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Discussione: ma cafiso adesso

  1. #46

    Re: ma cafiso adesso

    Zka ... mi piaci (aho, nun penzà a male ... :ghigno: ), perchè cerchi di essere profondo, di tentare di dare una spiegazione ad una situazione, "il suonare" che forse non è spiegabile, almeno da parte di chi ne è protagonista .... ovvero, spesso chi ascolta, pensa di percepire, capire, sentire, immaginare etc. cose che invece chi suona neanche immagina ..... Bill Evans suonava davanti a 10, forse meno, spettatori , neanche interessati alla musica ... al Village Vanguard ..... non perchè doveva essere un protagonista di una storia gloriosa (così si narra), suonava perchè doveva campare, perchè quello era il suo mestiere, suonare .... il resto è retorica di chi scrive libri, di di decide chi sono i vincitori e gli sconfitti (i discografici), .......
    Visto che è Natale, vi voglio raccontare questa bellissima storia .......
    JfI è l'intervistatore, GL è il pianista pugliese Gianni Lenoci .... vi prego, di seguire attentamente gli sviluppi della storia .......

    JfI: Gianni, come e quando hai conosciuto Massimo Urbani?

    GL: Ho conosciuto Massimo Urbani alla fine degli anni ‘80.
    All’epoca vivevo a Roma. Mi ero diplomato in pianoforte al Conservatorio “S. Cecilia” ed avevo anche iniziato ad insegnare musica in un Liceo Sperimentale (che, guarda caso era lo stesso che una quindicina di anni prima aveva visto Massimo fra i banchi, se pur per un periodo brevissimo prima che abbandonasse la scuola per andare in tour con Giorgio Gaslini). Avevo iniziato a muovere i primi passi nell’ambiente jazzistico.

    Una sera in televisione sul terzo canale trasmettono un concerto del quintetto di Giovanni Tommaso che oltre al leader aveva tra le fila Urbani, Fresu, Gatto e Rea.
    Il concerto scorre liscio (era un quintetto di virtuosi), ma sull’ultimo brano (una specie di groove modale) Massimo prende un assolo impressionante. Mai sentito niente del genere. Io sono completamente investito da quella energia realmente spirituale e concreta al tempo stesso.

    Il giorno dopo parlo di questa mia emozione con uno dei collaboratori scolastici (si chiamava Massimo anch’egli) che sapevo appassionato di jazz e lui mi dice: “Massimo è mio cugino. Quando usciamo da scuola lo chiamiamo. Anzi gli propongo di suonare con te”.
    Così fu. Massimo al telefono fu gentilissimo: Mi disse: “Sto andando a Parigi per un omaggio a Charlie Parker con Daniel Humair. Chiamami fra quindici giorni e ci accordiamo”.
    Dopo quindici giorni lo chiamo. Si ricorda perfettamente di me (non mi aveva mai visto in faccia, né mai sentito suonare). Gli chiedo se potevo proporre in giro un gruppo con lui come ospite. Mi dice di sì. Torno a casa. Faccio dieci telefonate a dieci club. Ottengo dieci risposte positive. Praticamente un tour.

    Non mi è mai più successo nella mia vita.

    JfI: io non riesco a scindere la figura di Max dalla rappresentazione di un’epoca, quegli anni Settanta che hanno messo in moto discussioni, stimoli, riflessioni e collettività. Periodo duro ed incantato allo stesso tempo in cui, forse, un mondo migliore sembrava possibile. La vicenda di Massimo Urbani, la sua forza e fragilità, la sua esplosione vitale e la sua tragica morte annunciata sono forse simbolo di quel sogno infranto?

