre piu' strutturato) e dar* alla luce un capolavoro "Conference of the birds" con Braxton, Rivers ed Altschul; Mc Laughlin con Shakti
abbraccia il linguaggio improvvisativo della musica indiana: di questa, esalta ed esaspera gli aspetti piu' virtuosistici ed effettistici...

http://it.youtube.com/watch?v=jB95clOd6v0

Seguir* poi l'incisione "Making music"...con Zakir Hussein, Garbarek e il flautista Hariprasad Chaurasia (gruppo che si è ritrovato solo in studio: Garbarek risulta il "meno sintonico" del gruppo...)

Zawinul approda per vie alterne e con formazioni diverse ad un linguaggio improvvisativo, apparentemente libero, che guarda all'Africa, come centro propulsivo di vitalit* e sperimentazione ritmica-sonoriale...

http://it.youtube.com/watch?v=922LumI2ilo

MyLadySax
24th June 2008, 11:49
Il jazz, dunque, una parte almeno, si internazionalizza, si apre al mondo intero.
Juggler, hai una laurea in etnomusicologia e sono sicuro che hai approfondito certi temi pure indipendentemente dagli studi accademici, per cui colgo l'occasione per rivolgere a te questa domanda: qual è oggi la posizione degli etnomusicologi rispetto alle musiche non occidentali, al jazz e all'apertura del jazz (e non solo del jazz) alle musiche non occidentali a cominciare dagli anni '60?
Siamo solo apparentemente fuori tema, perché anche in Europa alcuni importanti jazzisti - come tu hai ben evidenziato - hanno significativamente preso una certa direzione.

juggler
25th June 2008, 02:35
La tua non è una domanda...ma racchiude 3 "diramazioni analitiche":

1) Stato ed evoluzione degli studi etno-musicologici
2) Può l'etnomusicologia applicarsi al jazz?
3) Jazz e musiche extra-europee: indirizzi, linee di ricerca, possibili sviluppi

Riguardo il primo punto... posso dare indicazioni bibliografiche: il testo di Bela Bartok "Scritti sulla musica popolare"
e poi tutto ciò che hanno scritto i 2 giganti della ricerca etnomusicologica: Alan Lomax e Diego Carpitella (è grazie al lavoro incredibile di quest'ultimo iniziato negli anni '50 che oggi in Italia possediamo un archivio di canti popolari che avremmo irrimediabilmente perso). Lomax ha fatto ricerche persino nelle carceri americane dove erano detenuti molti afro-americani
come il famoso bluesman, Leadbelly...denunciato il razzismo presente negli USA...ed ha collaborato con Carpitella: insieme andavano nelle campagne lucane e calabresi a registrare i canti dei contadini...Di Lomax esiste un archivio su Internet in cui basta iscriversi e si può accedere ad una quantit* infinita di fonti e fare scoperte sorprendenti...è stato il primo a registrare le prime "improvvisazioni" di Jell Roll Morton come di Muddy Waters...la collaborazione con Carpitella e i contributi dell'antropologo Ernesto De Martino lo portarono a convincersi che nel jazz e nel blues ci sono molti influssi della musica mediterranea!
Grazie a questi studiosi, è stata abbandonata tanto la "linea eurocentrica" (universalit* dei valori della cultura occidentale) quanto quella "etnocentrica" (in riferimento al jazz, alla predominanza degli afro-americani): il jazz è la prima musica trans-nazionale che si è nutrita degli apporti creativi di culture diverse che si sono fuse ed amalgamate in essa, fin dalle sue origini! I punti 2 e 3 sopra citati perdono legittimit* perchè vengono inglobati nel quadro complessivo della comparazione musicologica.
La ricerca etnomusicologica, inoltre, ha contestato le metodologie storiografiche che sono state applicate alla musica: non è possibile affermare che ci sia stata una univoca direzione di sviluppo...ad esempio, se si siano sviluppate prima forme vocali o prima quelle ritmiche...quale evoluzione e che caratteristiche abbia avuto la musica popolare in Europa, dal Medioevo all'Ottocento: in fondo, la "storia della musica" è la storia delle "musiche" delle classi dominanti (ecclesiastici e classe nobiliare)...la polifonia non è caratteristica solo del Medioevo europeo...c'è chi ipotizza che persino gli antichi Egizi avessero sviluppato delle forme polifoniche...solo l'Europa da un certo punto in poi, comincia a considerare l'attivit* musicale come fatto meramente estetico: in tutte le altre culture, la pratica musicale è un atto meramente funzionale legato a varie occasioni rituali e sociali, con contestualit* alquanto complesse, dal punto di vista sociologico e antropologico, soprattutto nelle culture animiste e sciamaniche. Nelle Olimpiadi dell'antica Grecia, esisteva tra le varie discipline, l'"auletica" ovvero suonatori, soffiatori di tubi di vari materiali e fattezze (l'organologia antica è sperimentale ovvero lo strumentista era anche generalmente il costruttore dello strumento stesso) provenienti da ogni parte del Medio Oriente, dell'Asia, del Mediterraneo...che si sfidavano...il pubblico decretava il vincitore a cui veniva data una corona d'alloro! Potessimo fare un viaggio nel tempo e ascoltare quelle..."jam"...sicuramente faremmo scoperte che rivoluzionerebbero l'intero corpus di conoscenze che oggi possediamo!
Insomma, ci sono molti aspetti complessi...l'etnomusicologo, inoltre, deve avere le qualit* e la sensibilit* tipica dell'antropologo: non potr* mai capire un evento musicale solo dotato di strumenti classificatori ed analitici se non si immerge totalmente nella cultura, nelle modalit* sociali ecc. spogliandosi totalmente di tutti i propri pregiudizi culturali...
Per un approccio introduttivo, posso consigliare la lettura (a chi lo volesse) del libro "Grammatica della musica etnica" Ed. Bulzoni: vengono analizzati i parametri musicali e i fondanti pratico-teorici su cui si basa l'odierna etnomusicologia.
Degli influssi della musica mediterranea sul jazz...ne riparliamo appena avrò un po' di tempo...

