Martedì 8 dicembre, Sala Sinopoli Auditorium Parco della Musica
JOSHUA REDMAN – BRAD MEHLDAU DUO
Brad Mehldau, pianoforte
Joshua Redman, sax tenore e soprano

Nearness è il titolo dell’album in duo di Brad Mehldau e Joshua Redman, e martedì sera all’Auditorium, gremito all’inverosimile, l’appropriatezza di questo titolo è apparsa evidente durante le quasi due ore di un concerto formidabile.
Il duo è una formazione, nel Jazz, percepita pregiudizialmente come ostica, per la resa complessiva del suono che potrebbe potenzialmente essere impoverita da una “sottrazione” di elementi quali il contrabbasso e/o la batteria.
Nel caso di Mehldau e Redman questo pregiudizio si è certamente dissolto anche nei più scettici: due fuoriclasse e due personalità musicali così spiccate non potevano che far scaturire musica tutt’altro che impoverita, esile, esigua.
A cominciare dal pianismo di Mehldau, che imprimendo un ruolo creativo paritario a entrambe le mani sulla tastiera, in pratica raddoppia il pianoforte. Le linee melodiche vengono trasportate anche sulla parte grave dello strumento, le soluzioni armoniche volano in ambiti anche acuti, la ricchezza di spunti sempre nuovi è infinita. A tal punto che anche in brani come Mehlancholy Mode, in cui gli accordi sono pochi e in progressione discendente praticamente fissa, ciò che si ascolta nelle parti di piano solo è un flusso continuo e inesauribile di idee musicali, tanto che la progressione armonica finisce per perdersi sullo sfondo. Quando entra il sax soprano prevale l’estro creativo di Redman, e il pianoforte si ritrae garantendo in uno strenuo ostinato ritmico armonico la sua funzione meramente strutturale e fondante .
Ma questo scambio di ruoli tra i due non è l’unica interazione possibile: ci sono intrecci irresistibili tra quel “doppio pianoforte” e il sax che si prende un sostanziale ruolo di “ritmica” con l’accento insistente e propulsivo su note ribattute, mentre il piano si accende con un andamento torrenziale ed uno spessore sonoro potente. E ancora, partendo da un volume forte, i due sottraggono implacabilmente note, impeto, accenti fino ad arrivare a “pianissimo” intensi perché carichi di positiva tensione: e vi assicuro che ciò che si percepisce non è solo un abbassamento del volume.
Questa tensione, simile a quella che in una scala diatonica è rappresentata dal ruolo del settimo grado, nota detta “sensibile”, è ciò che a mio parere connota il live di questi due straordinari musicisti: un suono sempre pieno, pochi spazi vuoti di silenzio, eppure… si tende sempre a qualcosa d’altro che deve arrivare, o che si deve sviluppare, che viene accennato e che scompare per riapparire dopo, lasciandoti in un’attesa irresistibile di un agognato completamento, che arriva solo alla fine del brano, con chiusure perfette e definitive.
Nel tessuto sonoro ricchissimo, tondo, sono incastonati frammenti di accordi, piccoli temi melodici, brevi flasback di stile più mainstream – e blues anche, e musica classica persino, tanto che si ha la sensazione di voler riascoltare per poterli cogliere tutti.
Spesso i temi principali sono delicati e quasi poetici nel loro percorrere tutti i gradi delle raffinate dinamiche di Redman e Mehldau: ma anche nel percorrere le tante soluzioni armoniche, sottese eppure ben percepibili persino nelle progressioni fisse di accordi. La varietà si gioca sia su sottigliezze, sia su improvvisi e palesi cambi di registro.
Il dialogo è serrato e intenso, e la sensazione aggiuntiva però è che sarebbe possibile una sorta di doppio approccio a queste due ore di musica: l’ascolto di quel dialogo nel suo complesso, ma anche il concentrarsi sul pianoforte e sul sax presi singolarmente. La pienezza dei due è tale che si potrebbe godere di due concerti distinti e complessi e di certo non “incompleti” da alcun punto di vista.
Chi legge dirà: cosa c’è di strano? Questo è il Jazz. Rispondo sicura: andate ad ascoltare e capirete (al di là delle mie limitate parole) quale sia la stupefacente originalità di questi due artisti.