    GL: In parte sì. Perlomeno sul piano simbolico.
    Riguardo la sua morte (veramente giunta inaspettata: ci eravamo sentiti per telefono cinque giorni prima di quel tragico evento per accordarci su due concerti che avremmo avuto in Molise i primissimi di luglio e mi aveva apostrofato ridendo: «Lenoci, vecchio ribaldo!», da notare la ricercatezza di quel “ribaldo” ) ho sviluppato varie congetture.
    Ho sempre pensato che la cosa fosse evitabile.
    .
    rimo: il rapporto con l’eroina non era così continuativo come i tossicodipendenti abituali hanno. Il problema vero secondo me era l’alcol. Quindi al limite sarebbe morto di cirrosi epatica. Cosa che onestamente ho temuto varie volte.
    Secondo: era assolutamente incapace di “farsi”. L’unica volta che io sono stato testimone di uso di eroina da parte sua, l’ha fumata.
    Ergo: qualche mistero c’è su quella morte c’è. Visto che si era sparato in vena non so quanto di eroina purissima. Ma sono solo delle mie teorie.
    La società stava già comunque cambiando a vari livelli. E non sarebbe certo arrivato un tempo per poeti. O perlomeno, i poeti sarebbero stati sempre più ai margini.
    .
    JfI: All’epoca dell’incisione di “Round About Max” non avevi ancora compiuto trent’anni ed avevi alle tue spalle un solo disco inciso con Bruno Tommaso ed Antonio Di Lorenzo. Oggi la tua discografia è molto più corposa e le tue collaborazioni non conoscono confini di sorta. Massimo Urbani aveva appena sei anni più di te ma aveva già un posto tra i grandi del jazz. Cosa provasti davanti a quel musicista?

    GL: Suonare con Massimo Urbani è stata Università e Dottorato di ricerca messi insieme e ancor di più. E’ chiaro che da parte mia c’era un’impressionante dose di incoscienza mista a coraggio.
    Ma non c’era né arroganza né supponenza in tutto ciò.
    Io ero conscio della distanza abissale fra me e lui. Oltre che in termini di vera e propria esperienza, soprattutto riguardo il contenuto emozionale dei “solo”.

    D’altro canto, la mia passione per il jazz era (ed è) divorante e mi dissi che se dovevo entrare in quel mondo era meglio che lo facessi entrando dalla porta principale. A costo di prendere qualche “incornata” (cosa che devo dire, non successe mai con Massimo).
    Per tre anni non ho fatto altro che cercare occasioni per suonarci insieme e verificare se quello che stavo sviluppando in maniera autonoma ed indipendente riguardo il mio vocabolario potesse funzionare con lui. Ogni concerto era la lezione per il concerto successivo.
    .
    Io ricordo benissimo il primo accordo che ho messo sotto il suo sax.

    .
    Il primo dei famosi dieci concerti era programmato nel Jazz Club “Lennie Tristano” di Aversa. Durante il viaggio in auto Roma–Aversa, ascoltavamo musica dalla mia collezione di musicassette.
    Massimo voleva ascoltare soprattutto cantanti.
    Ascoltavamo quindi Astrud Gilberto (il disco era “The Silver collection”). Ad un certo punto mentre Astrud Gilberto cantava “The shadow of your smile”, Max mi dice: “Man, questo 'o famo stasera. Lo famo alla Sonny Stitt!”. Appena arrivati al club avviso il bassista e ci mettiamo a tirare giù gli accordi. Massimo vuole provare solo il tema (anche lui non aveva mai suonato quel pezzo sin d’ora) e vengo investito dalla stessa onda di energia che avevo avvertito ascoltandolo in televisione.
    Anzi, molto di più. Senza cadere nella fumisteria hippy: veramente un’onda di vibrazioni.
    .
    Mai sentito un suono così.

    JfI: c’è un pezzo che ami particolarmente di questo disco?

    GL: Ovviamente li amo tutti.
    Se proprio devo sceglierne uno non posso che dire “The shadow of your smile”, per tutto ciò che significa quel brano.
    .
    JfI: Cosa è rimasto in te, vent’anni dopo, di quell’incontro?

    GL: A parte il ricordo struggente di alcuni momenti umani ed artistici passati insieme: idea del jazz come processo espressivo/creativo in continuo divenire e non applicazione passiva di formule e “stili”, visione spirituale del fare musica e visione politica (sociale) del ruolo dell’artista, valore dell’intuito sulla ragione, contrasto tra avanguardia e tradizione, aspirazione (meglio: tentativo continuo) di ricreare quella vibrazione avvertita sul mio accordo di Fa diesis min. quella sera al jazz club Lennie Tristano di Aversa.