MyLadySax
26th June 2008, 08:40
Grazie!
A proposito, a cura di A. Lomax ho un meraviglioso doppio vinile - The Story of the Blues - che risale a quando ero ragazzo.
Ho letto il suo libro su Morton (chiss* se oggi è disponibile la traduzione in italiano?) e posseggo tutte le registrazioni di Morton per la Libreria del Congresso, compresa la lunga intervista.
Juggler, sei preziosissimo.

juggler
9th July 2008, 02:20
Non so se sono "preziosissimo" (ringrazio MyLadySax): mi auguro quanto meno di poter fornire delle informazioni che per quanto sintetizzate (talvolta, in modo estremo) per questioni di spazio-tempo, possano offrire una visione estesa degli sviluppi che il jazz ha avuto, spogliata di qualsivoglia "falsa mitologia" o anedottica che nel tempo ha contribuito a falsare la
"lettura", l'interpretazione dell'esegesi e gli sviluppi di quel "linguaggio musicale polisemico" chiamato jazz, che ha rivoluzionato la musica del secolo scorso!
Dove e come nasce l'influsso della musica mediterranea sul blues e sul jazz? Dalla tradizione musicale islamica: la civilt* islamica influenzò culturalmente, per molti secoli, l'intero bacino del Mediterraneo e vaste regioni dell'Africa sub-sahariana svolgendo tra le due aree culturali, uno scambio relazionale (culturale, commerciale ecc.) di altissimo livello che fu represso dal colonialismo militare occidentale e successivamente (ancor oggi...per ragioni di tutt'altra natura) ignorato e rimosso dal "colonialismo culturale"! Paul Oliver, uno dei piu' profondi conoscitori delle origini del blues, fu tra gli studiosi, uno dei primi che riconobbe che alle origini del blues c'era la cultura musicale delle popolazioni dell'Africa sub-sahariana; anche nel Sud-Italia, Lomax e Carpitella poterono constatare che la tradizione musicale popolare era stata segnata dalla musica araba, dalle sue numerose "correnti" (arabo-persiana, balcanica, moresca, greco-persiana, afro-islamica, arabo-andalusa) e
dalle successive "derivazioni" che la dominazione spagnola contribuì a diffondere e attualizzare.
Va fatta una distinzione importante tra l'area sub-sahariana e l'area costiera in cui si divide l'Africa Occidentale: le zone delle foreste fluviali (in prevalenza sulla costa) erano abitate da tribu' animiste, musicalmente caratterizzate dall'uso di una notevole quantit* di percussioni utilizzate poliritmicamente secondo la contrapposizione solo-tutti e con schemi vocali molto limitati; la zona del Sahara era maggiormente frequentata da tribu' islamiche, la cui musica era piu' melodica e vocalmente raffinata: le popolazioni sub-sahariane mostrarono rispetto a quelle della costa una maggiore inclinazione per gli abbellimenti canori, suoni vibrati con propensioni "nasali", l'uso del falsetto, piu' ricercate sfumature tonali, effetti "melismatici", passaggi dal registro alto a quello basso della voce talvolta con pause di grande effetto.
Tanto la musica araba (da considerare tutte le "varianti mediterranee") che il blues sono fondamentalmente microtonali, omofonici, iterativi e microvariazionali. Le differenze descritte portarono Oliver a convincersi che le popolazioni costiere con le loro poliritmie influenzarono il jazz e i canti e le musiche sub-sahariane diedero forma al blues.
Individuato (se pur sinteticamente) questo "spartiacque" diventa ovvia la parentela tra il folklore del nostro Meridione e la tradizione musicale delle tribu' sub-sahariane in quanto derivate dallo stesso ceppo culturale: fioriture e melismi su note lunghe e tendenzialmente calanti si ritrovano, ad esempio, in un particolare tipo di stornello calabrese detto "fiore", accompagnato dalla "chitarra battente" (strumento di derivazione araba) quanto nelle "tammuriate" napoletane; certe modulazioni innestate su strutture melodiche tendenti alla litania, tipiche di certi canti siciliani, sono simili alle modulazioni ("nabarat") del canto arabo.
E quindi...a influenzare ciò che è stato chiamato jazz...è stato un genere come il blues (di forte impronta araba) insieme ad altre tradizioni come quella italiana, spagnola, portoghese, ebrea...con forti ascendenze mediterranee!

MyLadySax
9th July 2008, 11:21
L'argomento mi interessa molto.
Però, vorrei, innanzitutto, essere certo di avere capito.
Intendi che la musica della regione delle foreste fluviali che si trovano prevalentemente lungo o in prossimit* della costa dell'Africa Occidentale subsahariana, costa che si affaccia sull'Oceano Atlantico, con le sua poliritmie e i suoi schemi del tipo uno/tutti ha influenzato, secondo Lomax e Carpitella, il jazz, mentre il blues sarebbe debitore soprattutto della musica delle zone più interne dell'Africa Occidentale subsahariana, con i suoi melismi nasali e balzi di registro?

juggler
29th July 2008, 03:57
Raccontata come una favoletta, potrebbe "apparire"... come tu riassumi, MyLadySax...ma ci sono questioni un po' piu' complesse che è difficile definire in modo completo o quanto meno accettabile. Per ciò che concerne il blues, le "influenze mediterranee" e le "coincidenze" con le musiche del Sud Italia, sono state ampliamente dimostrate dalle ricerche di Lomax e Carpitella...per ciò che concerne il "collegamento"...popolazioni delle foreste pluviali con "linguaggio percussivo poliritmico" e influenza diretta di questo sul jazz, a mio avviso, non è dimostrabile...c'è chi si accontenta anche fra gli studiosi di questa "suggestione"...ma ci sono una serie di "variabili socio-antropologiche" a cui non è possibile rispondere con certezza e che cercherò ora di evidenziare.

1) Come si fa a stabilire se le "deportazioni forzate" degli Africani, nelle Americhe, fossero omogenee dal punto di vista etnico
ovvero che gli "schiavi" deportati nelle varie regioni dell'America del Sud, provenissero dallo stesso ceppo sociale e culturale?
Lo schiavismo era praticato anche tra le varie tribu' o regni africani in lotta fra loro...se, ad esempio, veniva catturato un guerriero che nella sua tribu' aveva anche "funzioni musicali"...in che modo veniva integrato nel nuovo contesto? Era considerato un "animale da soma" o c'era la possibilit* di un "riscatto integrativo" in termini sociali, stabilito da particolari riti o prove di coraggio o quant'altro? E se sì...gli veniva riconosciuta la sua "vecchia funzione" o gli si attribuivano altri compiti specifici?

2) C'è chi sostiene che l'idea di ridurre in schiavitu' i popoli africani (o quanto meno una buona parte di questi) sia venuta agli spagnoli e portoghesi, emulando un costume e una credenza tipica del popolo Tuareg: i Tuareg, credevano inferiori le popolazioni di colore, presenti sulla costa...e spesso e volentieri, essendo un popolo di razziatori, saccheggiavano e riducevano in schiavitu', anche i bambini...l'unica nota "positiva" è che li integravano all'interno del loro gruppo sociale affidandoli dei compiti specifici e si prendevano cura di loro, ad esempio, se si ammalavano o fino alla vecchiaia; ma è vero, anche, che incominciarono ad usarli come merce di scambio con gli Europei per avere armi o altre masserizie e in taluni casi aiutavano, come guide, i "negrieri"...i quali dovevano raggiungere un certo "contingente umano" prima di partire per le Americhe e quindi deportavano piu' tribu', piu' popolazioni...insomma, quando questi "sfortunati" venivano imbarcati potevano provenire tanto dalle zone interne quanto da quelle sulla costa...

3) Le popolazioni sub-sahariane dell'interno, dal punto di vista musicale, non possedevano solo "qualit* melodiche" (come gi* ho descritto) ma anche una tradizione ritmica vivace e a suo modo di una certa complessit*...

4) La poliritmia è piu' evidente e tangibile, nelle musiche delle zone caraibiche e nel Brasile (anche queste zone furono, per lungo tempo, attraversate da flussi di schiavi deportati per lavorare nelle piantagioni di caffè, canna da zucchero ecc.)