    JfI: Ci racconti come è nata quella seduta di registrazione?

    GL: Partiamo da Roma, il 28 Novembre 1992. L’appuntamento era fissato per le 11 a casa di Massimo, in via Dati 5 .
    L’avrei prelevato e saremmo partiti per Matera dove ci attendevano per la seduta di registrazione.
    Arrivato a casa sua trovai Massimo ancora sotto le coperte che si preparava uno “svuotino” (per quanto posso testimoniare io non credo fosse capace di “rollare”), utilizzando come base d’appoggio un LP di Dizzie Gillespie. (Era il disco allegato ad un numero di Musica Jazz di qualche tempo prima). Questo rituale andò avanti per circa un’ora dopodiché balzò dal letto, si vestì ed assieme alla sua ragazza Valentina (finora assente dal quadro) che in quel momento usciva dal bagno, raggiungemmo la mia Peugeot 205.
    Niente valigia. Niente sax!

    Alla mia richiesta di chiarimenti circa la mancanza del sassofono, mi risponde qualcosa tipo: “Man, l’ho dovuto impegnare_Tranquillo, ce sarà a Matera uno che tiene un contralto da prestàmme….”
    Trovata la prima cabina telefonica funzionante chiamo qualcuno a Matera, allertandolo circa la mancanza del sassofono.
    Ad ogni modo ci mettiamo in viaggio (con un’ora e mezza abbondante di ritardo sulla tabella di marcia). Arriviamo a Matera verso le 19 e raggiungiamo immediatamente il cinema che era stato adibito a sala di registrazione.
    Tutto “live”. Tutti sul palco, come un concerto.
    .
    Incontro gli altri musicisti (Pasquale Gadaleta al contrabbasso ed Antonio Di Lorenzo alla batteria, i componenti del mio trio dell’epoca) ed il quartetto d’archi (che non avevo mai incontrato prima di quel momento). Io avevo scelto il repertorio, avevo mandato le parti in anticipo a tutti.
    Avremmo provato e registrato direttamente varie takes. Il tutto in diretta.
    Quasi tutti i brani appartenevano al repertorio di Urbani che suonavamo abitualmente, con l’eccezione di The Summer Knows di Michel Legrand e A Time for Love di Johnny Mandel che avevo mutuato dal repertorio di Bill Evans e che sotto l’aspetto squisitamente emotivo li sognavo interpretati da Massimo Urbani.

    Stavo realizzando una visione.

    Chiaramente, Massimo non ha le sue parti, dimenticate chissà dove.
    L’aspetto interessante è che mi chiede di riscriverle escludendo le sigle degli accordi: “A Già, scriveme solo IL CANTO”.

    Fortunatamente un appassionato sassofonista dilettante di Matera, (Franco Di Marzio, purtroppo poi prematuramente scomparso) innamorato dello stile di Paul Desmond, accondiscende a prestare il suo contralto Yamaha. Mentre il quartetto d’archi prova le sue parti, Massimo nel backstage ascolta le armonie degli archi mentre fuma l’ennesima “canna” (aveva eletto uno dei tecnici come “rollatore” ufficiale) e scherza con il proprietario del sax; quest’ultimo chiaramente eccitato e preoccupato allo stesso tempo. Si decide di registrare prima i brani con gli archi e poi tutti gli altri. Si aprono i microfoni. Massimo chiede di registrare una take direttamente senza prove.
    Estrae dalla tasca della giacca il suo bocchino, prova una scala producendo un suono incredibile come se stesse suonando un Selmer o un Conn costosissimi e si parte.
    .
    Risultato: prima prova (di lettura!): prima take fatta!!
    Per farla breve: tutto il disco è stato registrato così. TUTTO FIRST TAKE!
    Un’ora dopo il primo suono di sassofono era finito tutto.
    Testuali parole sue a conclusione: “Me dovete pijà così... ar primo colpo!”

    Non so quanto coraggio, incoscienza o spregiudicatezza ci fosse da parte nostra (da parte del Trio, intendo). Certo è che a me sembrava realmente di stare nel jazz entrando dalla porta principale.

    Col senno di poi tantissime cose si sarebbero potute realizzare meglio, ma eravamo veramente low budget e lo spirito che ci animava era lontanissimo dal perfezionismo e dallo star system di oggi.
    Si cercava solo di catturare un emozione e conservarla per sempre.
    .
    Quello spirito è rimasto intatto.


    ***************

    Massimo Urbani (alto sax),
    Gianni Lenoci (piano),
    Pasquale Gadaleat (bass),
    Antonio Di Lorenzo (drums)

    Marzia Mazzoccoli (I violino)
    Anna Tenore (II violino),
    Vincenzo Longo (viola),
    Davide Viterbo (violoncello)

    Tracklisting:

    Part One
    1) The Summer Knows - 7:37
    2) The Shadow of Your Smile - 5:43
    3) I Cover the Waterfront - 4:36
    4) Star Eyes - 5:55

    Qu il resto della storia ......

    http://jazzfromitaly.blogspot.it/search ... %20Massimo

    The Summer Knows . ...... :cry:

    ........ Man, l’ho dovuto impegnare (il sax) ..........Tranquillo, ce sarà a Matera uno che tiene un contralto da prestàmme….”

  2. #47

    Re: ma cafiso adesso

    Grazie Gene, per l'intervista prima di tutto che ci riporta alla dimensione umana prima che musicale di Urbani e per quel "Zka... cerchi di essere profondo :ghigno: "
    Un giorno ho letto un articolo di Furio colombo su un fatto molto triste per chi ha vissuto una certa cultura, il famoso Chelsea Hotel di New York veniva venduto demolito e trasformato in appartamenti di lusso da un'impresa di costruzioni.
    L'hotel, che vide oltre alla morte di Nancy per mano di Sid la presenza di alcune delle personalità più importanti della cosidetta Beat generation, in realtà era una topaia, Wim Wenders riuscì a girarci un film prima della demolizione, e in ogni caso la storia della controcultura degli anni sessanta e settanta è soggiornata lì.
    Il giornalista nostalgico chiudeva l'articolo con una considerazione che mi ha molto colpito, diceva; in quegli anni tu potevi essere "Down" ed essere contemporaneamente "In", oggi se sei Down" sei automaticamente "Out", e la fine del Chelsea hotel ne era l'emblema.
    Il mondo musicale è stato il terreno in cui questo fatto è diventato legge, e ha progressivamente emarginato chi non ce la faceva, premiando chi aveva doti tecniche, politiche e manageriali che gli consentivano di primeggiare in valutazioni oggettive, di mantenere alta la propria visibilità e di saper vendee dischi, anche se poeticamente non era granché.
    Forse quella nostalgia è eccessiva, anche perchè si guardava bene Colombo, dal descrivere cosa significava essere "Down", povertà, droga e violenza, Chet Baker ne è stato forse l'emblema più chiaro, mentre tutti sappiamo bene cosa vuol dire essere "out", cioè non contare nulla, non essere ricordato ne apprezzato.
    ____________________________________________
    Ten Conn Transitional M 262XXX
    Berg Larsen 120