5) Dov'è la poliritmia, nel jazz delle origini? La "contaminazione europea" è piu' evidente di quella africana...la radice africana appare come "ri-appropriazione culturale" a partire dal be-bop in poi...ma come dire...nel frattempo gli "schiavi" erano un triste ricordo...anche se rimaneva la "segregazione razziale"...

6) Sono passati 91 anni, da quando fu inciso il primo disco di jazz...era il 1917...dalla "Original Dixieland Jass Band"...direttore era un italo-americano, figlio di emigrati siciliani: Nick La Rocca.
Gli italiani o meglio gli italo-americani hanno dato un contributo alla nascita e agli sviluppi del jazz notevole: dopo tanti anni di "oscurantismo"...è stata fatta luce anche su questo aspetto...ma questo è un altro discorso...

MyLadySax
29th July 2008, 10:45
Ben tornato, Juggler.
"Influenze mediterranee"? Indubbiamente sì, sono verosimili sul blues, che è nero, ma è pure bianco, dato che in Africa non c'è mai stato.
Anche se credo si tratti più di "coincidenze" che di "influenze": la musica medio-orientale ha, come tu sostieni, influenzato la zona più interna del Continente che è entrata in contatto con il mondo arabo, ma pure l'Europa, e non solo mediterranea, in seguito all'invasione araba in epoca medioevale (Van Der Merwe).
Le deportazioni nelle Americhe non potevano essere etnicamente omogenee, poiché l'area dell'Africa occidentale subsahariana interessata dalla presenza colonizzatrice europea (portoghesi, spagnoli, ecc.) è vastissima e comprende Mandinka, Kissi, Akan, Ewe, Yoruba, Ibo, Ngombe, Zulu, ecc., tutti popoli con lingue e tradizioni non solo musicali diverse, per cui il sincretismo ha riguardato anche le stesse tradizioni africane.
Nè pare vi fosse omogeneit* sociale e culturale tra i deportati nelle navi negriere, poiché la tratta è stata alimentata sia - soprattutto nel primo periodo della colonizzazione, ma successivamente pure ad opera degli inglesi - attraverso il rapimento violento e indiscriminato sia attraverso il meccanismo dello scambio oggetti contro uomini, di norma gi* schiavi o prigionieri, appartenenti ai gradini più bassi di un sistema sociale simile a quello feudale.
Quanto dici sulla possibilit* o meno dello schiavo di guerra di riacquistare, per esempio affrontando una prova di coraggio, la propria libert* e con la propria libert* pure la propria "funzione musicale" mi sembra argomento assai interessante su cui non mancherò di riflettere, però forse è ancor più importante chiederci se allo schiavo, che avesse o non avesse prima di essere schiavo "funzione musicale", fosse preclusa qualsiasi attivit* di tipo musicale oppure no; ma anche chiederci se la funzione musicale presso certi popoli africani sia esclusiva pertinenza di specialisti.
Quanto alla poliritmia nel jazz primigenio, o, più esattamente, nel jazz delle prime registrazioni, dal 1917 se quello dell'Original Dixieland Jass Band fosse davvero jazz, devo essere sincero, Juggler, ma, benché nelle musiche caraibiche e brasiliane sia assai più tangibile, non mi pare si possa negare (ho quintali di registrazioni del jazz degli anni '20: dixieland, New Orleans style, J. R. Morton, le prime formazioni Hot di Armstrong, il primo stride...): la sovrapposizione di un pattern ritmico di quattro note su un metro di 2/4 o 4/4 con l'accento che, però, cade ogni tre note del pattern, come se il metro fosse di 3/4, è, per esempio, gi* comunissima nel ragtime, antenato del jazz (e del tutto assente nelle marce europee).
Di fatto, nel messaggio da te inviato il 9 luglio, tu stesso riporti la convinzione di Oliver "...che le popolazioni costiere con le loro poliritmie influenzarono il jazz".
Che, poi, i bianchi, e tra questi pure gli italiani, abbiano contribuito alla nascita del jazz nessuno lo mette più in dubbio (lo sosteneva anche Armstrong); d'altronde, pare che la canzone napoletana abbia influenzato pure le melodie dei primi samba!

Sax O' Phone
29th July 2008, 13:51
Jelly Roll Morton sosteneva che senza molto Latino nella musica non può esserci il Jazz: cosa che condivido, anche se dobbiamo pure considerare che lui affermava di essere l'inventore del Jazz. Nick La Rocca con la sua band è stato il primo a fare una registrazione di quel genere musicale che ormai da anni veniva suonato da diverse bande a Crescent: come direbbe Miles Davis 'this is the usual white men shit!', e cioè quell'usuale atteggiamento del bianco di volersi appropriare sempre delle cose buone inventate da altre razze; lo stesso vale per gli spaghetti: li hanno inventati i Cinesi! (E si sctenò la polemica...! :lol: )

MyLadySax
29th July 2008, 16:17
Morton parlava di "spanish tinge", leggera tinta spagnola, e si riferiva in particolare alla figurazione dell'habanera, che, secondo alcuni musicologi (in Italia, per esempio, Marcello Piras e Stefano Zenni), sarebbe in realt* un ritmo afroamericano di origine cubana ("Mamanita" al piano solo del 1923 è un esempio sublime).
Quello di Nick La Rocca e della sua Band non è che fosse esattamente jazz, piuttosto una riproduzione senza swing nè improvvisazione (ma l'improvvisazione nel jazz primigenio richiederebbe qualche parola in più) del jazz.
Tuttavia, La Rocca era un gran bel cornettista, tanto che ha influenzato in maniera significativa pure Beiderbecke, e la sua musica ha una sua specifica valenza estetica, a mio personalissimo giudizio.
Mi piace solo ricordare che l'occasione di registrare jazz per la prima volta era stata data, secondo la leggenda, dalla Victor, gi* nel 1916, al cornettista nero Freddie Keppard, che rifiutò, per timore di essere copiato.
Le registrazioni successive di Keppard (dal 1923) non sono altamente significative, poiché il musicista era ormai alcolizzato e sulla via del declino, anche se le ho sempre trovate toccanti per la straordinaria nobilt* e genuinit* d'accenti.

Sax O' Phone
29th July 2008, 18:26
Sì, ho sentito anch'io la storia di Keppard: non era comunque il solo a non voler farsi registrare per timore che riuscissero a copiarne lo stile, ed a rubargli il lavoro... :ghigno: ed in fondo, non si può dargli nemmeno torto... Per le altre considerazioni, sembra di assistere ad un match di ping-pong o di tennis o... insomma: la pallina continua a venir rispedita da una parte all'altra, da un continente ad un altro, da un mare ad un altro... :lol:

juggler
30th July 2008, 03:20
Parafrasando l'incipit di J. H. Kwabena Nketia (etnomusicologo del Ghana, di cui suggerisco a chi volesse...la lettura del suo famoso libro sulla musica delle popolazioni che vivevano a sud del Sahara), le "osservazioni musicologiche" che da poco piu' di vent'anni, hanno svelato la relazione fra cultura mediterranea e jazz, con sempre maggior dettagli (da leggere:"Jazz e cultura mediterranea" di Giorgio Adamo, Salvatore Biamonte e Luigi Bonifazi) può sintetizzarsi come "lo studio delle diversit* nell'unit*". Non può piu' sorprendere, quindi, che siano state confermate le influenze della tradizione arabo-islamica (con tutte le derivazioni, che sottolineavo in un precedente intervento) tanto nel blues quanto nelle tradizioni musicali popolari del Sud-Italia.

Piccolo incipit: la ricerca musicologica si serve di metodologie analitiche simili alla sociologia e all'antropologia ovvero difficilmente possono essere individuati degli "sviluppi evolutivi" che stabiliscano verit* rivelate o assolute; le societ* e gli individui che le compongono sono, per definizione, "fluidi"...certi cambiamenti, influssi, orientamenti, integrazioni ecc. avvengono secondo modalit* non prevedibili e non sempre spiegabili in modo lineare; troppe sono le "eccezionalit*" da dover prendere in considerazione per poterle unificare in una teoria generale e quindi poter arrivare a conclusioni definitive o riuscire a prospettare evoluzioni certe.

Per questo, i miei dubbi circa il collegamento jazz-poliritmia-popolazioni delle foreste pluviali rimangono... perchè indimostrabile! L'ipotesi di Paul Oliver, per quanto suggestiva, tale rimane...Faccio un esempio: a Cuba, è evidente l'influenza dell'etnia Yoruba, sia nella tradizione musicale quanto nel sincretismo religioso...si possono fare delle ipotesi:
1) la popolazione indigena dell'isola, aveva visioni del mondo, idee, simbologie ecc. che avevano molte "analogie referenziali"
con quelle dei "deportati africani"...per cui, non ha opposto "resistenze culturali" e le ha integrate al suo interno...
2) i "negrieri spagnoli", dopo un po' di esperienza accumulata...possono aver individuato nel tempo, quali "etnie" erano piu' adatte o resistenti a certi lavori nonchè ai massacranti e inumani viaggi...tanto da operare delle "deportazioni selettive"...

Per gli Stati del Sud degli Stati Uniti, le vicende migratorie tanto degli africani quanto degli europei sono piu' complesse: la musica italiana ebbe il suo peso nell'influenzare il primo jazz di New Orleans; alcuni studiosi hanno messo in evidenza la popolarit* locale del filone operistico rappresentato dalla French Opera House della citt* e l'impatto che certe soluzioni di Verdi e Doninzetti produssero sulle idee musicali di Jelly Roll Morton.
E' nota inoltre la fortissima impressione che suscitarono fra i neri le voci di Enrico Caruso e di Adelina Patti: una delle prime cantanti di "classic blues" come Sissieretta Jones assunse addirittura il nome d'arte di "Black Patti"; nei numerosi bordelli della Crescent City gestiti da donne italiane era motivo d'orgoglio nazionale e sinonimo di finezza europea raccogliere accanto al grammofono i dischi di Enrico Caruso. Il bluesman di New Orleans, Jack Dupree, ha raccontato che ad ogni angolo della citt* echeggiavano melodiose canzoni siciliane e napoletane, come "O sole mio": la comunit* italiana era gi* folta, a New orleans, gi* dalla prima met* dell'Ottocento, era la comunit* piu' numerosa fra gli Europei.
Gli italiani occuparono per molto tempo i gradini piu' bassi della gerarchia sociale, vivendo a stretto contatto con la minoranza di colore, lavorando nei medesimi cantieri e frequentando gli stessi locali: gli italiani non erano considerati dei veri e propri bianchi; venivano chiamati dispregiativamente "dagos" (da "dagger"= coltello; per via dell'abitudine dei siciliani, i piu' numerosi nella comunit* italiana, a risolvere le loro dispute con lo "stiletto") quasi una razza a sè, che era bramosa di promozione sociale e chiusa in compatti gruppi familiari.
Al critico William Ferris, il pianista Jasper Love dichiarò: "Dove lavoravo io, non c'erano bianchi...molti erano Italiani..."
Insomma, eravamo considerati come i neri...
Circa la vicenda umana e artistica di Nick La Rocca, vi invito a leggere la testimonianza di Claudio Lo Cascio, unico musicista italiano ad aver ottenuto la cittadinanza onoraria di New Orleans, per aver fatto estenuanti quanto entusiasmanti ricerche sull'importanza del cornettista italiano nel jazz delle origini...

http://www.jazzitalia.net/articoli/nicklarocca.asp

MyLadySax... sono tutte vere le affermazioni che fai su Jelly Roll Morton...ma non si tratta di poliritmia...l'esecuzione di tempi a suddivisione binaria come fossero ternari o lo spostamento di accenti è il germe di ciò che verr* chiamato swing...
Morton, come poi faranno tutti i grandi del jazz, offriva a se stesso dei margini d'interpretazione di ciò che scriveva tali da potersi "contraddire"....in un certo senso, è la dimostrazione che la "scrittura musicale" di per sè, è un artefatto...
La poliritmia richiede la sovrapposizione di cicli estesi e circolari con la possibilit* di articolarsi in modo variabile...
Nel "Ragtime" dell'"Histoire du Soldat" di Strawinsky... c'è l'inizio in 7/16, poi 5/16 ancora 2/16...ogni battuta è diversa...
sembrerebbe una composizione poliritmica...ma osservando bene la partitura tutto è leggibile come fosse 2/4...si potrebbe dire "complicazione intellettualistica" oppure è la presa d'atto dell'impossibilit* di una scrittura precisa...
Gi* in epoca romantica, vi sono brani scritti in 6/8, i cui spostamenti d'accento della parte solistica, rendono la lettura facilitata se pensata in 3/4 mentre l'accompagnamento rimane a 2 tempi a suddivisione ternaria...ma anche in questo caso, nè trattasi di poliritmia e meno che mai di jazz, ma di "contraddizioni scritturali"...