    Ten Weltklang
    selmer metal classic H rw by me

    Alto Conn 6m 326***

    Sop Yanagisawa S 801
    Selmer metal classic G

  3. #48

    Re: ma cafiso adesso

    Quando si parla di musica si parla comunque di una cosa intima e astratta, nella quale ciascuno di noi sente e prova cose diverse, e quindi è chiaro che un artista può dire tanto a qualcuno e niente a qualcun'altro.
    Personalmente credo che Cafiso sia bravissimo sotto l'aspetto tecnico e per la capacità di improvvisazione, e credo al contempo che debba crescere moltissimo sotto il profilo dei contenuti perchè, COMUNQUE, è ancora mooooooolto giovane.
    Il problema è che spesso e volentieri nel jazz ci sono musicisti che hanno successo non solo grazie alle proprie qualità/meriti (anche se GRAZIE A DIO non è come nel mondo del pop e del rock contemporaneo nei quali si assiste a inutili zxccole idiote che manco sanno cos'è un do o un re, che diventano clamorose star solo grazie al loro corpo, al gossip e alla stupidità della gente, grazie a dio nel jazz c'è un po' più di "meritocrazia") ma anche grazie ad altri aspetti e magari ci sono musicisti incredibili che non se li fila nessuno; faccio degli esempi -indipendentemente dalla qualità dei musicisti -che in tutti quelli che vado ad elencare...C'E'...sia chiaro:

    Stefano di Battista --->ha avuto successo grazie alla visibilità che gli ha dato Nichi Nicolai, grazie alle mille collaborazioni col mondo del pop (tipo quelle con Niccolò Fabi, Celentano ecc...ecc...) grazie a san remo e grazie al programma di bonolis

    Paolo Fresu------>ha avuto successo grazie alla visibilità che ha avuto con le collaborazioni pop (vedi Ornella Vanoni) e grazie al fatto che fa una musica di facile accesso anche per chi non viene dal mondo del jazz

    Stefano Bollani----->ha avuto successo grazie alle numerose collaborazioni con i musicisti del mondo pop, grazie al fatto che fa una musica di accesso molto facile a ogni tipo di spettatore/ascoltatore e anche perchè è molto teatrale e comico nei suoi spettacoli e anche questo aiuta nella facilità di comunicazione con tutti i tipi di pubblico, piace ai radical chic ed essendo teatrale e bravo a tenere la scena gli hanno fatto fare un programmino (orribile a mio avviso) su rai 3 "sostiene bollani"

    Danilo Rea----->grossomodo i soliti motivi dei primi due (però che pianista però che è :) )

    ......Ecco ....Cafiso non è sicuramente un fenomeno da baraccone perchè (come tutti questi musicisti , chi più chi meno) le qualità ce l'ha ECCOME, anche perchè ragazzi....a 10 anni suonare la roba di charlie parker a quella maniera.....bisogna essere bravi su...c'è poco da dire....diciamo che però , il fatto di essere stato precoce l'ha messo molto in vista, forse più per la sua precocità che non per i contenuti della sua musica....e chiaramente questo ha attirato l'attenzione di Marsalis, della De Filippi (purtroppo :) ),di jovanotti, dei conduttori di san remo e compagnia bella.....
    Il fatto che sicuramente ci sono fior di musicisti più bravi di lui che non hanno avuto lo stesso successo non deve indurre, secondo me all'invidia, tanto è così e fin'ora lo è sempre stato...non so se qualcuno di voi conosce Art Pepper....Art Pepper è stato uno dei più grandi altosassofonisti di tutti i tempi,uno che ti fa piangere quando suona, un suono che arriva dallo stomaco...dal cuore...diretto all'ascoltatore.... uno che ci metteva l'anima nella sua musica più di tanti altri che non avevano neanche un decimo delle sue qualità e che nonostante questo hanno avuto non 100 ma 1000 volte più successo di lui......nelle enciclopedie del jazz viene a malapena nominato e magari si soffermano su gente che non vale una cippa a confronto....

    purtroppo è sempre stato così e sempre lo sarà.....
    non esiste giustizia....esistono i gusti della gente....e spesso la gente non arriva a capire tante cose