MyLadySax
31st July 2008, 15:29
In senso stretto, e sempre che vi siano altri sensi, per poliritmia si intende, semplicemente, l’impiego contemporaneo di ritmi diversi nel contesto di una medesima esecuzione.
La formula poliritmica cui ho fatto riferimento è ricorrente nel ragtime, antenato del jazz, e si ripete più volte, di norma fino a durare almeno quattro battute (si ascoltino, per esempio, “Gladiolus Rag” e “Pine Apple Rag” di Scott Joplin).
Il ragtime, benché debitore della marcia europea, se ne distingue, tra l’altro, proprio per la presenza di sincopi e formule poliritmiche come quella descritta (Winthrop Sargeant, 1975; Edward Berlin, 1980).
Questa ed altre formule basate sulla sovrapposizione di 3 su 2 o 2 su 3 (Aaron Copland, in “Jazz Structure and Influence on Modern Music”, ha interpretato, gi* nel 1927, come un poliritmo la cosiddetta sincope senza legatura del ragtime) sono ricorrenti non solo nel ragtime, antenato del jazz, ma un po’ in tutto il jazz anche prima della rivoluzione del bebop, benché dal bebop in poi certi africanismi siano stati con consapevolezza sviluppati.
Un esempio per tutti: lo scat, modernissimo, di Louis Armstrong in “Hotter than That” nel 1927 con gli Hot Five, ma pure J. R. Morton ripropone la lontana matrice del percussionismo africano nello sfasamento ritmico fra mano destra e sinistra sul pianoforte, che è alla base anche dello stile di James Price Johnson e in genere dello stride.
Ma vi è molto di più.
Pur non potendosi negare che nella musica popolare brasiliana, per esempio, l’eredit* africana è più ricca e più evidente (si pensi alla batucada), nel jazz primigenio l'andamento polifonico e poliritmico della tradizione africana è ripreso affidandone l’intreccio alle voci strumentali di derivazione europea (Luca Cerchiari, 2007).
Lo ha evidenziato Gunther Schuller (1968), che si è basato sulle trascrizioni del Reverendo Arthur Morris Jones di musiche degli Ewe del Ghana basate su strumenti a percussione.
In anni più recenti, Schuller è stato contraddetto, non saprei quanto a ragione, sia da Alfons Dauer (1985) che da Van Der Merwe (1989), per i quali all’origine del ritmo afroamericano ci sono gli ensemble di strumenti africani a fiato, ma entrambi gli studiosi sono pervenuti a risultati analoghi quanto alla matrice africana della poliritmia presente nel jazz delle origini.
Quanto alla poliritmia nella musica colta europea, direi che l’espediente esecutivo di pensare in 3/4 brani di epoca romantica (o di altra epoca) scritti in 6/8 è una questione completamente diversa, che nulla ha a che vedere con la poliritmia; direi anche che la musica di Strawinsky – e del Novecento – può essere ricchissima di poliritmi, ma anche questa è una questione diversa e, semmai, è stata la musica afroamericana a influenzare Strawinsky e non viceversa, almeno sotto questo particolare aspetto.
Quanto all'influenza degli italiani sul jazz primigenio, mi piace ricordare George Paoletti, Luigi Gabicci e Arno Loiacono, maestri rispettivamente di tromba, clarinetto e contrabbasso, che gi* da met* Ottocento hanno contribuito alla formazione di tanti futuri jazzisti della prima ora; della enorme diffusione dell'opera italiana, profondamente amata per esempio da Armstrong e da Morton, rappresentata nella French Opera House, ma anche altrove a New orleans; di musicisti dixieland influenti come Tony sbarbaro, Frank Guarente, Charlie Cordilla, Leon Roppolo ... .
Di Kwabena Nkedia ho letto, circa quindi anni fa, “La Musica dell’Africa”, che trovo molto bello, oltre che straordinariamente istruttivo.

juggler
31st August 2008, 05:06
Con questo intervento, intendo chiudere definitivamente questo thread...sostanzialmente, per mancanza di tempo, ma anche perchè è stato detto abbastanza...chi, da curioso, ha seguito il dibattito, senza parteciparvi, ha gi* diversi elementi e indicazioni per poter continuare in modo autonomo, le proprie ricerche, i propri approfondimenti, i propri ascolti...rispondo alle ultime "sollecitazioni" di MyLadySax e mi scuso per l'"eccessivo ritardo"...

Il termine "poliritmia" è stato usato sempre in modo ambiguo e inappropriato dai musicisti e dagli studiosi occidentali: con esso, si indicano tanto le parti sovrapposte che procedono secondo ritmi diversi e talvolta anche i cambiamenti ritmici che intervengono all'interno di una stessa linea melodica; Sachs, in primis, preferì usare il termine di "ritmo incrociato", poichè la sovrapposizione di ritmi diversi, di molti "modelli ritmici" che si incrociano, è peculiarit* della musica africana (le tesi di Sachs sono state confutate e ampliate dagli apporti di un altro grande studioso di musica africana come Sihma Arom, nel 1989)per ciò che concerne il jazz è, a partire da Max Roach, che il "tessuto poliritmico" diventa evidente e può configurarsi come una "discendenza africana": riferirlo ad esempi musicali precedenti è un "vizio" di matrice eurocentrica, di cui alcuni compositori e studiosi non sono esenti (ahimè, alcuni ancora tutt'oggi...) il concetto di ritmo, nella cultura musicale occidentale, è alquanto confuso e contradditorio...metro-ritmo, poliritmia-polimetria...basta sfogliare i testi di solfeggio presenti nei Conservatori...e la confusione raggiunge vertici parossistici...fra i testi di solfeggio, l'unico "testo serio" che mi sentirei di consigliare è quello scritto da Paul Hindemith: infatti, da quel che mi risulta (non so, se ve ne sono altri simili) è l'unico ad avere dei solfeggi cantati in cui è scritto anche l'accompagnamento ritmico, che l'allievo deve eseguire simultaneamente al canto...ed alcuni non sono per nulla semplici...
C'è un aspetto esecutivo che caratterizza lo stile di Morton, come di altri pianisti della sua epoca, che va considerato...nel bebop, il pianismo jazz ha conosciuto grandi progressi armonici, ma il tutto si riduce a 2 soli piani sonori: accordi affidati alla mano sinistra, fraseggi alla destra...ai tempi di Morton, ma anche con Scott Joplin, i piani sonori erano 4:
canto, controcanto, armonie centrali, bassi - la mano sinistra d* il tempo, i bassi e le armonie, alternando un basso e un accordo...l'um-pa, um-pa...che oggi ci appare pesante e vetusto...in realt* offre ad un buon pianista diverse soluzioni...e Morton le sapeva sfruttare tutte...la mano destra, alle melodie unisce sempre un controcanto, un raddoppio, una scia di 2 o 3 note talvolta ben "tagliate ritmicamente", altre volte in funzione "decorativa"...insomma, Morton pensava con le due mani in modo simultaneo e indipendente, tessendo una trama polifonica con i 4 piani sonori in continuo e fitto dialogo fra loro...ed è chiaro che in taluni casi possono affiorare "ritmi incrociati"...lo stesso Morton affermava: "Il piano deve simulare un'intera orchestra"...come afferma Piras (che è un caro amico) "un rag di Morton è come una mazurka di Chopin, è scritto tutto, nota per nota...ha melodia, controcanti, accordi e bassi...lo si può suonare in concerto così com'è"
Il riferimento che facevo a Stravinsky (ma avrei potuto farlo con altre centinaia di esempi tratti dall'intero corpus della musica europea colta) riguardava proprio questo "errore definizionale" unito alla "contraddizione scritturale" della tradizione eurocolta che con la poliritmia non c'entra nulla...Stravinsky, poi, da aristocratico disincantato e distaccato quale era, non aveva bisogno di prendere alcunchè dal jazz...lui, come tutti i compositori russi, possedeva una "fantasia ritmica" che nei restanti compositori del "continente europeo" era quasi...assente...
Si ascolti, ad esempio, il "Precipitato", ultimo movimento della 7^ Sonata per pianoforte di S. Prokofiev...

http://it.youtube.com/watch?v=5LR86sgO6C4
sembra un'incredibile "anticipazione"...del "percussivismo pianistico" di Cecil Taylor...

Stravinsky dava inoltre dell'improvvisazione jazzistica un giudizio poco clemente, definendola "una masturbazione che non porta da nessuna parte..." non si sa a cosa o quale stile "jazz" si riferisse...rispetto a certi "revivalisti" che tutt'oggi ci sono in giro, la sua affermazione mi sembra molto pregnante e attuale...
Schuller, come tanti altri dotti musicologi eurocolti, ignorava la comprovata e rilevante presenza musulmana nei contingenti schiavili che arrivarono in America...per questo, le sue tesi sono state tutte abbondantemente "sconfessate"...
Non sono "coincidenze" che accomunano blues e musica del Meridione italiano, ma "somiglianze" che derivano dallo stesso ceppo culturale: quello arabo-islamico.
L'errore piu' diffuso e "imperdonabile" è stato quello di credere per molto tempo la musica africana come un "unicum"...

Foday Musa Suso, grande virtuoso di Kora, discendente da una famiglia di "griot" di etnia mandingo, che vive a Chicago dal 1966, (ha inciso con DeJohnette e con Hancock) intervistato sull'eredit* africana presente nel jazz, ebbe a dire:
"La mia opinione potrebbe non piacerti...conosco i musicisti di Chicago, l'Art Ensemble...viviamo piu' o meno tutti nell'area di High Park e li incontro spesso...quando parlano di musica africana, credo che non sappiano di cosa si tratta...se suonassero in un villaggio africano quella che secondo loro è una musica legata all'Africa, la gente non vi si riconoscerebbe affatto...un conto è andare in Africa e suonare con musicisti locali, un'altra cosa è suonare la tua musica tingendoti la faccia da pseudo-tribale e dire che è africana...è indispensabile imparare le forme tradizionali della musica africana per poterla suonare:quello che fanno i neri statunitensi quando cercano di imitare la musica africana spesso sono solo schiamazzi! In Africa, non è così: quando si suona la batteria o un tamburo si sta innanzitutto parlando ai danzatori..."vai a destra...salta verso l'alto...chinati in basso..." la musica africana così come la intendono molti musicisti afro-americani è un concetto astratto...esistono in realt* tanti stili quanti sono i linguaggi (nel senso di lingue parlate)...non lo si deve mai dimenticare!"

Non credo ci sia molto da aggiungere...così come è fuorviante parlare di non-jazz per la musica di La Rocca...per quanto chiassona e divertente (ha fatto da sottofondo a tante comiche del cinema muto americano pre-StanLaurel&OliverHardy) indicava l'inizio di una "nuova sensibilit*"...che è andata nel corso del tempo, modificandosi...la "matrice africana" riferita al jazz degli inizi e non solo (dimenticando/rimuovendo la radice arabo-islamica di gran parte delle popolazioni deportate...è un caso che a partire dagli anni '50, piu' o meno, molti afro-americani si siano convertiti all'Islam?), è la piu' grande bufala "musicologica" che sia stata mai propagandata...così come distinguere il jazz afro-americano o europeo non ha senso...se non in riferimento ad un ambito geografico o di appartenenza anagrafica...le "intersecazioni" e influenze sono state costanti e variabili nel tempo...senza l'Europa, si è gi* detto, il jazz sarebbe morto (così come molti dei suoi protagonisti sarebbero scomparsi) gi* dalla fine degli anni '50...senza l'apporto significativo degli emigrati europei con il contributo notevole degli afro-americani forse non sarebbe nato...gli afro-americani hanno dovuto integrarsi in una societ* che li vedeva come "reietti" e... reietti erano considerati anche molti europei (soprattutto quelli che non erano di lingua madre inglese...e si sa, gli "sfigati" ,fra loro, sono solidali...), tra cui anche noi italiani...il jazz è stata la musica di chi "sdradicato" o isolato per vari motivi cercava una forma di riscatto o semplicemente "ricreava" creativamente una tradizione inesistente che si è "costruita" al passo con i cambiamenti sociali, economici, ambientali, di costume, che hanno caratterizzato l'intero '900...e iniziato un nuovo Millennio...tutti gli inizi sono sempre confusi e contradditori...qualcosa di nuovo, sta apparendo, qualcosa di "vecchio" resiste (come è sempre accaduto)...alcune "tendenze" (che potranno avere degli sviluppi) sono evidenti...chiss*...

MyLadySax
31st August 2008, 17:55
Scusami, Juggler, ma prima di tutto occorre intendersi.
La nozione ad oggi non solo più ricorrente, ma quella cui tutti, unanimamente, fanno riferimento, di "poliritmia", salvo che non si scomodi proprio quello studioso che la pensa diversamente (c'è sempre chì va controcorrente, ma non sempre a ragione, anzi), è la nozione, semplicissima, di impiego contemporaneo di ritmi diversi nel contesto di una medesima esecuzione.
A partire dalla seconda met* degli anni '40 e poi negli anni '50 dello scorso secolo, il tessuto poliritmico del jazz si fa non evidente, ma più evidente, per il semplice fatto che molti musicisti di colore, Max Roach in primis, approfondiscono ed ampliano elementi, come la poliritmia, che nel jazz erano gi* presenti sin dall'inizio.
Ciò fanno sia per trovare nuove soluzioni, sia anche per orgoglio nero, ben consapevoli della componente africana che informa il jazz, così come ogni altra musica non per nulla detta afroamericana, e ben consapevoli del fatto che proprio la poliritmia costituisce un profilo che non potrebbe in alcun modo discendere dalla musica europea, colta o popolare.
Ecco perché, senza entrare nel merito della presenza o meno dell'improvvisazione nella musica di Morton (è questa una questione diversa che, comunque, non riguarderebbe solo Morton, ma tutto il jazz tradizionale), tra Morton e Chopin la differenza è sostanziale: in Morton c'è anche l'Africa, in Chopin no! E non ho dubbi che Piras sottoscriverebbe questa tesi, a meno che non abbia cambiato idea negli ultini anni.
Quanto a Stravinsky, neanch'io penso che abbia mai attinto dal jazz, anche perché, come tutti i compositori colti del suo tempo, non lo ha mai minimamente compreso, per cui, pur amando la sua musica, ritengo le sue idee sul jazz del tutto trascurabili.
Schuller è superato nell'approccio e molte delle sue convinzioni sono ormai effettivamente prive di valore, ma è stato uno dei primi a insistere sulla componente africana nel jazz primigenio, dando impulso ad una tesi oggi ritenuta corretta da quasi tutti gli studiosi, Piras compreso.
Quanto al blues e alla musica dell'Europa meridionale, sì, entrambe sono state influenzate dal ceppo mediorientale (l'ho scoperto grazie a te), per cui credo che certe somiglianze dipendano più da questo che da una influenza diretta della musica dell'Europa meridionale sul blues.
Ho letto anch'io, e con enorme interesse, su Musica Jazz, l'intervista a Foday Musa Suso: nella misura in cui gli Art Ensemble of Chicago pretendono di suonare musica africana e non afroamericana, Foday Musa Suso ha ragione.
La scoperta della componente arabo-islamica nel blues, ma anche nel jazz, arricchisce indubbiamente la conoscenza che abbiamo di queste musiche, ma ciò non significa che non esiste una componente africana, significa piuttosto che, quandi facciamo riferimento all'Africa, dobbiamo sempre ricordarci che l'Africa non è, come dici tu, Juggler, un unicum.
D'accordo sul fatto che la musica di La Rocca inaugura una nuova sensibilit* (considera che sono siciliano e dalle mie parti ci sono un sacco di La Rocca), però quella musica, divertente quanto vuoi, swing non ne ha. Meglio King oliver!