    Quale miles preferite? quello di kind of blue o quello di doo bop?? :)
    eppure quello di doo bop ha avuto molto più successo....
    E' così...punto....capisco che questo faccia rabbia a tanti di voi che magari sono musicisti professionisti
    ma non ne vale la pena, è bravo ha delle qualità ma, per ora, non è niente di speciale sotto l'aspetto dei contenuti....evvabbene è così, ma non vale la pena provare invidia....
    e poi c'è anche da dire un'altra cosa ragazzi.......
    Si sarà lovanizzato adesso...magari prima era parkerizzato, poi konizzato, poi philwooodsato :D eccc...eccc......
    però c'è anche da dire ragazzi.......che oggi come oggi...e non è proprio easy crearsi uno stile molto personale dopo che ci sono stati
    charlie parker, johnny hodges, coleman hawkins, lester young, ben webster, johncoltrane, sonny rollins ,phil woods,lee konitz , art pepper, eric dolphy, massimo urbani, joe lovano, michael brecker, dave liebman, joe henderson, wayne shorter, jan garbarek, tim berne, stan getz,steve grossman, john zorn, phil woods, rosario giuliani,david sanborn, anthony braxton, david binney, greg osby, steve coleman ecc.....eccc..............eccetera................ ....
    voglio dire.............e un è proprio semplicino trovare uno stile estremamente personale........per nulla!!! da qualcuno pigli sempre un po'.....non c'è verso....per quanto originale uno possa essere

    e cmq non fatevi prendere dall'invidia perchè, anche se è legittimo ehhh, sia chiaro.....ma non ne vale la pena, meglio continuare a pensare alla propria musica e tirare dritto

  4. #49

    Re: ma cafiso adesso

    "Il mondo musicale è stato il terreno in cui questo fatto è diventato legge, e ha progressivamente emarginato chi non ce la faceva, premiando chi aveva doti tecniche, politiche e manageriali che gli consentivano di primeggiare in valutazioni oggettive, di mantenere alta la propria visibilità e di saper vendee dischi, anche se poeticamente non era granché."

    Parole sante Zkalima

  5. #50

    Re: ma cafiso adesso

    grazie gene , storia davvero bellissima!!! e significativa!!!
    1 tenore
    1 soprano

  6. #51

    Re: ma cafiso adesso

    Mi fa piacere che tu l'abbia apprezzata ...... la grandezza di cercare di catturare un emozione e conservarla per sempre ........

  7. #52

    Re: ma cafiso adesso

    Davvero Gene!!! Bellissima storia!! grazie di averla condivisa

  8. #53

    Re: ma cafiso adesso

    Massimo Urbani era un altro che avrebbe meritato moooolto di più successo....credo che sia in assoluto il miglior sassofonista italiano di sempre, uno dei miei musicisti preferiti in assoluto... certo faceva le sue stronzxte che sicuramente l'hanno penalizzato molto...mio padre assistì ad un concerto di massimo urbani nel quale montò sul palco e poi scese dopo 4 minuti e scomparve per il resto della serata...sicuramente era per motivi di droga...mi ricordo il racconto di rava, di quando montò su una nava da clandestino per arrivare ad un concerto (in ritardo ovviamente...)...
    ....Certo faceva le sue stronzxte e le ha pagate....ma è anche vero che se vivessimo in un paese diverso, con una cultura diversa, e in un sistema diverso....avrebbe trovato il modo di uscire dalla droga e dai vizi che lo portavano fuori strada...ma quello che ha fatto resterà sempre...d'altronde come diceva Franco Mondini nelle note di interno copertina di "the Blessing"
    "Massimo Urbani da quasi subito era solamente Urbani, IL Massimo."

    Altro che Cafiso o Bollani....

    Per chi non avesse mai letto l'articolo

    Note di copertina del disco "The Blessing"