juggler
6th October 2008, 04:48
Ciao MyLadySax...per intendersi, bisogna comprendere interamente le argomentazioni dell'interlocutore...piu' che polemizzare su frasi "distaccate" dal discorso complessivo e interpretarle in modo "libero"...nel corso di questo tread, ho assecondato alcune tue "motivazioni" pur non condividendole (l'analisi musicale applicata all'improvvisazione radicale)...in taluni casi, hai "liberamente interpretato" certe mie posizioni (differenze espressive del jazz europeo visto nella suo insieme e nelle varie compagini nazionali)...e poi...post del 31 Luglio
"...è stata la musica afroamericana a influenzare Strawinsky e non viceversa, almeno sotto questo particolare aspetto...(poliritmia)"
post del 31 Agosto: "...Quanto a Stravinsky, neanch'io penso che abbia mai attinto dal jazz, anche perché, come tutti i compositori colti del suo tempo, non lo ha mai minimamente compreso, per cui, pur amando la sua musica, ritengo le sue idee sul jazz del tutto trascurabili..."

E' difficile intendersi quando si fanno affermazioni che si contraddicono fra loro...

La definizione di poliritmia, offerta da Arom, attualmente è il "paradigma analitico" da cui parte l'intera comunit* degli studiosi di etnomusicologia o di musicologia comparata...e non il "delirio" di un "pensatore eccentrico"...ovvero la poliritmia come fattore strutturale del discorso musicale e non come evento occasionale...

Morton, personalit* eccentrica ed "eccessiva" (odiato dall'intera comunit* jazzistica del suo tempo...anche Ellington e Coleman Hawkins non lo sopportavano...non andarono neanche al suo funerale) odiava i "negri"...il suo insegnante di pianoforte era di origini tedesche...Piras, nel suo saggio su Morton, parla molto prudentemente di "influenze africane" anticipando il "sostantivo qualificante" dall'avverbio "forse"...
Il "paragone analogico" fra Morton e Chopin riguarda la "compostezza formale" non i "versanti espressivi" degli stessi...
Cerchiari, nel suo libro "Intorno al Jazz" (da te citato) afferma con chiarezza: "...la musicologia jazzistica che si basa su fonti africane è da rivedere, nel senso che vanno piu' ampiamente precisati i contributi africani, così come sono da approfondire quelli europei..."

A tutt'oggi non esiste una analisi convincente, un approfondimento, che sintetizzi i contributi dei musicologi americani con quelli europei ed africani..."Free-jazz, black power" di Carles Philippe e Jean-Louis Comolli non è mai stato tradotto in inglese...gli studiosi americani non sanno quali tesi sono esposte in quel libro (e sono passati piu' di trentanni dalla sua prima edizione)...
Nessuno si sogna di dire: "La musica di Sempronio ha influenze europee..." semmai si affermer*..."si notano le influenze di quel o talaltro compositore, della tal Scuola..." Eccentriche sono le "posizioni" di quei studiosi o presunti tali, che parlano di "influenze africane" riferite al jazz delle origini e non solo... senza definire da dove derivi, ma riferendosi ad un "africanit* immaginifica"...inoltre, rimangono tutt'oggi estese aree africane di cui non si sa nulla delle tradizioni musicali esistite ed esistenti..e probabilmente non sar* piu' possibile ricostruire origini ed evoluzioni...

La poliritmia africana, come ho gi* ribadito, fa il suo ingresso all'interno del "linguaggio jazzistico" a partire dagli anni '50 e coincide con la nascita dei movimenti dei diritti civili e l'emancipazione dei neri nella societ* statunitense e con le prime tournèe negli USA di musicisti e gruppi africani...

http://web.tiscali.it/arte_africana/musica.htm

Strawinsky, come altri compositori occidentali, apprezzavano il jazz piu' che per il linguaggio, per l'ampliamento delle possibilit* estensive/ espressive che esso aveva offerto agli ottoni...

King Oliver...meglio di La Rocca? Sì...no...forse...non si può giudicare partendo esclusivamente da un parametro (swing) musicisti o "espressioni musicali" che sono configurabili/assimilabili/ispirate al jazz...Parker, al suo apparire, era considerato anti-jazz...stessa sorte è toccata poi a Coltrane, Sun Ra, Dolphy, Coleman, Ayler, Taylor...ma anche ai musicisti bianchi come Tristano, Konitz, Giuffre...nell'Original Dixieland Jazz Band, è gi* presente la "personalizzazione" del timbro strumentale dei singoli esecutori...alcuni brani di La Rocca, come "Tiger rag" sono stati "riletti" da jazzisti delle generazioni successive...ciò può essere sufficiente per considerarlo jazz...ovvero quell'espressione musicale, i cui protagonisti, passati e presenti, pur nella diversit* degli stili/orientamenti, hanno sempre dato importanza al "come suonare" piu' che al "cosa suonare"!

juggler
6th October 2008, 05:07
Riguardo al rapporto jazz-poliritmia africana ed al sito che ho segnalato...il riferimento è al saggio del musicologo Karim Alassane.

MyLadySax
6th October 2008, 14:53
Ho gi* abbondantemente esposto le ragioni delle mie affermazioni e ritengo sarebbe inutile ripeterle.
E' un fatto che su alcuni punti non concordiamo: pazienza, non si può essere d'accordo con tutti e su tutto!
Tengo, però, a ribadire come per me sia sempre istruttivo leggerti; infatti, le tue tesi mi fanno riflettere e la riflessione mi ha portato a volte a rivedere, a volte (non prendertela) a rafforzare alcune mie idee (com'è accaduto riguardo alla poliritmia nel jazz delle prime registrazioni).
Francamente, non mi pare di avere polemizzato su frasi distaccate dal discorso complessivo con cui hai svolto le tue argomentazioni, ma, se così è, mi dispiace, non l'ho fatto apposta! Semmai, ti ho solo frainteso.
Quanto a Strawinsky, nel post del 31 luglio, riferendomi alla possibilit* che il jazz abbia influenzato Strawinski o viceversa, ho scritto: "... SEMMAI (= tutt'al più, se proprio dovessimo ipotizzare chi ha influenzato cosa o cosa chi, allora dovremmo dire che ...), è stata la musica afroamericana a influenzare Strawinsky e non viceversa, almeno sotto questo particolare aspetto...(poliritmia)".
Sono indice del valore avverbiale con cui ho usato "semmai" le virgole che racchiudono la parola.
Ne consegue che non v'è alcuna contraddizione con il post del 31 Agosto: "...Quanto a Stravinsky, neanch'io penso che abbia mai attinto dal jazz, anche perché, come tutti i compositori colti del suo tempo, non lo ha mai minimamente compreso, per cui, pur amando la sua musica, ritengo le sue idee sul jazz del tutto trascurabili...".
Che poi Strawinski non potesse fare a meno di notare che Louis Armstrong (per esempio), gi* nei primi anni '30 dello scorso secolo, era capace di suonare con la sua tromba sovracuti che allora i suoi colleghi accademici non si sognavano neppure è un altro discorso.
Piras non ha dubbi sulla presenza di elementi di provenienza africana nella musica di Morton; altrimenti, escludo che, proprio negli anni in cui presiedeva la SISMA (Societ* Italiana per lo Studio della MUSICA AFROAMERICANA), avrebbe organizzato una registrazione di diciassette brani di Morton eseguiti da Richard Trythall per la "AFRICAN-AMERICAN Serious Musc Festival" di Pescara!
Nè Piras ha mai avuto dubbi sulla poliritmia nel jazz primigenio in genere: basti leggere l'articolo, pubblicato tanti anni fa ormai su Musica Jazz, scritto a sua cura su Freddie Keppard (per la verit*, anche senza il contributo di Piras, sarebbe sufficiente ascoltarne le poche registrazioni).
Neppure Cerchiari ha dubbi sulla presenza di "african retentions" nel jazz primigenio e nel suo libro "Intorno al Jazz" la sua idea è semplicemente inequivoca.
Mi sbaglierò, ma l'improvvisazione è sempre esistita nella musica, lo swing, per quanto possiamo saperne, no: per questo giudico lo swing la vera essenza del jazz, nonché il contributo più importante del jazz alla musica.
Ma non ti pare che siamo andati un po' fuori tema rispetto all'argomento jazz europeo?
Alla prossima.

juggler
7th October 2008, 04:05
E' una gran perdita di tempo voler convincere qualcuno di qualcosa: non appartiene alla mia filosofia di vita! Chi vuol convincere qualcuno di qualcosa vuol dimostrare ed avere un certo potere sugli altri: i politici, i commercianti, i predicatori religiosi hanno questa presunzione e pretesa...in un certo senso, anche i filosofi e gli scienziati, certi artisti o presunti tali...in generale, tutti gli "specialisti" presumono di avere la chiave per interpretare giustamente un aspetto della vita, della cultura, della societ* ecc. e poichè sono degli eterni insicuri, per avere conferme su loro stessi, si affannano a far proseliti...che a loro volta si "scanneranno" per affermare questa o quella idea, quel metodo, quella visione...inconsapevoli di "indossare un abito" gi* confezionato da altri e di non essere in grado di pensare/agire/ricercare autonomamente una propria "via"!

Ho aperto questo topic per sollevare problemi, non per offrire soluzioni...ognuno trovi la sua... mi risulta, fin troppo facile, trovare tutte le "contraddizioni" delle tue ultime affermazioni nonchè in quelle che attribuisci agli studiosi in questione...mi autoesonero definitivamente da tale penoso compito!

Il termine jazz... su cosa sia jazz o non jazz, per me, non ha nessuna rilevanza...nè tutte le attribuzioni, differenziazioni ecc. su cui molti si affannano e si dannano...poichè tale termine leggendario, di incerta etimologia, è di per sè un'aporia, una strada senza uscita, un coacervo di paradossi insolvibili quanto inspiegabili, come la sua storia o se spiegabili possono essere risolti/ letti anche al contrario...non è un campo di verit*, ma di possibilit*...possibilit* di ascoltare/comunicare in modo diverso con se stessi e con gli altri, apprezzare la diversit*:possibilit* negata dal conformismo, dai luoghi comuni, dal terrorismo del "pensiero unico"...un vortice della sensibilit* umana trasfigurato in suoni, che non chiedono di essere spiegati, incasellati, giudicati ma solo di essere ascoltati, percepiti, trasformati, evocati, vissuti...chi dice di amare il jazz, costringendolo in una gabbia, in un concetto, in una "camicia di forza", in una categoria, in uno stile...non ama in modo "jazz": nega a se stesso e agli altri che possano esistere altri modi di sentire/vivere la propria sensibilit*, le proprie percezioni e la propria vita!

MyLadySax
7th October 2008, 07:23
Ad una mentalit* aperta, onnivora di esperienze, che non si pone confini - come, riferendosi alla musica ideale verso cui mirava, diceva Edward Duke Ellington: "beyond categories" -, a questa mentalit*, questo approccio universale che va anche oltre la stessa musica, il jazz, tra le musiche afroamericane, ha dato un contributo incommensurabile nel corso del Novecento.
Da una prospettiva diversa e più ampia rispetto a quella da cui mi sono posto e, dunque, al di l* di quelle che sono state le innovazioni strettamente musicali, è questo il più grande regalo che il jazz ha fatto all'umanit*.
Grazie di averlo ricordato.

juggler
8th October 2008, 06:43
E' l'insegnamento che ho ricevuto dai "maestri" che ho conosciuto e con cui in qualche caso, ho avuto modo di suonare...il complimento piu' bello che ho ricevuto, non sono state le lusinghiere recensioni apparse su vari giornali, ma dopo un concerto...una giovane coppia mi avvicina e lei con uno sguardo estasiato, mi dice: "Non ho capito nulla, ma è stato bellissimo..."

Lasciamo "parlare" la musica...

Manfred Schoff Quintet...dove potete apprezzare il belga Michael Pilz, l'unico europeo ad aver adottato il clarinetto basso come unico strumento
http://it.youtube.com/watch?v=TuoCjto_axE
http://it.youtube.com/watch?v=GJp3EgvAicA

Il pianista belga Jasper van't Hof, gi* nel quintetto di Schoff...piu' recentemente
http://it.youtube.com/watch?v=WHJXYRh9ptY

Albert Mangelsdorff e Wolfgang Dauner
http://it.youtube.com/watch?v=_9ocJoUpVnQ

Un pianista che adoro: Misha Alperin con il suo Moskow trio
http://it.youtube.com/watch?v=qBH8KJZW22o

Lo straordinario Siergiej Starostin... "vocal solo performance"
http://it.youtube.com/watch?v=mQMB446FcNQ

Le "pirotecnie" della Vienna Art Orchestra...e di Klaus Dickbauer
http://it.youtube.com/watch?v=42ZI4dGG5i4

Omaggio doveroso a Esbjorn Svensson...morto tragicamente a giugno di quest'anno dopo una immersione...è riuscito, a mio avviso, a dare una veste nuova alla forma logora del "piano trio" con una poetica molto suggestiva e personale...
http://it.youtube.com/watch?v=iB9mjSrdyl8
http://it.youtube.com/watch?v=SbL5qCVrbCE