    Massimo Urbani é morto per una overdose di eroina. Colto da un malore nella sua abitazione, in via Dati, nel quartiere di primavalle . dove viveva con tre fratelli e una sorella - dopo aver assunto una dose di stupefacente é stato trasportato nell’ospedale San Filippo Neri dove é deceduto.
    Una morte annunciata, segnata dal fato, dalla cronaca, dall’indifferenza che fa soccombere il genio in questo mondo di cretini. Come un piccolo Mozart, Massimo Urbani aveva esordito nel suo mestiere appena sedicenne facendo stupire il mondo (segregato) del jazz con un linguaggio disinibito, libero sciolto assolutamente ispirato, mai accademico....un poeta in mezzo ai funzionarietti e alle mezzemaniche del jazz nazionale suonato, scirtto, organizzato. In questo paese dove i media si occupano delle tette al silicone della maggiorata di turno, dei capelli di di plastica del presentatore e delle laringi arruginite della moglie del funzionario, dove un concerto (concerto?) di (censura) ottiene le colonne che non ha mai ottenuto un concerto (concerto!) di Leonard Bernstein, Massimo Urbani era la vittima designata di un sistema culturale dove la cultura é assente.
    L’overdose che lo ha ucciso gli é stata fornita dall’ignoranza, dall’indifferenza, dalla grettezza della società bottegaia, distratta e rozza, attenta solamente alle mode, alla volgarità del luogo comune, una società che si merita, altrove, le batoste di Tangentopoli, e, sempre altrove, il prevalere di un Leghismo urlatore, sbraitante, pericoloso. Ma pari responsabilità è attribuibile ai “soliti noti” che dominano la vita concertistica e festivaliera del jazz in Italia.
    Urbani potrebbe essere il personaggio ideale per un racconto di Geoff Dyer (attualmente in vetrina con il suo bel libro “Natura morta con custodia di sax”) perché la sua musica, la sua anima paiono in perfetta simbiosi con lo spirito che anima quei tragici personaggi evocati da Dyer: Monk, Powell, Baker, Pepper, gli angeli neri della droga vissuta come rifugio per una schiera di guerrieri sconfitti dalla vita, vincitori sul piano morale nella guerra contro l’appiattimento della mediocrità, del servilismo. Tra le tante mezzemaniche del jazz italiano che a Natale spediscono accorate letterine al critico titolato (per accompagnare un sontuoso impianto Hi-Fi), Urbani era invece capace di mandare al diavolo anche chi gli sarebbe stato utile per migliorare una carriera, per apparire in un siparietto televisivo, per avere una copertina sulla rivista che conta, era fedele al suo primo modello, quel Charlie Parker che insieme con tanta musica ha sempre dato lezione di orgoglio, di virile coraggio. Un Jazzman anomalo, violento, solitario, in mezzo al perbenismo ruffiano che circola in questi ultimi anni. Ma urbani faceva musica con il cuore (e con la testa), gli altri hanno imparato la grammatica in stile Berklee e rimangono nel branco.
    Massimo Urbani ha suonato accanto a molti importanti musicisti americani e italiani (Beaver Harris, Giovanni Tommaso, Luigi Bonafede, larry Nocella, Roberto Gatto, Danilo Rea, Chet Baker, Art Farmer, Jack De Johnette, Sonny Stitt, Phil Woods). Non gli era negato nessun traguardo: la fantasia sbrigliata, il gusto armonico, un senso ritmico impetuoso e raffinato, un orecchio sensibilissimo, una energia quasi rabbiosa gli consentivano di esplorare i più reconditi segreti del brano sul quale stava improvvisando.
    Il suo modello agli esordi fu Charlie Parker, ma anche Sonny Stitt, Jackie Mclean, Ornette Coleman e Albert Ayler si annoverano tra i suoi maestri. Maestri ben presto abbandonati perché Massimo Urbani da quasi subito era solamente Urbani, IL Massimo.

    Franco Mondini (articolo scritto per La Stampa di Torino il 25.06.93)

  9. #54

    Re: ma cafiso adesso

    Ci tengo a precisare che quando ho detto
    "altro che cafiso o bollani" cmq non era assolutamente per screditare questi artisti, ma solo per dire che Massimo Urbani è veramente un poeta...tanti "gradini sopra" la media...niente vieta che un giorno cafiso si avvicini alla sua grandezza visti i suoi ventanni.....anzi.....
    suonare così non è proprio da tutti

    https://www.youtube.com/watch?v=3-o9a8urVUY

    Direi che è veramente NOTEVOLE!!!!!!!!!!!!!! Quest'assolo poi è veramente ECCEZIONALE!
    Però è chiaro che è comunque...e ovviamente..... una promessa per ora

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